APOLLONIO JACOPO – PITTORE – 1584-1654

JACOPO APOLLONIO pittore (1584-1654)

di Marisa Pivano De Paoli

 

La grande scuola di Jacopo Bassano continua con i figli e con una bottega attiva fino a tutto il Seicento. I numerosi e spesso scadenti imitatori, che per interesse commerciale sfruttarono i motivi peculiari dei Dal Ponte, sono i responsabili di quello scredito di cui la critica circondò la produzione bassanesca fino ai primi decenni del nostro secolo. Si possono però rivalutare alcuni pittori che, pur rifacendosi ai modelli di Jacopo e dei figli, possiedono una vena poetica personale. Tra questi il più completo e il più documentabile per la conservazione delle tele è    Jacopo Apollonio: eminente fra gli scolari, come afferma il Verci.

 

Jacopo Apollonio nacque a Bassano intorno al 1584 da Marina, figlia di Jacopo dal Ponte, sposata ad Apollonio Apolloni. Gli fu imposto lo stesso nome del nonno, che nel 1592 gli lasciò per testamento “cinque rodoli di disegno sive pezzi num. 15 da esserli dati perché si diletta di pittura”. Nel 1602 e poi ancora nel 1604 e 1644 è nominato iudex: ciò significa che il nostro pittore si collocava nel ceto dirigente della città; apparteneva infatti ad una famiglia di prestigio, con notevoli possibilità economiche. Egli aveva, come il nonno Jacopo, animo gentile e carattere mite, bonario e generoso. A quanto sappiamo, trascorse tutta la sua esistenza nella città natia, dove morì il primo dicembre 1654, all’età di settant’anni, dopo aver fatto testamento il 15 novembre del 1654. La sua salma venne tumulata nella chiesa di San Francesco. L’ambiente di formazione dell’Apollonio fu, senza dubbio bassanesco. Quanto apprese nell’ambito della scuola gli fu sufficiente, non ricercò altre esperienze e riuscì così, agli inizi del Seicento, a continuare una pittura tradizionale, ancora piena di vita, sana e umana. Interpretò, ricreò e fece suoi i motivi di Jacopo e dei figli e seppe conquistarsi un linguaggio personale e coerente, raggiungendo un successo sì locale ma notevole. Imparò a capire la forza e la semplicità dell’uomo, a costruire le figure con plastica solidità. Le sue tele più importanti hanno generalmente la parte superiore centinata, occupata da robuste Trinità, da dolci Madonne; la parte inferiore da una folla di santi e di devoti. Tutte queste figure hanno in comune una vitalità contadina, una semplicità quasi commovente, sono rappresentate realisticamente con grandi occhi aperti ed esprimono una fede genuina. L’ApolIonio ha bisogno di queste forme per esprimersi e, ben lontano dalla levità e dal lirismo di Jacopo, conferisce ad esse una più facile dilatazione. Le sue tele, con quelle quinte verdi di paesaggio agreste, con quelle figure semplici, stanno bene nelle chiese dei dintorni di Bassano: Liedolo, S. Eulalia, chiese immerse nella dolce campagna veneta, punti bianchi alla sommità di lunghe gradinate. Con simile ambiente s’accordano appunto queste tele che riportano, all’interno, nel luogo della preghiera uno squarcio della vita. All’uscita dalla chiesa, dall’alto del colle, si apre la stessa natura, col medesimo sfondo di monti; s’incontrano e prendono vita le stesse figure di contadini che il pittore ha ritratto nel quadro. Se sul piano dell’arte Apollonio vale come continuatore d’una scuola, sul lato sentimentale egli completa quell’atmosfera che ci avvolge quando contempliamo la campagna veneta. I suoi sono paesaggi che occupano una piccola parte del quadro, si lasciano intravedere da una finestra, da una balaustra, come quinte di colore e di luce che riescono a immettere in un mondo reale e vivo le figure della Vergine e dei santi: vi si coglie un naturalismo che umanizza la santità dei personaggi. Nelle sue tele pare di riconoscere, come qualità artistiche essenziali, uno schietto senso di verità, di vita, di spontaneità, un’aderenza quasi fisica all’ambiente, che diviene così elemento insostituibile per la comprensione dell’artista.

