BASSANO DEL GRAPPA – IL MONUMENTO AL BERSAGLIERE CICLISTA

IL MONUMENTO

AL  BERSAGLIERE  CICLISTA

di Vasco Bordignon

Gli Alpini e Bassano del Grappa sostanzialmente sono due entità nelle quali l’una chiama l’altra, cioè sono ciascuno una facciata  della stessa medaglia, tanta è la storia che li ha visiti intrecciati, identificati, “innamorati”. Dobbiamo però sapere che nelle vicende non solo di Bassano del Grappa, ma anche più in generale delle vicende italiane dall’Unità di Italia alle Guerre dello scorso secolo sono intervenuti altri soggetti, altri raggruppamenti, altri uomini e apparati con lo stesso fine da raggiungere. Tra questi vi sono i Bersaglieri e tra i Bersaglieri in generale  ci sono stati i Bersaglieri ciclisti che per un secolo circa hanno anch’essi costruito questa Italia che tanto amiamo. A spingermi ad approfondire questa particolare nicchia dell’esercito italiano è stato un monumento inaugurato il primo marzo del 2009 dedicato al Bersagliere Ciclista, collocato nel giardino antistante le scuole Mazzini. E’ costituito da uno zoccolo marmoreo di grandi dimensioni (235x175x70 cm) su cui poggia una fascia marmorea di minori dimensioni (200x138x70 cm) sulla quale sono state scolpite anteriormente, oltre allo stemma di Bassano del Grappa, le seguenti:    ANB SEZIONE LA MARMORA – DI BASSANO DEL GRAPPA – IN RICORDO DEI BERSAGLIERI CADUTI – 2009,  e poggiante su questa base si innalza il monumento vero e proprio rappresentato da un monolite di pietra rossa di Asiago alto 225 cm e largo 200 cm dal quale viene verso di noi un bersagliere con la sua bicicletta nella uniforme della Grande Guerra.  il monumento nella sua collocazionequi leggiamo la dedica da parte dell’Associzione Nazionalke Bersaglieri Sezione A. LaMarmora di Bassano del Grappasono ricordati  alcuni noti Bersaglieri collegati con la nostra cittàl’ideatore e gli esecutori del monumentoIl cuore del monumento: la bicicletta, il bersagliere e il caratteristico copricapol’Associazione Nazionale Bersaglieridettagliodettaglio

Per conoscere meglio I BERSAGLIERI CICLISTI descriviamo la  nascita dei Bersaglieri, l’ideatore di questo nuovo raggruppamento, la loro divisa, la bicicletta, e loro principali azioni fino alla loro scomparsa.

 L’EPOPEA DEI BERSAGLIERI

IL FONDATORE – ALESSANDRO FERRERO DELLA MARMORAPer La culla dei Bersaglieri  la troviamo in quel di Torino, dove nacque, il 27 marzo del 1799, Alessandro Ferrero della Marmora, ottavo dei numerosi figli del marchese Celestino e di Raffaella Argentero di Bersezio.

Anch’egli, seguendo la tradizione di famiglia, fu avviato alla carriera militare e nel 1809, poiché era ancora troppo giovane per entrare nell’esercito francese come i fratelli Alberto e Carlo, fu nominato paggio presso il principe Camillo Borghese, governatore del Piemonte.

Con la caduta di Napoleone egli entrò a far parte del ricostituito esercito piemontese come sottotenente soprannumerario (gennaio 1815), divenendo effettivo l’8 maggio 1815.

Prese parte alla campagna di Grenoble di quell’anno;  e poiché il suo reggimento non era stato destinato a quella spedizione, il F., impaziente di cimentarsi sul campo di battaglia, prese il posto di un portabandiera di nome Pagliano per poter così partire.  In quella campagna riportò una grave ferita a causa dell’esplosione di una fiaschetta per la polvere da sparo che teneva in mano.

Nel 1821, in seguito allo scoppio dei moti insurrezionali, il F. combatté a Novara agli ordini del generale V. Sallier de la Tour contro le truppe costituzionali; a riconoscimento del suo valore, il 28 nov. 1821 venne decorato con la croce di cavaliere dei Ss. Maurizio e Lazzaro.

Nel 1831, era Capitano dei Granatieri allorché, con al trono Carlo Alberto, cominciò ad elaborare  le prime proposizioni intorno ad un Corpo speciale, frutto anche delle ricerche condotte in Francia, in Austria e in Prussia, osservando il rendimento delle fanterie leggere in quegli eserciti, allora considerati i migliori d’Europa.

