VILLA REZZONICO
LA SUA STORIA SECOLARE
di Vasco Bordignon
2021, maggio: ecco la bellissima nuova facciata della Villa a termine del restauro complessivo di tutte le superfici , tetti compresi.
Inoltre la facciata è stata arricchita da un grandioso stemma, riferito al personaggio più significativo della famiglia Rezzonico, Carlo Rezzonico elevato al soglio pontificio con il nome di Clemente XIII, di cui vediamo lo stemma.
da ottobre 2020 la villa è sottoposta ad un complesso restauro esterno
panoramica attuale della Villa Rezzonico e delle sue barchesse prima del restauro
Santa Maria di Rezzonico, sul lago di Como, è stato il nome assunto dal comune di Rezzonico quando nel 1928 assorbì, per regio Decreto, i soppressi municipi di San Siro e di Sant’Abbondio. Tale comune, poi, il 30 marzo 2002, per decreto della Regione Lombardia, è poi confluito, nuovamente insieme a Sant’Abbondio, nel ricostituito comune di San Siro.
Questo comune è importante, oltre al suo fascino turistico, per la presenza a Rezzonico di un castello già esistente nel 1260, con torre, rafforzato più avanti con quattro torri angolari provviste di merli ghibellini. Fu completato nel 1357.
immagini del castello
(Il castello sorge all’estremo nord dell’abitato, sopra una roccia che di pochi metri sovrasta l’attigua sponda del Lario, ed è tutto cinto da cortine merlate: la fronte corre lungo la strada provinciale Regina, ed a’ suoi estremi sorgono due torricelle, mentre sul lato opposto, in faccia all’ingresso principale, s’alza il robusto torrione principale che ne forma il maschio, e da esso si stende un bel giardino che scende al lago. La pianta del castello è pentagonale, perché il rettangolo di base è fortemente smussato in un angolo. Da Giussani)
I proprietari erano i Della Torre di Rezzonico, probabilmente originari di Sant’Abbondio, un nome che si ripete nella famiglia per più generazioni. I Rezzonico si occupavano di attività commerciali e, nel periodo più florido dell’epoca viscontea, sedevano, in Comune di Como, tra il consiglio generale, detto consiglio dei decurioni. A Como esiste tuttora un Viale Rezzonico, che era l’asse dei fabbricati cittadini di loro proprietà.
Nella prima metà del Seicento un Carlo Rezzonico, figlio di Francesco Abbondio, si trasferì col fratello Aurelio a Genova. Dall’Archivio genovese risulta avviata in quell’epoca la “Ditta cantante (=ragione sociale) Aurelio Rezzonico”, di cui erano soci e finanziatori i comaschi Cernezzi (un’altra importante famiglia di Como), interessati ad attività di scambi commerciali e di prestito. La Ditta ebbe fortuna e in pochi anni i Rezzonico si qualificarono come banchieri tanto da diventare fiduciari in Genova del Sacro Romano Impero.
Carlo Rezzonico sposò, l’8 gennaio 1651, Maria Eugenia Sedevolpe, che aveva buona dote e consistenti proprietà nel territorio genovese. Da questa unione nacque il 7 novembre 1651 il figlio Quintiliano che circa trent’anni dopo sarebbe succeduto al padre nella conduzione degli affari di famiglia. Rimasto vedovo, Carlo, in seconde nozze sposò Maria Antonietta Nascio, dalla quale ebbe sette figli, tra cui Abbondio il 20 dicembre 1667 e, il 31 gennaio 1671 Giovanni Battista o Giambattista che sarà poi il padre del Pontefice Clemente XIII.
Aurelio Rezzonico però non restò molto a Genova: per temperamento era desideroso di nuove esperienze, di nuove occasioni; aveva la passione per i viaggi e non si sposò. Nel 1638 aprì in Venezia una succursale della Ditta: lì aveva non soltanto un mercato più ampio di quello genovese, ma anche era a breve distanza dai territori asburgici. La Ditta continuava infatti a curare gli interessi imperiali, in particolare quelli delle miniere di mercurio d’Idria, oggi in Slovenia, i cui utili venivano poi recapitati a Genova “a vetture” (noi diremmo a camionate) come dichiara un documento imperiale del 29 novembre 1665. Quel documento portava allegato un diploma: Aurelio e Carlo venivano nominati dall’Imperatore Leopoldo I “Freiherren”, che a quel tempo corrispondeva a Liberi Baroni del Sacro Romano Impero. Sul loro stemma l’aquila nera dei “torrigiani” comaschi di Rezzonico diventò bicipite come quella degli Asburgo, conservando le due torri originarie in campo azzurro (immagine sottostante).
Anche papa Innocenzo XI si affiderà nel 1683 ai fratelli Quintiliano e Giovanni Battista, figli di Carlo Rezzonico, per consegnare al re di Polonia Giovanni Sobieski i capitali da impiegare contro i Turchi che assediavano Vienna.
In mezzo secolo, quindi, i Rezzonico avevano realizzato una finanziaria internazionale e la filiale veneziana era diventata la sede delle attività principali tanto che si trasferirono a Venezia i giovani Quintiliano, Giovanni Battista e Abbondio.