L’inizio della carriera pittorica dell’ Apollonio non è segnato da una data certa, non coincide con la sua entrata come apprendista in una bottega, per la semplice ragione che lui, nella bottega dei Bassano, nacque e crebbe. Molto probabilmente i primi tentativi col pennello li fece influenzato dai modi dei figli di Jacopo rimasti ad operare nella bottega paterna, cioè Giambattista e Gerolamo. Gli storici non vanno d’accordo quando parlano del suo alunnato: il Verci, il Lanzi, il Baseggio ed il Brentari lo vogliono scolaro di Giambattista e Gerolamo; il Melchiorri, il Novelletto, il Crico e l’Arslan di Leandro. A questo primo periodo pittorico così confuso, che va dall’ultimo decennio del Cinquecento al primo lustro del Seicento, si può con buona sicurezza ascrivere una sola opera tra quelle attribuite al nostro pittore, cioè la Crocifissione della villa Bianchi Michiel di Bassano. Questo sulla base di alcuni indizi: un modo singolare di lavorare e di rifinire i volti ed un senso di accentuato naturalismo, motivi che ritroveremo, molto più controllati, nella produzione matura dell’artista. Precedente o attorno al 1611 è la tela della chiesetta di S. Pietro a Pove del Grappa, raffigurante i Santi Pietro, Paolo e Carlo Borromeo. L’opera presenta brani d’un certo vigore; bello il S. Pietro benedicente, caratterizzato con accenti di intenso realismo. Vicina a quest’opera è quella della chiesa parrocchiale di Oliero S. Pietro in cattedra e i Santi Paolo e Bartolomeo (assai danneggiata dall’alluvione del 1966) e quella della parrocchiale di Romano degli Ezzelini S. Antonio tra i Santi Prosdocimo, Vito e un Santo Vescovo. Dopo le prime prove, l’Apollonio si volse a Leandro, di cui divenne fedele seguace. Molti sono i motivi che il pittore trasse da lui: la disposizione di alcune scene incentrate su un alto trono o dominate da robuste Trinità, la tipologia, il linearismo, i colori stessi, così particolari nella scuola dei Bassano e pur così sottilmente diversi da personalità a personalità. L’assunto coloristico di Jacopo Apollonio acquistò, dopo le prime tele, una maggiore intensità: non più i viola schiariti di Gerolamo ma quelli più rosacei di Leandro, rossi vivi, verdi brillanti e, su tutta la scena, un tono luminoso ed uno sfondo più chiaro, carattere questo suo proprio. Il S. Bonaventura del Museo Civico di Bassano fu dipinto nel 1611 per la chiesa omonima dei Padri Riformati, alla costruzione della quale molto l’Apollonio si prestò. L’opera datata e firmata è di notevole impegno, condotta con disegno netto e sicuro. Qui, nonostante la pasta di colore più lieve e un drappeggiare più morbido, troviamo una linea forte che segna i contorni e li definisce. Il saio, formato da piccole righe nere che lo ornano, è frazionato nella superficie per rendere effetti illusionistici di luminosità. Per la prima volta appare nelle tele del pittore una quinta di paesaggio bassanese, visto attraverso una piccola finestra. L’aggiunta di due gradini è posteriore; i due angeli sono di Giovanni Giuffrè.

Il Martirio di San Sebastiano e i Santi Monica, Gregorio Magno, Rocco, Pancrazio, Apollonia e Agostino (che sostituiscono i precedenti Veronica, Gregorio, Rocco, Vito, Apollonia e Agostino secondo una rilettura di questa pala da parte di Angelo Chemin pubblicato all’interno del libro “Il Martirio di San Sebastiano” edito da Bozzetto Edizioni srl del 2010 (V.B.) ) per la chiesa di S. Sebastiano a Bassano del Grappa è già opera notevole. La tela, firmata, ha la composizione tessuta su un ritmo diagonale, complessa e ben equilibrata e culmina nella figura del S. Sebastiano, dal volto tranquillo, accarezzato da riccioli, elemento tipico del pittore. Dopo la tela col S. Bonaventura (ora al Museo Civico di Bassano) datata 1611 e quella della chiesa di S. Sebastiano, e la sola Trinità nella pala della parrocchiale di S. Nazario, l’Apollonio si libera dai moduli alquanto freddi e duri in una ricerca di maggiore dolcezza e levità, dà forma ad un mondo proprio, foggiando una personalità nuova, che sa esprimere con una sua tecnica.

 A questo tempo si data probabilmente la S. Maddalena dipinta per la cappella della famiglia Freschi nella chiesa di San Francesco e ora custodita nel nostro Museo. Entriamo così nei caratteri specifici del pittore, in quella sua fase più completa e originale per cui, come si diceva, si salva dal complesso degli imitatori.

