ANTONELLO BRUNO PITTORE – OPERE

 

LA DIAFANIA CONTEMPLATIVA 

 

DI 


BRUNO  ANTONELLO   

 

Mi permetto di sintetizzare così l’opera di Antonello conoscendolo assai bene, essendo – per i destini della vita – anche mio cognato.

Per comprendere la sua opera e questa mostra on-line mi avvalgo della bella e acuta presentazione della curatrice dell’ultima mostra a Padova (2013, Palazzo della Gran Guardia) della prof. Carla Chiara Frigo, con qualche mia incursione.

 

… il mondo di Bruno Antonello (è)  un mondo pervaso di brume lattiginose e luci soffuse, di oggetti che a volte sono vere e proprie diafane apparizioni. Un mondo all’apparenza incantato il cui racconto è affidato alla narrazione fiabesca e alla trasfigurazione della memoria o della visionarietà. Frammenti di ricordi sospesi nel tempo e nello spazio, che fluttuano isolati dai contesti dell’ordinaria razionalità.

I soggetti sono di una ricorrenza ciclica, quasi orbitale per il loro legame con altre monadi, come quello delle cattedrali europee, degli angeli e dei demoni, del gioco degli scacchi e delle esecuzioni musicali, dell’Uomo e della Natura.

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Nel “L’organista di Wells “ (2008, acrilico su arta, 45×61), per esempio, suonatore di organo è febbrilmente intento ad eseguire il brano musicale seduto di spalle su una collina di fronte alla quale se ne erge un’altra più grande e sopra questa fluttua la chiesa e un opaco corpo celeste.


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La Cattedrale di Saint Georges a St. -Martin-de-Boscherville (1999, tecnica mista su carta, 45×64) e Saint Lorenz di Norimberga (1999, tecnica mista su carta, 45 x 64), sono fantasmi dalla sostanza evanescente, mentre la Sagrada Familla di Barcellona (2000, tecnica mista su carta, 45x 64) e la Cattedrale dell’Assunzione di Mosca (2001, tecnica mista su carta, 45 x 64) sono frutto di pura visionarietà nella loro veste scintillante di luce dorata.

 

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Anche la Cattedrale di Bruxelles (2011, olio su tela, 80×100) in bilico sulla chiglia della bara di Caronte contro un cielo di nubi dorate con squarci d’azzurro, ci conduce al mondo visionario, questa volta dantesco, dell’al di là.

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Come nel linguaggio medievale delle metafore o quello di un’anima candida, Antonello ricorre ad accostamenti inusitati secondo un criptico cifrario interiore. L’atmosfera trasognata in cui si muovono i personaggi del racconto evoca una dimensione onirica, richiamando alcune figure del Simbolismo europeo, si pensi a Odillon Redon, ma anche del Surrealismo come Renè Magritte.

 

 

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Alcune opere sono infatti vicine alle tecniche surrealiste dello spaesamento come Cattedrale di Troia (2004, olio su tela, 70×80) in cui l’artista pone l’edificio sacro sopra la morbida chioma di un albero, o Saint Legér di Murbach (2004, olio su tela, 71×10) che presenta il complesso di perfette geometrie cubiche poggiato sopra un tavolo coperto da una candida tovaglia rivelatasi poi la testa di un corpo presumibilmente femminile che ricorda i volti velati del surrealista belga.

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Ancora la Cattedrale di Ruvo di Puglia (2003, olio su tela, 80×100) ripropone la facciata dello splendido edificio romanico sollevata sul profilo collinare sotto il quale un uomo disteso con accanto un libro aperto sogna.

 

 

La sua è una ricerca dell’essenza decantata nella poetica dell’indistinto, nel desiderio di circoscrivere l’indeterminato: un disegno pulitissimo delinea le figure e le forme si stagliano quasi sempre al centro dell’inquadratura con rigorosa purezza con la loro matericità porosa, assorbente luce e spazio. Vibrazioni sottili permeano la consistenza rarefatta delle cose conferendo loro una sorta di eterna persistenza.

La dilatazione vitale di questi oggetti e figure, assolute protagoniste del racconto di Antonello sembrano appartenere ad una sorta di elogio della lentezza come via per riconquistare la sensibilità, la capacità di meditare e di assaporare l’esistenza più intima della realtà. Un invito più che mai attuale a riappropriarci dell’esperienza della vita contro la frenesia e velocità del vivere contemporaneo, del consumo vorace di ogni cosa, dell’appagarsi di quantità piuttosto che di qualità, del nutrirsi di mere superficialità. Nelle sue opere infatti l’inquadratura è particolarmente ridotta a poche cose, incentrata sull’oggetto della sua riflessione. Pochi elementi essenziali definiscono l’immagine, assaporati con garbo ma profondamente.