Aurelio, invecchiando (morì il 24 agosto 1682) cominciò ad interessarsi più della tomba di famiglia che degli affari. Infatti la fece costruire presso la Sacrestia dell’Ospitale di San Lazzaro dei Mendicanti, donando anche 60.000 ducati.
La stessa somma donò nel 1687 Quintiliano alla Repubblica di S. Marco come sostegno per la difficile crisi economica conseguente alla disastrosa, lunghissima guerra di Candia (1645 – 1669) e al dono aggiunse un prestito di altri 40.000 all’esiguo interesse del 4%, quando era corrente il 20/ 25%. Il compenso del governo dogale giunse immediatamente: Quintiliano, Giovanni Battista e Abbondio vennero iscritti come Patrizi nel Libro d’oro dell’Avogaria del Comun ed ebbero l’ingresso nel Maggior Consiglio per loro e per i loro discendenti.
Quintiliano, come lo zio Aurelio, restò scapolo. Abbondio divenne abate e successivamente nominato governatore di Città di Castello ed ebbe altri incarichi istituzionali a Bologna, ad Ascoli, ecc. Fu assassinato a Roma nel 1709) . Per continuare il casato rimase Giovanni Battista che il 6 febbraio 1691 portò all’altare Donna Vittoria Barbarigo di famiglia dogale: il 12 gennaio 1692 nasceva Aurelio e il 7 marzo 1693 Carlo, che sarebbe diventato Papa, portando all’apice i fasti della famiglia.
I Rezzonico in quest’epoca stavano in affitto nel palazzo Fontana in Cannaregio, attenti risparmiatori alla “genovese”, alieni da esibizioni di lusso: il capofamiglia Quintiliano non cedette mai alle pressioni della cognata Donna Vittoria, che voleva una casa di proprietà, e infatti morì nel 1726 in questo Palazzo.
Giovanni Battista intanto per alcuni decenni perseguì e sviluppò un vero “piano di investimenti immobiliari”, acquistando campi e botteghe sia a Venezia sia in terraferma: negli anni venti acquistò tre beni immobili, negli anni trenta tredici, negli anni quaranta quindici, e anche negli anni cinquanta acquistò altri beni immobili. In terraferma raggiunse proprietà di quasi 2500 campi.
Anche la villeggiatura dei Rezzonico si trascorreva in affitto: Giovanni Battista, che sarà poi podestà a Treviso nel 1717, aveva scelto come residenza estiva Bassano e per più anni prese in affitto una casa civile con brolo situata poco oltre Via Ognissanti, in vista della villa dei padovani Forcadura (o Forzadura), un edificio di cui si hanno rimanenze nell’ambito dell’odierno Collegio Vescovile Graziani.
l’attuale facciata della villa Forcadura
(Della Famiglia Forcadura abbiamo alcune notizie da Francesco Memmo nel suo libro su “Vita e macchine di Bartolommeo Ferracino”). Jacopino Forcadura nel 1200 costruì un oratorio dedicato a San Vittore. Nel 1393 il conte Andrea Forcadura divenne segretario familiare del duca Galeazzo Visconti, successivamente eletto al governo del Marchesato di Caravaggio e poi promosso al Vicariato di Vicenza. A seguito di questi servizi, il Duca consentì di inserire nello stemma dei Forcadura l’immagine del serpente com’era nello stemma dei Visconti. Nel 1405 Andrea fu inviato in commissione a Venezia per portare la sottomissione di Bassano. Nel 1437 un Matteo Forcadura venne inviato a Venezia a per difendere il giuspatronato nella scelta dell’Arciprete di Bassano. 1531, 14 novembre: Matteo Forcadura fu eletto sindaco di Bassano: è lui che sostenne di rifare in legno il ponte distrutto dalle piene del fiume Brenta quando altri sostenevano di farlo in pietra. Nel 1536 la famiglia Forcadura si divise in due rami: Alvise andò ad abitare a ridosso della via Nova, in Borgo Leon (attuale sede del Graziani) e il nipote Pietro andò ad abitare in Contrada del Bo’ (ora Via Giuseppe Barbieri). Più avanti, non si conosce la data, la famiglia Forcadura andò a vivere a Padova, come pure non si conosce quando un discendente di questo ceppo padovano un certo Francesco Forcadura tornò a vivere a Bassano nella casa di Borgo Leon. Tuttavia sappiamo che nel 1693 fece istanza al Vescovo di Vicenza di essere autorizzato a fabbricare una Chiesa-oratorio, accanto alla sua casa, da dedicarsi alla SS. Trinità, cosa che si realizzò. Poi non ci sono altri dati sulla famiglia Forcadura).
Tra i Rezzonico e i Forcadura si stabilì una buona amicizia, tanto che, per ritrovarsi con loro in abituale villeggiatura, nel 1701 Giovanni Battista comprò 23 campi a ridosso della Via Nova per Padova fuori del Borgo Leon, molto vicino alla residenza dei Forcadura.