Il sogno di Alessandro La Marmora era quello di creare un corpo di soldati scelti, a piedi, da impiegare nelle azioni più rischiose, corpo che egli considerava necessario in Piemonte, data la speciale morfologia del terreno che alterna pianure, attraversate da numerosi corsi d’acqua, a zone accidentate, di collina e di monte, compresi in un arco di valichi alpini fra i più ardui d’Europa. C’era, sì, un reggimento di cacciatori della guardia, con tre battaglioni di sei compagnie, ma la sua differenza dalla fanteria di linea era solo nominale: identico era l’addestramento; scarsa la cura nella scelta delle reclute; quasi nulla la preparazione per quanto riguardava l’impiego in ordine sparso e la ginnastica. Peraltro, questi tre battaglioni di cacciatori, nel 1831, erano stati soppressi. Il nuovo Corpo doveva esprimere la spigliatezza e l’impeto latino e accoppiare all’abilità del tiro la massima mobilità.

Giovandosi in parte di tali esperienze e aggiungendo criteri propri, concertò il suo piano e lo difese con tenace fervore contro le diffidenze e le opposizioni di chi, imbevuto di pregiudizi, non avrebbe voluto allontanarsi dai vecchi schemi. Uno dei suoi più duri avversari fu il ministro Villamarina.Così “convinto dei servizi importanti che potrebbe rendere una truppa di abili bersaglieri, particolarmente nelle montagne e paesi rotti”, sottopose al Re Carlo Alberto la sua proposta. Questa “proposizione” costituisce la carta fondamentale del Corpo. Vi si legge: “mentre l’ufficio della truppa leggera consiste nel distendersi, coprire di fuoco la linea, e correre sparando, i bersaglieri devono invece portarsi in siti coperti, non sparare se non quando giunti a portata utile, concentrare gli spari su d’un punto solo, e non porre altra cura che di colpire con esattezza”.

All’inizio questo progetto venne osteggiato, ma alla fine Carlo Alberto approvò nel 1836 la costituzione del nuovo Corpo, e  il 10 luglio il reparto era cosi formato: Comandante Alessandro La Marmora; Comandanti di plotone: Viani, Lyons; 115 bersaglieri provenienti in gran parte dai “Granatieri Guardie”. La Marmora scelse personalmente i componenti della 1^ e della 2^ compagnia bersaglieri.

La Marmora aveva previsto e studiato tutto nei più minuti particolari, e i singoli capitoli della “proposizione” danno un’idea esatta della scrupolosità con la quale aveva esposto al Re la sua idea.

Il primo capitolo si occupa della scelta degli uomini ed elenca le qualità e le doti fisiche e morali proprie di quella prima schiera di bersaglieri.

Il secondo riguarda l’arma, cioè il famoso schioppo ideato dal Nostro – appassionato studioso di balistica – in collaborazione con il fratello Alfonso, dopo lunghe esperienze fatte con armi di vari tipi, anche estere. L’arma, a retrocarica, aveva doti molto superiori a quelle della carabina da poco adottata. Non solo il proiettile era in grado di colpire persino a 400 passi e si potevano sparare addirittura sette colpi in due minuti, ma la nuova arma era corredata anche da una baionetta pieghevole della stessa lunghezza del fucile, ed era fornita di un puntale aguzzo nel calcio che rendeva facile “lo scalar picchi, saltar fossi e crepe, scavalcar siepi e muretti”.

Ai due capitoli fanno seguito dei cenni sull’istruzione e, infine, la “proposizione” si conclude con un paragrafo dedicato al servizio principale dei bersaglieri in campagna. Gli scopi precipui del Corpo dovevano essere “di secondare con la precisione ogni operazione principale concentrando il fuoco sopra li capi, aiutanti di campo e altri, portando lo scompiglio nelle file avversarie”. La “proposizione” è così firmata

Sul cadere del 1835, il comandante aveva presentato privatamente a Carlo Alberto, come campione, il proprio furiere Vaira con la divisa da lui stesso ideata e l’armamento; e il Re, colpito da quella figura spavalda di moschettiere, con fiuto giusto di soldato, voltosi a La Marmora, aveva detto: ” Fort bien; a tantot l’institution .”

E in una giornata sfavillante di sole, era il 18 giugno del 1836, i primi bersaglieri sfilarono per le vie di Torino. Erano usciti dalla Caserma Ceppi e in testa marciavano dodici soldati tutti vestiti di nero, agili e svelti che sembravano diavoletti.

La proposta di La Marmora fu tradotta in atto il 10 luglio 1836, con la costituzione ufficiale della prima compagnia bersaglieri. Il battesimo del fuoco avvenne 1’8 aprile 1848. La Marmora, chiamato dai bersaglieri “papà Sandrin”, li guidò all’assalto del ponte del Mincio a Goito, presidiato dagli austriaci. Fino a quel momento era stata impegnata soltanto la seconda compagnia, nella sera del 5 aprile sull’Oglio, al comando del capitano sardo Muscac con 166 uomini e quattro Ufficiali. Qui cadde colpito da una fucilata il Bersagliere Giuseppe Bianchi: il primo caduto piumato. L’8 aprile 1848, al ponte di Goito, un proiettile avrebbe centrato in pieno viso Alessandro La Marmora che venne disarcionato da cavallo. Malgrado il proiettile gli avesse spaccato la mandibola, da terra egli trovò la forza di finire con un fendente l’avversario che gli si era avventato contro.