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Come un fanciullino l’artista avvicina gli oggetti su cui si concentra la sua attenzione e li contempla ascoltando la loro voce più interna che si espande nell’etere. Ecco allora accordi melodici di tonalità delicate, di sobrie variazioni su un tema cromatico, di estenuate armonie come risonanze interiori. La musica sembra dunque intesa come forma sensibile ma immateriale dello stato interiore, e così un dolce canto dell’anima sembra pervadere le silenti scene di interni o dei paesaggi urbani o naturali. Nell’opera Il flauto di Friburgo (2012) o in quella de’ Il violinista di San Marco (2006) i musicisti hanno le ali, possono essere angeli o uomini che hanno raggiunto la spiritualità attraverso i suoni dell’armonia universale. Nel primo dipinto sulla testa della creatura angelica è appollaiato un piccolissimo demone rosso sangue, quasi un genietto ispiratore, che contrasta con le tonalità azzurre dell’intera scena.

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Sempre nell’ambito fanciullesco in queste due opere La luna-palloncino (1983, china e acquerello, 50×50) e Il sole e l’aquilone (1981, china e acquerello, 50×50) la contemplazione pittorica di Antonello si avvale proprio di simboli di giochi infantili quali un palloncino ed un aquilone, entità che poi perdono la propria limitata materialità nella fusione di entità più grandi e misteriose come il sole e la luna. Forse quel palloncino e quell’aquilone sono io, oppure tu? (vasco bordignon)

 

Le polarità opposte come gravità e leggerezza, freddo e caldo, luce e ombra sono sempre armonizzate come entità dialettiche, reciprocamente indispensabili. Le conflittualità interne come ragione e sentimento, bene e male, altruismo ed egoismo, l’apertura sociale o la chiusura individuale, così come interno ed esterno sono colte o risolte nelle opere dell’artista in enigmatico colloquio.

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Un escamotage può essere il gioco delle parti, spesso infatti compare la scacchiera nelle sue opere nel ruolo di sagrato o pavimento, come in La Cattedrale di Olomuc (2004, olio su tela, 50×70)) o La Basilica del  Santo (2012, tecnica mista su tela, 80×120)

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o ancora appare come soggetto principale come in La vita è una scacchiera (1998, olio su tela, 100×80) nella quale i giocatori sono in contrapposizione, e sono in gioco le loro pulsioni più profonde, Eros e Thanatos.

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La scacchiera, come scrive la Frigo, ha una valenza di contrapposizione. Tale contrapposizione però non viene vissuta da Antonello come un duello angoscioso, funereo, draculiano, ma  – a mio parere – come realtà accettata dell’essere umano  rappresentata da  I morosi a filò (1978, olio su tela, 60×60) e I morosi con l’aquilone (1987, tempera su cartone telato, 30×40) dove essere morosi a filò davanti ad una scacchiera e ad una grande macchia di rosso, come rosso anche l’aquilone che vola nel cielo azzurro, è proprio come stare davanti all’emozione della vita (e della morte), al rosso-sangue delle difficoltà o delle fatiche o al rosso-aquilone della gioventù che vola fino ai confini del limite dell’ampia volta… (vasco bordignon).

 

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Ne’ La sfida (2012, olio su tela, 80×120) infatti un’ombra nera al centro del dipinto, quasi una proiezione dell’altro da sé, sembra provenire dal nulla eterno, materializzarsi ed incombere in una stanza illuminata con bagliori soffusi di cui si impregnano il vuoto e il pieno degli oggetti. Una sfera di cristallo è posata sulla scacchiera: in gioco c’è, allora, anche l’illusione di conoscere e dominare il futuro.

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In Psicomachia (2012, tecnica mista su tela, 60×80) un uomo alato avvicina l’indice alle labbra forse per indicare il cielo o il silenzio e con l’altro indice segna una casella della scacchiera in cui c’è un volto stilizzato racchiuso in un quadrato, eccetto che per l’emisfero cerebrale, la cui vista sembra far inorridire un piccolo gargouille rosato che si stringe la testa fra le mani rosso fuoco mentre emerge dal piano. Su questo sono inoltre presenti altri simboli come un triangolo, vari tipi di frecce, una mezzaluna e una colomba, simbologie fra il razionale geometrico, il sentimentale, lo spirituale.

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In Sogno (2012, olio su tela, 80×120), invece, un violinista longilineo intona una melodia della speranza come sembra voler alludere il verde della sua pelle, mentre sullo sfondo, al limitare del terreno, una coppia è seduta su una panchina ed è rivolta verso un orizzonte nascosto dal cielo grigio perlaceo sul quale domina un possente albero della vita, le cui radici poderose separano l’esistere dall’essere.


 L’arte è dunque per Bruno Antonello un medium con il quale esplorare la psiche umana, la sua ansia di spiritualità e la sua proiezione nel sacro, ma possiede anche una funzione liberatrice di poesie segrete, nascoste, espressione di un essere in intimo contatto con le forze e le sinergie che lo circondano, dal moto degli astri a quello degli affetti, dalla bellezza della natura alla capacità generatrice e creatrice dell’uomo.



 



 


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