(Nell’ultimo quarto del XIII secolo, sotto il controllo di Padova, fu realizzata la “Via Nova”, una grande via di comunicazione in linea retta che partiva dalla Loggia comunale di Bassano per immettersi nella attuale via Roma, quindi in Via Beata Giovanna, e poi, sempre in continuazione diretta, in Via Rezzonico, in Nazionale fino a giungere al Croceron, ai confini di Rosà)
In questo terreno inizierà la storia della Villa Rezzonico che subirà negli anni vari interventi a seconda delle necessità o aspirazioni dei Rezzonico. Non abbiamo certezze sulle date e sulle variazioni avvenute. Le ricostruzioni che troviamo nei testi degli ultimi decenni sono tra loro non esaustivi, per cui mi atterrò a date certe.
Nel primo periodo (1701-1703) Giovanni Battista, su quattro dei suddetti campi acquistati, fece subito costruire una casa padronale, quindi una normale casa di campagna, con giardino, orto e brolo. Ne fu capomastro di questa costruzione Francesco Zaghi, dichiarato nei documenti “protto di Ca’ Rezzonico” (Protto o Proto nel dizionario del Boerio del 1829 è “il primo in alcuna arte ma specialmente in quella de’ Muratori”) e i lavori terminarono nell’agosto del 1703. Rispetto all’attuale struttura edilizia, viene attribuito a questo periodo ciò che è compreso tra le quattro torri: una casa padronale più bassa dell’attuale, suddivisa in due piani con al suo interno varie camere e anche un salone centrale dal quale partivano le scale per il piano superiore, e una grande cucina nel piano seminterrato.
In un secondo periodo (che potrebbe concludersi entro la metà del Settecento), si realizzarono una serie di lavori che a poco a poco la casa di campagna e di villeggiatura di Giovanni Battista venne trasformata in una villa-castello, una suntuosa dimora patrizia, espressione della sempre maggiore importanza della famiglia Rezzonico non solo nella società laica, ma anche in quella religiosa con la nomina di Carlo a Cardinale nel 1737 e poi Vescovo di Padova nel 1743.
Entro questi decenni si innalzarono le quattro torri angolari, si sopraelevò il coperto della struttura centrale a parallelepipedo e si costruì a meridione l’elegante foresteria o barchessa e, a settentrione, a discreta distanza dal palazzo, un lungo rustico ad arcate per soddisfare le necessità della produzione agricola e per ricovero degli animali, essendosi aggiunte altre proprietà terriere.
Per dare maggiore respiro alla nuova struttura assai compatta e rigida fu creata un’ampia esedra (definita come ambiente o spazio, di solito scoperto, delimitato da struttura planimetrica semicircolare), al di là della “Via Nova” in una continuazione virtuale con il giardino già esistente della villa.
Alcuni studiosi identificano l’autore di questi interventi nell’architetto Giorgio Massari (1686-1766), già in opera con i Rezzonico a Venezia. Infatti dopo la morte di Quintiliano (1726) non c’erano più ostacoli per realizzare “un palazzo Rezzonico”. Fu proprio l’architetto Giorgio Massari a costruirlo nella zona di Santa Lucia. Tuttavia questo edificio non era né un gran palazzo né posizionato in una zona di visibilità, anzi si trovava in un’area periferica. (Questo palazzo sarà demolito nel 1850, assieme ad altri palazzi e al monastero e alla chiesa di Santa Lucia, quando venne costruita appunto a Santa Lucia la stazione ferroviaria).
Il Massari, nel periodo 1730-1735, non era attivo solo a Venezia, ma anche a Bassano e in altre varie ville vicentine. A Bassano infatti iniziava nel 1733 l’oratorio della villa e lo portò a termine nel 1734. Anche la barchessa meridionale è verosimile che sia del Massari in quanto esprime modelli architettonici consueti in sue numerose realizzazioni.
Giussani nel suo lavoro del 1931 si pose la domanda da dove poteva provenire questa particolare struttura con le quattro torri angolari che le danno quasi l’aspetto d’un castello e formulò l’ipotesi che l’architetto della Villa bassanese si sia ispirato al grandioso palazzo delle quattro torri sul Lario, che Tolomeo Gallio, cardinale di Como, nel 1583-86 face erigere da Pellegrino Tibaldi sull’amena spiaggia di Gravedona sul lago di Como. E’ ovvio che quell’architetto realizzerà ciò che i proprietari finanziatori gli avranno chiesto. E i Rezzonico erano molto legati alla loro terra e al loro nome Della Torre.
Immagine del palazzo Gallio
Bassano quindi diventava un importante sito tra Padova e l’Altopiano di Asiago compreso nella diocesi patavina, e diveniva luogo d’incontro per tutta la famiglia durante la villeggiatura. La villa si prestava quindi a diventare emblematica per i discendenti dei mercanti comaschi che in un secolo erano diventati patrizi veneziani e col 1758 avrebbero raggiunto il soglio pontificio che tennero fino al febbraio 1769.