I bersaglieri del 10° battaglione ebbero una parte da protagonisti nel primo periodo risorgimentale e Alessandro La Marmora si spense in Crimea, nel corso della guerra, a seguito di un attacco di colera. Era il 7 giugno 1855.

La Marmora svolse da sé tutto il lavoro di organizzazione: esaminò gli arruolati, redasse teorie e regolamenti, disegnò la divisa. In principio i bersaglieri portavano un cappello molto curioso con la tesa stretta ai lati a guisa di grondaia, munito internamente di una calottina in ferro atta a proteggere il capo dai fendenti e ornato di piume verdi. Gli Ufficiali portavano la feluca come quella della Marina. In seguito il cappello divenne tondo per assumere quindi la forma tonda e larga come quella attuale, mentre le piume verdi – troppo visibili e poco mimetiche – furono sostituite con quelle nere; gli Ufficiali portarono invece per qualche anno il chepì, finché, con decreto del 1838, Carlo Alberto permise loro l’uso d’un cappello simile a quello della truppa. Cappotti, giubbe, galloni e paramenti subirono pure trasformazioni di forma e di colore; i pantaloni da attillati divennero larghi; i cordoni verdi, che servivano prima per la fiaschetta della polvere e poi per il fischietto di legno, restarono tali, mentre fu introdotta la mantella di panno, sempre corta, per agevolare il movimento.

La Marmora era uomo di grande rigore e fedele alla sua dottrina. Addestrava egli stesso i soldati negli esercizi ginnici, nell’addestramento al combattimento, nella scherma e nel tiro. Soleva dire: ” Fieui! La guerra si fa principalmente con le gambe.” Perciò li esortava a gareggiare nella corsa e premiava chi arrivava primo assegnandogli uno scudo della sua borsa particolare.

Per dedicarsi all’organizzazione del nuovo Corpo aveva dovuto vendere tutte le terre di sua proprietà. “Il a du vendre son bien pour ne penser qu’aux bersaglieri”, scrisse a sua sorella Elisabetta. E si può ben dire che per i bersaglieri diede fondo a tutte le sue sostanze. Egli stesso non si tratteneva dal mettersi in gara con i soldati, vincendoli sempre per velocità e resistenza; e in questo caso il premio dello scudo andava a chi lo raggiungeva subito dopo.

Sulla rapidità di corsa dei bersaglieri, diventata ben presto proverbiale, si raccontano aneddoti curiosi. Una volta La Marmora, dopo aver assistito a Torino alla partenza del Re Carlo Alberto che si recava a Genova in vettura’ ordinò alla truppa di marciare traverso la collina. La marcia si svolse così spedita che i bersaglieri, col loro comandante in testa, si trovarono a Villanova d’Asti in tempo per attendervi il passaggio del Sovrano, al quale, schierati, resero gli onori.

Nel 1839, malgrado le critiche cui erano soggetti i bersaglieri nell’ambiente militare – visti come un corpo rivoluzionario rispetto ai dogmi correnti -, fu composta la terza compagnia.

Alla sfilata del 1842, al matrimonio della duchessa di Savoia, i principi austriaci furono meravigliati nel vedere i bersaglieri e non parlarono che del loro bel contegno. Da allora a La Marmora vennero fatte altre concessioni, e in quello stesso anno fu costituita la quarta compagnia.

Intanto la fama del Corpo si diffondeva anche all’estero. Il Generale prussiano Decker scriveva nel 1844: “Presso i Piemontesi, i fucilieri o cacciatori di montagna hanno il nome di bersaglieri; bene addestrati ai combattimenti isolati ed eccellenti arrampicatori, formano una mirabile fanteria leggera, non superata che da un solo corpo al mondo: gli Zuavi d’Algeria”. La Francia, che aveva istituito i cacciatori di Vincennes, inviò due Ufficiali a Torino per studiare il nuovo Corpo piemontese. Questo fatto finì col far riassorbire le critiche fino ad allora mosse. Ma La Marmora bene intuiva che solo “il campo di battaglia” avrebbe potuto dimostrare, di fronte all’opinione pubblica, la bontà e la saldezza del nuovo Corpo.