Vanno collocate in questo periodo la tela di Liedolo, firmata e datata 1614, quelle di S. Eulalia, di Cittadella e la Maria Incoronata e Santi dell’Orfanotrofio di Bassano. Queste opere si caratterizzano per quell’accentuato verismo, proprio del pittore, che lo porta a descrivere minutamente le figure: le ciocche dei capelli disordinate, le vesti ricche e adorne; e tutto in forma accuratissima, in un naturalismo tirato a lucido che fa di alcune figure dei personaggi reali. C’è quasi un superamento del linearismo e del fare conchiuso di Leandro, verso un pittoricismo più intenso e goduto; è da registrare infatti un notevole mutamento verso forme decisamente più morbide, vaporose, con una pasta di colore più liquida e una pennellata più fluida. La tela di Liedolo, la Madonna col Bambino e i Santi Lorenzo, Carlo e l’offerente, firmata e datata 1614, offre un esempio di pittura semplice e dolce. Basterebbero la finezza espressiva della Madonna, ben modulata nel suo manto rosa chiaro, e l’espressione del Bimbo per qualificare l’opera. Va posto l’accento anche sulla figura del S. Lorenzo, che è tipica dell’Apollonio e che ritroveremo ancora più viva nella pala di Cittadella. È una figura di giovanetto interpretata con un naturalismo e una finezza di esecuzione che la fanno risaltare con il vigore di un ritratto. La dalmatica, morbida e impreziosita dai bordi resi con un filo d’oro e dal lino attorno alla scollatura, è di un rosso vivo, proprio del pittore. Come le altre tele, anche questa offre una quinta di paesaggio analiticamente descritto che, alla maniera delle migliori creazioni dei Bassano, sottolinea e conclude l’opera.

Nella parrocchiale di S. Eulalia troviamo, firmata Jacopus Apollonius, l’Ascensione e i Santi Eulalia, Giovanni Evangelista e Prosdocimo [non Prosdocimo, ma Cassiano], opera veramente pregevole per la forza di colore, per il disegno e per la sua vaghezza.

Un discorso particolare merita la pala della parrocchiale di Cittadella, la Trinità, la Vergine col Figlio e i Santi Monica, Giambattista e Lorenzo, firmata Jacopus Apollonius Bassanensis. L’Apollonio, in questa fase matura, meditò sulla cultura manieristica bassanesca ma la rielaborò e la innestò nel suo proprio linguaggio assumendo dei dati ben caratteristici, tali che mi hanno permesso di rinvenire, tra le innumerevoli opere bassanesche, una tela non firmata ma certamente sua, la Maria Incoronata con i Santi Giovanni e Francesco dell’Orfanotrofio maschile di Bassano. L’opera denuncia nettamente la paternità dell’Apollonio, per gli elementi tipologici, per la tecnica e per l’atmosfera. In particolare, il S. Francesco e il S. Giovanni continuano il tipo fisionomico del S. Giovanni di Cittadella e di S. Eulalia e del S. Rocco della pala di S. Sebastiano. Così l’iter dell’Apollonio si conclude in un clima provinciale e semplice ma vivo per naturalismo, grazia e dolcezza. Nel quadro della cultura pittorica veneta del primo Seicento, l’Apollonio si caratterizza per il suo realismo arcaicizzante, per i colori chiari e per la forma distesa. La sua è certo una posizione storicamente infeconda ma genuina e sincera. Unico tra i seguaci dapontiani, egli raccolse intorno a sé una scuola, segno questo di un riconosciuto prestigio personale. Suoi allievi furon Marcantonio Dordi, autore dei due teIeri, che ricordano la liberazione dalla peste del 1631 e che ornano la Sala del Consiglio nel Municipio bassanese; Nicola De Nicoli, di cui non ci restano opere certe; Giambattista Zampezzi, considerato il più abile e fedele copista delle opere di Jacopo Bassano.

 

da Illustre Bassanese, settembre 1991, Editrice Minchio, Bassano

 

OPERE NEL TERRITORIO 

a cura di Vasco Bordignon

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Borso del Grappa – Chiesa plebaniale di Sant’Eulalia – Pala dell’Ascensione di Cristo tra 

Sant’ Eulalia, San Giovanni Evangelista e San Cassiano (di Todi)

 

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Pove del Grappa – Chiesetta di San Pietro : pala di San Pietro:  rappresenta in alto, seduto in cattedra, San Pietro con i simboli dell’autorità pontificia, e in basso ai suoi piedi l’apostolo San Paolo e san Carlo Borromeo

 

 

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