Intanto a Venezia, essendo il palazzetto di Santa Lucia troppo periferico, nel 1745 Giovanni Battista comprava per 60.000 ducati da Filippo Bon un palazzo sul Canal Grande lungo il rio San Barnaba, ideato dall’architetto Baldassarre Longhena (Venezia 1596 o 1597 – Venezia 18 febbraio 1682), ma che era rimasto incompiuto per i suoi enormi costi che avevano causato il dissesto economico del committente, il suddetto Filippo Bon, Procuratore di San Marco, che avrebbe voluto con questo palazzo rappresentare i fasti dell’antica sua famiglia veneziana (un suo avo aveva portato nel 828 il corpo di S. Marco da Alessandria d’Egitto a Torcello). La costruzione del Palazzo non era andata oltre il primo piano (1667) e l’architetto, non avendo ottenuto quanto concordato, portò il Bon in sede giudiziaria. Oltre mezzo secolo dopo il Massari completò o interpretò, come è probabile, il progetto del Longhena e nel 1746 i Rezzonico poterono trasferirsi nel Palazzo Nuovo.
Ca’ Rezzonico, litografia ottocentesca di Marco Moro
Il 13 dicembre 1756 morì Giovanni Battista, e la villa bassanese passò in proprietà ad Aurelio con i suoi figli (Ludovico, Giovanni Battista e Abbondio)
Il 15 gennaio 1758 Ludovico si sposò con Faustina Savorgnan, ma non ebbe figli.
Il 16 giugno 1758 il cardinale Carlo Rezzonico divenne papa con il nome di Clemente XIII.
Ritratto di papa Clemente XIII Rezzonico di Anton Raphael Mengs (Aussig 1728 – Roma 1779
Ritratto di gruppo della Famiglia Rezzonico con il ritratto di Clemente XIII, Acquaforte e bulino di Giuseppe Filosi (non si conoscono suoi dati biografici)
Tutta la famiglia Rezzonico, al tempo dell’elezione di papa Clemente XIII, è chiamata a raccolta attorno al ritratto del pontefice posto al centro, entro cornice con triregno pontificio, sotto un baldacchino. Ai lati vi sono due sculture raffiguranti la Giustizia e la Pace garantite dal suo pontificato. Da sinistra a destra si riconoscono, seguendo la didascalia posta in fondo alla stampa, Faustina Savorgnan e il consorte Ludovico Rezzonico, nipote del pontefice; Vittoria Barbarigo e il cardinale Carlo, rispettivamente madre e nipote del Papa. A seguire, nel gruppo di destra, Abbondio, il terzo nipote del Papa, quindi Aurelio, fratello del Papa in veste di procuratore di San Marco, con la moglie Anna Giustinian, e da ultimo Giovanni Battista altro nipote del papa.
Tale elezione comportò per la famiglia Rezzonico un ulteriore salto di “qualità” tanto che Aurelio, fratello del Papa, e suo figlio maggiore Ludovico, il 10 luglio 1758 vennero insigniti dalla Repubblica di Venezia del titolo di Cavalieri di San Marco.
Il 18 luglio 1758 Aurelio divenne anche procuratore di San Marco de Supra.
(La carica di Procuratore di S. Marco, attestata già a partire dal IX secolo, era una delle più prestigiose e l’unica, oltre a quella ducale, a essere a vita. Dal 1231, al solo Procuratore venne affiancato un secondo, nominato non più dal Doge ma dal Maggior Consiglio; nel 1259 passarono a tre, nel 1261 a quattro, nel 1319 raggiunsero il numero di sei ed infine nel 1442 la carica venne attribuita a nove patrizi, distinti in tre Procuratorie: 1. ‘de supra’, per l’area della Piazza S. Marco, 2.’de citra’ (citra ovvero al di quà del Canal Grande) per i sestieri di San Marco, Castello e Cannaregio, 3. ‘de ultra’ (al di là del canale) per i sestieri di Dorsoduro, Santa Croce e San Polo. La giurisdizione dei Procuratori riguardava il controllo della trasmissione della ricchezza privata, che li rendeva di fatto esecutori testamentari della città, tutori dei beni delle vedove e del minori, delle sostanze lasciate “pro anima vel ad pias causas” nonché anche custodi di patrimoni di singoli, per lo più principi stranieri (da internet)
Nel 1758, evidentemente per omaggio al Papa eletto, i Rezzonico furono ascritti anche al Patriziato genovese.
Il 16 novembre 1759 morì Aurelio, il fratello del Papa.
Nel dicembre del 1760 Ludovico con sua moglie, e con i fratelli Carlo, Giambattista e Abbondio raggiunsero lo zio Papa a Roma.
Carlo e Giambattista avevano già intrapreso la carriera ecclesiastica, e quindi restava Ludovico e in seguito Abbondio a seguire le vicende della famiglia.
Nel 1760 Ludovico venne nominato, dallo zio, Gonfaloniere del Senato e del Popolo Romano, e anche Principe al soglio pontificio.
(Gonfaloniere del Senato e del Popolo Romano. Nel 1760 si ebbe l’estinzione della nobile e ricca casata romana dei Pamphili per la morte di Girolamo Pamphili, e rimase così vacante la carica di Gonfaloniere del Senato e del popolo romano che era ereditaria presso quella famiglia. Tale carica rappresentava un ambito titolo di dignità che veniva conferito dal Papa. Tale dignità consisteva nel privilegio di portare il Gonfalone della città eterna in particolari avvenimenti, come ad esempio nella processione della cerimonia di possesso del Laterano da parte del nuovo Papa eletto).