Decalogo del bersagliere, secondo La Marmora, aveva queste voci: Obbedienza; Rispetto; Conoscenza assoluta della propria carabina; Molto esercizio di tiro; Ginnastica di ogni genere fino alla frenesia; Cameratismo; Sentimento della famiglia; Amore al Re; Amore alla Patria, e Fiducia in sé fino alla presunzione. I bersaglieri vennero armati di una speciale carabina ideata e fatta costruire appositamente in quanto aveva il vantaggio, rispetto a quelle già in uso, di essere più leggera e di avere un tiro più rapido.

L’UNIFORME DEI BERSAGLIERI 

La prima uniforme consegnata al sergente Vayra è ancora pressoché rispettata, di colore blu scuro, quasi nero, con bottoni opachi, abbottonata fino al collo e con pantaloni con una banda laterale color cremisi.Ma l’emblema per eccellenza di questo Corpo è il cappello nero ornato, principalmente, di penne  nere (di solito da cappone nero e  non da  gallo cedrone, come si trova scritto in qualche lavoro). Il cappello nero è a tese larghe ripiegate ai bordi per riparare dal sole e dalla pioggia e conteneva all’interno una corona di ferro per difendere il capo dalle sciabolate della cavalleria nemica. Sul davanti era posto un fregio in ottone raffigurante due carabine incrociate e una tromba su una coccarda azzurra, colore di Casa Savoia, sostituita poi con la coccarda tricolore.

Sulla sommità del cappello spicca il piumetto o pennacchio, formato, come detto,  da penne nere di cappone, che doveva servire per mimetizzarsi, e inoltre aveva il compito ben importante di proteggere dal sole l’occhio destro per la mira. Veniva, e viene portato tuttora, inclinato sul lato destro della testa in modo da tagliare a metà il sopracciglio e da passare sul lobo dell’orecchio. Secondo la tradizione si indossa inclinato perché La Marmora, lanciò il capello al sergente Vayra, il primo bersagliere a indossare l’uniforme, che lo parò con la testa in modo storto.

Altro copricapo simbolo dei bersaglieri è il fez, che sostituì il berrettino in maglia di cotone di colore turchino con un fiocco rosso, che veniva portato anche sotto il cappello per ripararsi dal freddo e arrivava fino a coprire le orecchie. Secondo la tradizione il fez era il tipico copricapo degli Zuavi, reparti speciali del Corpo di spedizione francese,che lo offrirono ai bersaglieri dopo la battaglia della Cernaia nella guerra di Crimea, in segno di ammirazione per il valore dimostrato da questi soldati.  Allora fu svuotato dall’imbottitura che lo rendeva rigido per poterlo portare morbidamente sulla nuca; oggi si porta con un nappa azzurra, chiamata la “ricciolina” fissata al copricapo da un cordoncino lungo trenta centimetri per consentire di dondolare rapidamente da una spalla all’altra. È un accessorio di tutto rispetto che non deve essere riposto in tasca, né arrotolato in mano o piegato sotto la spallina.

I guanti neri vennero adottati dopo tre anni dalla fondazione del Corpo. Furono all’inizio di colore blu scuro come la divisa, ma furono sostituiti nello stesso anno da quelli di colore nero perché i precedenti perdevano il colore con facilità.

Il colore cremisi ornava le mostreggiature e le filettature della prima giubba della truppa, mentre nell’uniforme degli Ufficiali decorava le spalline, il colletto, le bande e le manopole. Oggi il colore cremisi è rimasto nelle fiamme.

Il cordone verde serviva a sostenere la fiaschetta della polvere da sparo, che cadeva sul fianco destro, oltre che per le trombe e i corni. Oggi viene indossato soltanto con l’uniforme da parata.  DA:  http://www.fantepiumato.altervista.org/divisa_accessori_bersaglieri.html

INTERVENTI BELLICI

Nel 1837 fu costituita la 2^ compagnia, nel 1848, all’atto della guerra contro l’Austria, le compagnie divennero 6 più una settima costituita da studenti volontari. E in questa guerra vi fu l’esordio dei Bersaglieri con le loro capacità di combattimento. Così viene descritto:” L’8/3/1848, la 1^ compagnia del 2° battaglione, comandata dal capitano Lions, entrò in contatto nei pressi di Goito con un distaccamento austriaco. Appena informato dell’episodio, La Marmora, divenuto colonnello, accorse tra i bersaglieri e li divise in due gruppi. Gli imperiali abbandonarono il campo e ripiegarono oltre il Mincio facendo saltare il ponte. Rimase intatto un sottile parapetto che naturalmente fu battuto dalla fucileria e dall’artiglieria nemica. La Marmora venne ferito alla mascella e cadde da cavallo. Il sottotenente Galli della Mantica cadde ucciso. Tutto ad un tratto il bersagliere Guastoni attraversò d’un balzo la radura e si gettò sulla spalletta al grido di: Viva il Re! Avanti tutti! Il capitano Griffino lo raggiunse e, superandolo, passò sulla spalletta seguito da molti fanti piumati. Il ponte fu superato e la riva conquistata.”