(La carica di Principe assistente al Soglio pontificio, la più elevata che si potesse concedere ad un laico all’interno della corte pontificia, consentiva il privilegio di presenziare alle cerimonie papali a lato destro del trono pontificio. Venne accordata con diritto ereditario per privilegio perpetuo esclusivamente ai capi delle due principali famiglie baronali romane, gli Orsini ed i Colonna, anche se i papi non mancarono di gratificare ad personam con questa alta dignità, alte personalità per i loro servigi alla Chiesa cattolica)
Nel 1761, a Venezia, Ludovico venne insignito della carica di Procuratore di San Marco de Supra.
Nel 1762 Ludovico e sua moglie rientrarono a Venezia nella fastosa Ca’ Rezzonico dove gli consentì di intrattenere ospiti illustri, quali ad es. nel 1764 il duca di York, nel 1767 organizzò una “peota” per la regata in onore del duca di Württenberg, nel 1769 accolse l’imperatore Giuseppe II.
E la villa bassanese? Non venne abbandonata, anzi Ludovico, che aveva conosciuto a Venezia il giovane Canova, gli aveva commissionato due teste di leone per abbellire la villa bassanese.
A Roma, quindi, accanto allo zio Papa, restarono Carlo e Giambattista che già si erano inoltrati nella carriera ecclesiastica, e Abbondio che nel 1764 venne nominato dallo zio Principe al soglio pontificio e nel 1765 Senatore del Popolo Romano (corrispondente alla principale carica cittadina, con amplissimi poteri nel campo della giustizia, ed inoltre “gravata” anche da doveri sociali a partire da pranzi con le famiglie nobili romane e con gli alti prelati della Curia, alle quali erano invitati gli stranieri illustri di passaggio). Per questa prestigiosa carica, il pittore Pompeo Batoni (Lucca, 25 gennaio 1708 – Roma, 4 gennaio 1787) realizzò nel 1766 uno straordinario dipinto.
il dipinto del Batoni
Nel 1768 Abbondio sposò la diciasettenne principessa Ippolita Boncompagni Ludovisi, donna bella e intelligente ma stravagante. Il matrimonio non fu fortunato: non ebbero figli, non andavano d’accordo, e così si separarono e si riunirono più volte.
Abbondio restò a Roma, anche dopo la morte improvvisa (notte del 2 febbraio 1769) dello zio Papa, tanto si era immedesimato nella sua importante carica. Abbondio si presentava come un uomo colto, innamorato dell’arte, incline al mecenatismo, tanto che nel Palazzo del Campidoglio, dove abitava, accoglieva artisti e scrittori, soprattutto tedeschi e inglesi che giungevano a Roma come meta del GRAN TOUR.
(Il Gran tour consisteva nel Giro delle principali città e zone d’interesse artistico e culturale europee, considerato, nei sec. 18° e 19°, parte essenziale dell’educazione di giovani di buona famiglia. Originariamente effettuato dai giovani dell’aristocrazia britannica, sin dal 17° sec., si estese poi anche ai giovani di altri paesi europei. Meta fondamentale del viaggio era l’Italia, con le sue città d’arte, e specie Roma, con i suoi resti archeologici e le sue collezioni d’arte e antiquariato. Al g. è legata l’attività di artisti, italiani e stranieri, come guide o intermediari per acquisto di opere e oggetti d’arte, e soprattutto per l’esecuzione di ritratti o di vedute e paesaggi italiani (da Treccani on-line)
Conobbe negli anni sessanta il grande Giovanni Battista Piranesi (Mogliano Veneto 4 ottobre 1720 – Roma 9 novembre 1778) , che orientò il giovane Abbondio a comprendere e a “gustare” il neoclassicismo.
Nel 1777 Abbondio commissionò all’architetto Giacomo Quarenghi (Rota d’Imegna (BG) 21 settembre 1744 – San Pietroburgo 2 marzo 1817), conosciuto a Roma negli anni giovanili (erano coetanei e poi restati in contatto anche dopo che questi nel 1779 -1780 si trasferì in Russia, chiamato dalla zarina Caterina, e qui ebbe una frenetica attività creativa), la sistemazione e la decorazione in Campidoglio di uno dei saloni in Sala della Musica, che in quell’epoca rappresentava uno dei luoghi destinati a convivi musicali, artistici e letterari a seconda del ruolo delle Muse, poesia, pittura, architettura, danza e musica, sala che sarà inaugurata dal Principe con un fastoso banchetto il 28 dicembre 1779.
Ebbe anche la fortuna di incontrare nel palazzo senatoriale il 5 dicembre 1779 il giovane Antonio Canova (Possagno (TV) 1 novembre 1757- Venezia 13 ottobre 1822) che era da appena un mese arrivato a Roma, accompagnato dall’architetto Giannantonio Selva (Venezia, 2 settembre 1751 – Venezia, 22 gennaio 1819). Così poté ammirare la collezione di dipinti, stampe e disegni raccolti dal Senatore, tra i quali Canova vide anche raffigurata la villa di Bassano e così raccontò al Principe come stesse eseguendo per essa alcune statue commissionate dal fratello Ludovico.