Anche la guerra di Crimea (contro i Russi) del 1854-1855 vide la partecipazione dei Bersaglieri e anche qui si fecero notare per il loro valore. In questa guerra morì il loro fondatore La Marmora, come già riferito, colto da colera, il 6 giugno 1855.

Nel 1859, nella seconda guerra d’indipendenza, i Bersaglieri si dimostrarono grandi combattenti sia a Magenta che a San Martino.

Nel 1860 furono presenti nella campagna militare nelle Marche e nell’Umbria distinguendosi a Castelfidardo, a Spoleto, e in Campania sul Garigliano, durante l’assedio di Gaeta.

Nel 1861 la denominazione passò da Corpo dei Bersaglieri a quella semplice di Bersaglieri.

Nel 1866 parteciparono alle più importanti battaglie : Monte Cricol, Casa Mongabia, Monte Vento, Custoza, Villafranca, Primolano, Borgo e Levico.

Anche nella liberazione di Roma i bersaglieri ebbero un ruolo importante. Nel 1864 era stata stipulata una convenzione tra il Governo italiano e quello francese che obbligava il primo a non attaccare lo Stato Pontificio ed ad impedirne qualunque attacco dall’esterno. Ma la Francia , dopo circa due anni, si ritirò dal patto, e il Papa sostituì le truppe francesi con un esercito proprio di mercenari. Nel 1867, a seguito di provocazioni dell’esercito pontificio, Viterbo si ribellò. Garibaldi tentò allora di marciare su Roma ma fu arrestato dalle truppe italiane e confinato a Caprera da dove fuggì per prendere il comando dei volontari dirigendosi sulla capitale. Il Papa chiese allora aiuto ai francesi che inviarono una divisione, che si scontò con i garibaldini a Mentana ed a Monterotondo, ma le giubbe rosse furono sconfitte. Dopo tale impresa i francesi tornarono a difendere Roma, ma durò poco. Difatti, per problemi legati alla guerra contro la Prussia i francesi ritirarono la loro divisione. Il governo italiano colse quell’occasione per deliberare l’occupazione delle province romane. lI 12 settembre 1870 , forti di 60.000 uomini, le truppe italiane passarono il confine. Diciassette battaglioni bersaglieri parteciparono all’operazione. L’attacco, principale si ebbe a Roma, a Porta Salaria e a Porta Pia; era il 20 settembre del 1870. lI 12° battaglione, in un impetuoso assalto si gettò sulla breccia aperta dal tiro dell’artiglieria a Porta Pia. Nelle prime ore del pomeriggio Roma fu occupata interamente, e col plebiscito del 2 ottobre andò a far parte del Regno d’Italia.

I BERSAGLIERI CICLISTI E LE LORO IMPRESE BELLICHE

STORIA DELLE BICICLETTE  

CODICE ATLANTICOVerso la fine del XV secolo, sul retro di un foglio di pergamena del Codice Atlantico, tra i disegni di Leonardo e dei suoi allievi, compare il progetto di un congegno a due ruote, molto somigliante  ad una bicicletta.

IL CELERIFERO Veicolo costruito verso la fine del  diciottesimo secolo, formato da un telaio diritto che portava due ruote una dietro l’altra: la persona vi si poneva a calvalcioni e dava il movimento puntando i piedi in terra. E’considerato l’antenato della bicicletta.

IL VELOCIPEDE DRAISINA Il primo veicolo a due ruote per il trasporto personale fu inventato nel 1816 dal barone tedesco Karl Christian Ludwig Drais von Sauerbrohn. La “draisina”, così chiamata in suo onore, era una macchina molto semplice: si spingeva con i piedi e si sterzava manovrando la ruota anteriore. Drais riteneva che la sua “macchina da corsa” (Laufmaschine) avrebbe sostituito il cavallo, superandolo in efficienza ed economicità (avrebbe consentito di risparmiare i costi della biada). Non aveva, però, tenuto conto delle difficoltà legate alla guida delle draisine: facili cadute, suole delle scarpe che si consumavano rapidamente… La draisina rimase un giocattolo alla moda per giovani aristocratici, non a caso detto anche hobby horse (cavallo da divertimento). I costruttori si sbizzarrirono a inventare forme stravaganti, scolpendo nel legno cavalli, serpenti ed elefanti. (DA Museo Galileo di Firenze)

IL BICICLO MICHAUXA cavallo della draisina era facile sporcarsi calzoni e calzature. Inoltre, frenando con i piedi, le suole delle scarpe si consumavano rapidamente. Questi problemi furono risolti nel 1861 dal meccanico francese Ernest Michaux. Egli aggiunse i pedali alla ruota anteriore e, qualche anno più tardi, una coppia di freni: nacque così il biciclo, o draisina a pedale. L’impatto delle ruote di legno contro il fondo stradale produceva però fastidiose vibrazioni, che valsero al veicolo il soprannome di “scuotiossa” (boneshaker). Ciò nonostante, i bicicli riscossero in breve tempo un grande successo, sia commerciale che di pubblico: basti pensare che in tutto il 1865 i Michaux avevano prodotto 400 velocipedi, mentre nel 1869 ne fabbricavano 200 al giorno. A Parigi, in sella a un biciclo Michaux, si poteva vedere il figlio di Napoleone III (soprannominato Velocipede IV), mentre dall’altra parte dell’Atlantico erano gli studenti di Harvard e Yale a sfrecciare sulle due ruote nei campus universitari. /da Museo Galileo di Firenze).  Negli anni successivi si aggiunsero alcune migliorie soprattutto sui freni. (DA Museo Galileo di Firenze)

IL BICICLO ARIELIl successo dei velocipedi a pedali stimolò i costruttori a cercare nuove soluzioni e a produrre nuovi modelli. Furono gli inglesi gli inventori più attivi: James Starley e William Hillman, di Coventry, brevettarono nel 1869 il biciclo “Ariel”, (immagine sopra), caratterizzato da una ruota anteriore molto più grande di quella posteriore. Per promuovere il proprio veicolo, Starley e Hillman, in sella all’Ariel, percorsero in un solo giorno i 153 km tra Coventry e Londra, attirando l’attenzione della stampa. Per diversi decenni l’Ariel fu il modello più comune di biciclo, copiato e modificato da moltissimi costruttori. Interamente di metallo, era più leggero dei precedenti velocipedi. L’impressionante diametro della ruota anteriore serviva per aumentare la distanza percorsa con un’unica pedalata, ma, una volta in sella, mantenere l’equilibrio e non travolgere i pedoni richiedeva un notevole sforzo. (da Museo Galileo  di Firenze). Modelli successivi migliorarono la frenata e il confort.

LA BICICLETTA E IL BICICLETTO

Nel 1879 un produttore di Coventry, Harry John Lawson, brevettò un biciclo con trasmissione a catena e ruote di piccole dimensioni. Lo chiamò bicyclette. Il modello non ebbe successo, ma dette l’avvio a una nuova stagione nel design dei bicicli. Il diametro ridotto delle ruote aumentava la sicurezza del veicolo senza sacrificarne la velocità. Inventori di paesi diversi brevettarono vari congegni per aumentare comfort e sicurezza. Nel 1888 l’inglese John Boyd Dunlop inventò il pneumatico ad aria; tre anni più tardi il francese Édouard Michelin introdusse il copertone, perfezionato successivamente da Pirelli. Nel 1884 il torinese Costantino Vianzone presentò il “bicicletto”, dotato di telaio e forcelle di legno e ruote in corda. Un anno dopo, (1885),  il milanese Edoardo Bianchi cominciò la produzione di bicicletti su scala industriale con ruote della stessa dimensione  (e nel 1888 montò le gomme a camera d’aria Dunlop al posto delle piene fino ad allora utilizzate) . Il termine italiano “bicicletta” divenne d’uso comune alla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento.

LE BICICLETTE MILITARI

Bicicletto Bianchi 1890

Negli stessi anni  si rese più agevole questo mezzo di movimento: entrambe le ruote furono portate a 30 cm di diametro, il telaio completamente in ferro del peso complessivo di 30 Kg, il rocchetto, inizialmente fisso, fu sostituito da cuscinetti e le forcelle dotate di ammortizzatori.

Tali biciclette cominciarono a farsi vedere già nel 1887 alla rivista militare di Rubiera (RE) : ogni reggimento di bersaglieri ne aveva 3 in dotazione, costruiti da una ditta di Milano (Bianchi) : si era quindi capito che questo mezzo era ideale per velocizzare l’opera delle staffette portaordini e per velocizzare le manovre belliche, ma non si compresso appieno le potenzialità di questo mezzo.

Le comprese un giovane ufficiale dei Bersaglieri, il tenente Luigi Camillo Natali, che, sulla spinta delle innovazioni tecnologiche di allora, si era in particolare appassionato al nuovo mezzo di spostamento e aveva inviato allo stato maggiore una dettagliata relazione sulle potenzialità del mezzo. Ma per lungo tempo non ci fu risposta.

Trovarono invece nel Gen. Carlo Ferraris, comandante della scuola tiro di Parma, un ascoltatore favorevole alla introduzione del nuovo mezzo, e caldeggiò le richieste del tenente. Intanto nel 1892 venne presentata, su idea del Natali, la bicicletta pieghevole adatta ad essere trasportata a “spalla”, inoltre  il Natali aggiunse degli spallacci in modo che il bersagliere potesse trasportare il suo mezzo sulla schiena, alternando lo spostamento a piedi con quello su ruote in base alla conformazione del terreno e alle necessità d’intervento.