Tra Canova ed Abbondio iniziò dapprima una intesa culturale, poi divenne amicizia che durò fino alla morte. Già nel 1781 lo scultore eseguì per Abbondio la statuetta di Apollo che s’incorona, in gara con Giuseppe Angelini che aveva modellato una Minerva pacifica; poi tra il 1788 e il 1792 scolpì per lui e per il fratello Carlo cardinale, il Monumento funerario di Clemente XIII, il papa Rezzonico nella Basilica di San Pietro.
Il 2 gennaio 1787 morì Ludovico, e Abbondio divenne anche Gonfaloniere del Senato e del Popolo Romano, e ultimo erede dei Rezzonico.
Intorno agli anni ’90 inizia l’ultima fase di trasformazione. Abbondio volle dare alla Villa una definitiva armonica completezza, quasi scenografica. Per questo incaricò Antonio Gaidon ( Castione di Brentonico (TN) in agosto o settembre del 1738 – Bassano d.G. 22 novembre 1829) a porre mano alla grandiosa dimora di villeggiatura che, era già conosciuta dall’architetto in quanto da tempo ne era l’addetto alla manutenzione ordinaria.
Secondo gli indirizzi del principe, realizzò una seconda barchessa, a nord, chiudendo così lo spazio a ferro di cavallo, e realizzò due passaggi coperti di unione fra il palazzo e le due barchesse con due strutture aperte di piacevole effetto visivo, riecheggiando in qualche modo l’esedra presente sul lato opposto della strada, ottenendo così anche una separazione tra il giardino all’italiana ad est e il giardino all’inglese ad ovest (oggi non più presenti).
Questa è stata la terza e ultima fase della villa bassanese, siglata con le sue iniziali sovrapposte.
Foto delle iniziali di Abbondio Rezzonico, barchessa nord
Nei seguenti anni ’90, oltre alla sistemazione esterna della Villa, il principe cominciò a richiedere al Canova una serie di gessi per adornare tutt’intorno le pareti del salone, cuore pulsante della stessa, divenuta la sua residenza preferita in Terraferma e da lui dedicata MUSIS ET AMICIS, cioè alle muse (divinità mitologiche protettrici delle arti e delle scienze, in particolare della poesia, della pittura, dell’architettura, della danza e della musica) e agli amici (sicuramente molti), come si può vedere la stessa iscrizione al di sopra dell’ingresso a occidente.
Lapide MUSIS ET AMICIS
Tra il 1793 e il 1795 Abbondio raccolse nella sua Villa bassanese 13 rilievi in gesso di Antonio Canova. Tali opere vennero poste nel salone, accompagnate da una iscrizione commemorativa e immagino la meraviglia e lo stupore per tanta bellezza di quanti frequentavano questa residenza.
Nel 1793 vennero collocati i calchi in gesso della Speranza e della Carità, scolpiti a rilievo sul monumento funerario a Clemente XIII, e poi si aggiunsero altri bassorilievi con scene dell’Iliade, dell’Odissea, dell’Eneide e del Fedone platonico. Infatti sempre nel 1793 da Roma giunsero in Villa Briseide consegnata da Achille agli araldi di Agamennone, la morte di Priamo, Socrate beve la cicuta.
la speranza (123×271 cm)
la carità (123×271 cm)
Briseide consegnata da Achille agli araldi di Agamennone (113×216 cm)
La morte di Priamo (141×279,5 cm)
Socrate beve la cicuta (126×277 cm)
Nel 1794, venne aggiunto il modello in gesso della Giustizia, per accompagnare la precedente copia delle virtù, e arrivarono anche Socrate congeda la famiglia, la Danza dei figli di Alcinoo, il Ritorno di Telemaco in Itaca. Insieme a questi bassorilievi pervennero anche i gessi di Amore e Psiche, andati poi dispersi.
La Giustizia (128×129 cm)
Socrate che congeda la propria famiglia (125×271 cm)
Danza dei figli di Alcinoo (141×281 cm)
Ritorno di Telemaco in Itaca e incontro con Penelope (115×218,5 cm)
Nel 1795 si completava la serie dei bassorilievi ispirata all’antichità con Critone chiude gli occhi a Socrate, Ecuba offre il peplo a Pallade, ed inoltre due rilievi con le Opere di Misericordia: Dar da mangiare agli affamati e Insegnare agli ignoranti che erano destinati ad essere esposti a scopo didattico nella scuola d’arte gratuita da lui fondata in alcune stanze della stessa Villa.
Critone chiude gli occhi a Socrate (125×263 cm)
Ecuba e le donne troiane offrono il peplo a Pallade (125×275 cm)
Dar da mangiare agli affamati (119,5×232,5 cm)
Insegnare agli ignoranti (116,5×134,5 cm) a dx.
La presenza di un busto in gesso del Canova testimoniava la sua frequente presenza in Villa come ospite quando ritornava nel Veneto. Viene ricordata la sosta che Canova fece a Bassano quando nel maggio del 1798 aveva abbandonato Roma, occupata dalle truppe francesi, per raggiungere la sua Possagno. L’amico Abbondio, che si trovava a Bassano, lo volle suo ospite e mise poi a disposizione dell’amico la sua carrozza per raggiungere la meta finale.