Nel 1895 sedici bersaglieri ciclisti agli ordini di Natali si esibirono, durante grandi manovre in vari esercizi su salite, fossati e terrapieni. Uno dei più difficili era quello nel quale si partiva di corsa, impugnando il manubrio e poi, slacciando all’indietro la gamba destra, con un balzo si inforcava il sellino.

Natali, nel frattempo promosso capitano, fu incaricato di formare una prima compagnia sperimentale di Bersaglieri ciclisti che ebbe il battesimo il 15 Marzo 1898. Per questa fase iniziale vennero scelti uomini già pratici di bicicletta, fra i migliori del dodicesimo reggimento del Corpo, dando prova convincente, sin dall’inizio, dell’estrema funzionalità del reparto.

Nel 1899, alle manovre di cavalleria, la prima compagnia dei Bersaglieri ciclisti formata da Natali entusiasmò tutti, facendo intuire l’importanza che avrebbe assunto la bicicletta nell’esercito di allora, tanto che Roma dette l’ordine di dar vita ad altre due compagnie, il cui comando venne affidato al maggiore Giuseppe Cantù. Nella Scuola di tiro di Parma, l’addestramento degli aspiranti Bersaglieri ciclisti era particolarmente duro e accurato perché necessitavano di una preparazione particolare dovendo dimostrare velocità di spostamenti con la bicicletta e sparare con rapidità e precisione giunti in postazione onde preparare il terreno ai mezzi pesanti. Alla luce di tutte le prestazioni che poteva dare un reparto così addestrato, fu deciso di dotare ogni reggimento di un battaglione di Bersaglieri ciclisti.

E fu il solito Cap. Natali a formare i regolamenti, i programmi di addestramento e d’istruzione e suggerire all’industria il perfezionamento della bicicletta particolare del Bersagliere e a renderla pieghevole per portarla, all’occasione, a spalla, la cui meccanica era stata ridotta al minimo indispensabile per ridurre notevolmente la manutenzione e mettere alla portata di tutti eventuali riparazioni, a tutto vantaggio, però della trasportabilità delle armi e munizioni: infatti c’era l’alloggiamento per moschetto al centro della caretta – così era chiamata familiarmente tra i fanti piumati la bicicletta – in un apposito zainetto c’era tutto l’equipaggiamento: borraccia, gavetta ecc., dietro il sellino era alloggiata la mantellina. Il programma di addestramento presumeva che chi entrava nel Corpo dei Bersaglieri ciclisti sarebbe diventato un provetto ciclista: 110-120 km al giorno ad una media oraria di 15 km su una bicicletta del peso di 26 kg , che diventava di 40 per i mitraglieri: la mitragliatrice Fiat 14 veniva divisa in tre parti per rispettivi tre Bersaglieri.

Nel 1911 fu indetto dal Ministero della Guerra un bando per la fornitura di biciclette specificamente militari (le biciclette finora utilizzate erano biciclette di tipo civile adattate alle esigenze dei bersaglieri ciclisti. Il test venne eseguito su 3000 km di strade in gran parte di campagna.

Vinse la ditta Bianchi di Milano. Il modello “1912” Bianchi era dotato di un telaio pieghevole del peso di 14 kg con apposite cinghie per il trasporto a spalla; la trasmissione era a catena e il sistema a ruota fissa permetteva al ciclista di frenare agendo direttamente sui pedali.

Ma la vera novità fu che, per la prima volta in assoluto, nel mod. “Bersagliere” la rigidità delle ruote veniva compensata da due amortizzatori. Nasceva così la “full sospension”, sistema oggi utilizzato soprattutto per le montain bike.

La bicicletta militare, affettuosamente chiamata come detto “Carriola” dai Bersaglieri, veniva prodotta in varie versioni: c’era quella per fuciliere e quella per porta-munizioni che montava le cassette di cartucce sopra la canna e il manubrio. La bicicletta da ufficiale era simile a quella da truppa ma era arricchita da alcuni optional: fanale, freno – anche – posteriore a filo di acciaio, parafanghi, campanello, porta-sciabola anteriore e borsetta porta-attrezzi sotto la sella. La versione per mitragliere poteva trasportare, divisa in tre parti, la mitragliatrice media Fiat-Revelli Mod. ‘14: il treppiede su una bicicletta, l’arma con canna e manicotto di raffreddamento su un’altra, il bidone a pompa per l’acqua sulle spalle di un terzo bersagliere.

Erano quindi particolarmente importanti, per i ciclisti mitraglieri, non solo la forza e la resistenza fisiche, ma anche il coordinamento e lo spirito di squadra.