Il particolare legame tra Abbondio e Canova è poi evidenziato, anche oggi, per la presenza di una lapide murata in uno dei vani degli scaloni per additare agli ospiti la mirabile raccolta di opere, poi disperse, eseguite da questo insuperabile scultore (a sinistra), e sulla parete opposta vi è una iscrizione che ricorda come il principe avesse fatto trasferire nella Villa dei frammenti di antichità romana, di cui resta una piccola raccolta di pezzi di ceramica, in terracotta e frammenti d’affresco, incastonati nel muro (a destra).
In questo periodo Abbondio oltre alla Villa si interessò alla costruzione di un nuovo teatro cittadino, e, in occasione di una visita a Mosca con una delegazione romana, richiese al suo amico Quarenghi di realizzarne il progetto.
Il progetto (vedi immagine sovrastante) ) si presentava grandioso, un ibrido tra teatro con le gradinate “all’antica” e teatro con palchi all’italiana, e anche molto costoso oltre che troppo grande per l’area messa a disposizione. Gli fu richiesto un progetto più semplice, ma nel 1802 un progetto alternativo dell’architetto bassanese Giacomo Bauto venne preferito anche alla seconda versione del Quarenghi.
Nell’autunno del 1796 e poi nella primavera del 1797, a Villa Rezzonico, nel cuore strategico del Veneto, si acquartierò il generale francese Andrea Massena (1758 –1817), che, com’era in uso, mandò in Francia sicuramente molti libri e non solo.
Nell’estate del 1797 al Massena succedeva il generale Louis Alexandre Berthier (1753 – 1815), quando Bassano divenne una piccola capitale politica del nuovo Veneto.
Alla fine del luglio 1797 nella villa si tenne per dieci giorni il congresso dei deputati delle città venete in un estremo tentativo di aggregazione alla Repubblica Cisalpina. Il nobile Pietro Stecchini, padre di Pietro Guglielmo, comandante di battaglione del genio italico, rappresentava il governo vicentino-bassanese e fu poi segretario della delegazione che si recò a Parigi per incontrarsi col Direttorio.
Fu un viaggio inutile perché Napoleone aveva già contrattato la cessione del Veneto all’Austria, ratificata a Campoformido il 17 ottobre 1797.
Abbondio, anche se lo troviamo a visitare diverse città o a soggiornare nella sua villa, restò a Roma fino al 1809 quando i francesi gli imposero di lasciare la carica e il Campidoglio.
L’anno dopo, il 1° marzo 1810, si spense a Pisa.
La sua morte pose fine della casata dei Rezzonico. L’erede, il nipote Antonio Widmann, sposatosi nel marzo del 1755 con Adriana Giovanelli, non ebbe figli e morì pochi anni dopo, nel 1816. Suo fratello Francesco si spense nel 1825. La proprietà passò quindi a Carlo Pindemonte di Verona, figlio di Vittoria Maria Widmann, sorella di Antonio e di Francesco, che aveva sposato il marchese Giovanni Pindemonte.
In questo spazio temporale avvenne la “spogliazione” di quanto si trovava nella villa: le collezioni d’arte (quadri, incisioni, ecc.), ceramiche, mobili, suppellettili, ecc.
L’ultimo proprietario, Carlo Pindemonte, nel 1824 vendette la Villa così depauperata a un certo Paolo Baroni, di cui si conosce solo che era un facoltoso agricoltore originario di Bessica (attualmente nel comune di Loria, TV), sempre dedito al lavoro e alle sue coltivazioni.
Tra il 1833 e il 1837 anche la straordinaria serie completa dei gessi di Antonio Canova, che erano stati trasferiti a Ca’ Rezzonico di Venezia, venne venduta all’avvocato Antonio Piazza che la dispose a formare un fregio in una sala appositamente allestita e decorata nel suo Palazzo in Via Del Santo a Padova. Il Palazzo fu poi acquisito dai conti di San Bonifacio. Poi passarono nel 1984 in eredità ad una residenza nella pianura veronese, e poi nel 1991 acquistati dalla Cassa di Risparmio delle Province Lombarde a Milano. Nel 1997 i tredici bassorilievi in gesso confluirono nelle raccolte della Fondazione Cariplo.
Da parte del nuovo proprietario la villa ebbe ancora un po’ di attenzione: il grande salone, verso la metà dell’Ottocento, venne arricchito di due grandi tele di Giovanni Busato (1806-1886), l’Aurora posta di fronte a “La notte” di Domenico Pellegrini (1759-1840), e il Trionfo della Carità” di fronte alla “Fede” ritenuta abitualmente opera del Canova, ma recentemente attribuibile piuttosto al suo amico Martino de Boni (1753-1810) .
Il Baroni, non si sa per quali motivi, prese in moglie la patrizia veneziana Caterina Semitecolo, di anni venti, orfana e di vivace e libero temperamento. I Semitecolo erano stati capitani di mare al servizio della Serenissima e rappresentavano un casato fra i più illustri del patriziato veneto.