LE IMPRESE BELLICHE

1912 – esercitazione di bersaglieri ciclisti

Con lo scoppio nel 1915 della Prima guerra mondiale i battaglioni ciclisti vennero staccati dai rispettivi reggimenti e impiegati isolatamente o a gruppi, in genere di 3 battaglioni, in unione con la cavalleria, ma più spesso con la fanteria. Il “1° ciclisti” da Napoli, dove era di stanza, al comando del ten. col. Giovanni Beruto, venne inviato il 5 giugno sul Tagliamento alle dirette dipendenze del X corpo d’armata. Il 9 ottobre 1916 espugnò Caston di Lora e il giorno successivo ampliò la conquista sull’Alpe di Carmagnon. Da ricordare che Enrico Toti, l’eroico mutilato, era un bersagliere ciclista, volontario nel 3° reggimento che cadrà sul Carso nel 1916 lanciando la sua gruccia contro gli austriaci.Enrico Toti dal libro “I Bersaglieri – mitologia cremisi” di Nino Tramonti, 1938

Nel 1920, nel dopoguerra quindi, tutti i battaglioni ciclisti furono sciolti, per essere poi nel 1923 ricostituiti in ciclisti sei dei dodici reggimenti. In questo frangente il Regio esercito richiese anche un nuovo modello aggiornato di bicicletta alla Bianchi, che produsse i modelli “1924” e “1925” dotati di cambio e di un nuovo snodo della forcella posteriore. Il modello 1934, poi, si doterà anche di mezzi parafanghi e di una diversa ruota dei pedali. Nel 1924 tutti i dodici reggimenti Bersaglieri, allora esistenti, saranno ciclisti, ciascuno composto da due battaglioni. Negli anni successivi le compagnie motociclisti cominciarono a integrare e a sostituire i battaglioni ciclisti, e già nel 1936 il 1° ciclisti venne sciolto. Nel 1940 venne ricostituito il 1° battaglione ciclisti e partecipò durante la seconda Guerra mondiale alle operazioni del fronte greco-albanese e Jugoslavo e del fronte occidentale.

Fu sciolto definitivamente nel 1943.

****** concludo questo file ricordando la strage di Bersaglieri ciclisti del 7° Btg,  avvenuta il 26 maggio 1916 a Tresché Conca di Roana, Altopiano di Asiago

Fatto Storico. Il Battaglione proveniente dal Carso per portare rinforzi sul Fronte, dopo essere salito con grandi sforzi sull’Altopiano, prese posizione in località Treschè Conca e nel mentre un bersagliere veniva inviato a cercare acqua tra le case oramai abbandonate, il Comandante radunava tutti per le varie consegne. Proprio in quel momento cadde una granata lanciata dalle postazioni di artiglieria austriache dislocate lungo la Valdastico grazie anche alla mirata segnalazione di una aereo dotato di apparato radio (uno dei primi velivoli dotati di sistemi di comunicazione radiofonica). Morirono 79 bersaglieri e vi furono oltre un centinaio di feriti.

PRINCIPALI FONTI DOCUMENTALI

I BERSAGLIERI NELLA GUERRA MONDIALE, di Renzo Dalmazzo,  Bologna. L. Cappelli, Editore, 1934

I BERSAGLIERI. Antologia “cremisi”, di Nino Tramonti, Priulla, Palermo, 1938

I BERSAGLIERI – Le origini, l’epopea e la gloria, di Manlio Garofalo, Pio Lancella, Antonio Miele. Associazione Nazionale Bersaglieri, Presidenza Regione Autonoma Friuli.Venezia Giulia, aprile 1997

STORIA DELLA BICICLETTA, dalle origini alla mountain bike. Touring Club Italliano, 1991

IL LIBRO DELLA BICICLETTA. Una storia per immagini, Gribaudo, 2019

Bassanonews, maggio/giugno 2014 – Correre è il loro stile di vita. Sono i Bersaglieri, di Andrea Minchio e Andrea Gastner

https://www.museogalileo.it

http://www.fantepiumato.altervista.org/divisa_accessori_bersaglieri.html

https://bersaglierimonfalcone.jimdofree.com/i-bersaglieri/bersaglieri-ciclisti/

https://www.lastampa.it/cultura/2017/03/03/news/anno-1875-l-esercito-scopri-la-bicicletta-1.34628386

https://sites.google.com/site/decimobersaglieri/storia-del-corpo

https://bersaglierimonfalcone.jimdofree.com/i-bersaglieri/bersaglieri-ciclisti/

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pubblicato 12-04-2021

sono sempre a disposizione per  inserire immagini chiare e documentate  (specie sulle biciclette antiche originali  dei bersaglieri ciclisti ) e per eventuali altri documentati (VB)

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