Caterina non fu entusiasta della nuova sistemazione, anzi preferì abitare, in affitto, in altre sedi del centro bassanese. Certamente visse poco a Villa Rezzonico: amava le cacce a cavallo, ma anche la lettura ed era colta ed una grande conversatrice, per questo spesso invitata o a Vicenza o a Verona o a Treviso, dove si era fatta un pie-a-terre. Il consorte stava prevalentemente a Bessica.
Nonostante tutto nel frattempo nacquero due figli, Nina e Alessandro. A diciotto anni la figlia Nina andò in sposa al vicentino Marcello Negri e, non molto dopo, il figlio Alessandro sposava il 16 gennaio 1850 Marina Sprea, nata a Verona nel 1823, figlia di Bortolo Sprea di Verona, che non era nobile ma abbastanza ricco, e della contessa Luigia Negri.
Con questa nuova coppia Villa Rezzonico, rimasta per tanti anni quasi disabitata, fu messa a nuova vita piena di calore, di animali e di fiori e di libri. Su quest’ultimi vi era un’intesa tra la nuora e la suocera, mentre, spesso, non c’era in altri spazi.
Marina andava d’accordo con la suocera anche su altri fronti, quali l’avversione verso l’Austria e l’aiuto ai cospiratori, agli indipendentisti. La contessa Caterina era animatrice di un comitato segreto di gentildonne che raccoglievano fondi e oggetti d’equipaggiamento, organizzavano rifugi per i fuggiaschi per evitare i blocchi austriaci e poter raggiungere zone più sicure.
Anche dopo lo scioglimento degli indipendentisti (1849) a Villa Rezzonico continuò l’attività clandestina, in particolare la Baroni-Semitecolo seguiva i collegamenti più sicuri, più lontani e sempre si curava della raccolta di fondi per l’assistenza e per i fuggiaschi.
Da Alessandro e da Marina nacquero nel 1851 Paolo e nel 1852 Silvia.
Nel 1859, durante la seconda guerra d’indipendenza, a Villa Rezzonico l’entusiasmo e le speranze fecero mettere da parte la prudenza: dopo Villafranca, a Venezia, venne deciso l’arresto della Semitecolo e della nuora Marina. Un corriere inviato dall’amica contessa Oriana Zen Marcello precedette i gendarmi e la notte stessa Alessandro si metteva in viaggio con donne e figli, dopo aver mandato un corriere al cognato Negri a Vicenza.
Raggiunsero, dopo lungo e faticoso viaggio, la villa della Marchesa Natalia Corsini Farinola nei dintorni di Firenze. Quando da Bassano giunsero dei mobili trovarono casa in Piazza Santa Maria Novella e vi rimasero fino al 1868.
Nel 1863 Alessandro otteneva il permesso di rientrare nel Veneto e fu subito a Bessica tutto preso dalle innovazioni per la coltivazione dei gelsi e l’allevamento dei bachi da seta e dei nuovi aratri, essendo molto interessato alla ricerche scientifiche e alle nuove tecnologie.
Nel 1864 lo raggiunse Marina, decisa a fargli vendere Villa Rezzonico per trasferirsi definitivamente in Toscana, ma Alessandro s’impuntò: tornasse pure Marina a Firenze, come fece nel dicembre, ma lui stava bene a Bassano.
Dopo la guerra del ’66 Venezia era libera: la Semitecolo ne fu felice e, per riconoscimento di quanto aveva fatto, Vittorio Emanuele II concesse che i Baroni portassero anche il nome della sua famiglia.
Il ritorno a Bassano fu però rimandato fino al 1868 e, una volta tornati, la contessa Caterina dichiarò che era suo desiderio ritirarsi a Treviso. A Bassano tornò soltanto per il matrimonio della nipote Silvia.
Silvia da giovane, dipinto di Michele Gordignani (Firenze 1835 – Firenze 1909)
Silvia Baroni Semitecolo a 22 anni, il 27 aprile 1874, si sposò col conte Giuseppe Pasolini Zanelli dell’Onda, un romagnolo di Faenza, qui nato 13 luglio 1844, figlio di una Brivio milanese, e ci volle parecchio tempo prima che Alessandro acconsentisse, perché il padre del giovane non aveva buona reputazione.
Due anni dopo gli sposini arrivarono a Bassano in lacrime: il dissesto dei Pasolini era ormai irrimediabile. Papà Alessandro dovette impegnare tutte le sue risorse per arrivare a un compromesso, dopo il quale Silvia si trasferì col marito a Bassano, ma era sempre Marina che teneva salotto e reggeva la grande casa ospitale. Numerosi sono stati gli ospiti della Villa: poeti e scrittori come Giovanni Prati, Luigi Carrer, Aleardo Aleardi, Giacomo Zanella; pittori come Boldini; musicisti come Hans von Bulow, Franz Litz e Riccardo Wagner che tenne a Ca’ Rezzonico il primo concerto in Italia; politici come Terenzio Mamiani, il filosofo Augusto Conti.
Silvia oltre ad avere una profonda competenza musicale, era anche una pianista di eccezionale valore (l’allieva prediletta di Hans von Bulow) ed anche fine compositrice riconosciuta sia dall’Editore che dalla critica musicale di allora.
Alessandro, il papà di Silvia, morì il 2 marzo del 1881 a Roma, dove i Baroni trascorrevano i mesi invernali.
Fino a quando mancò la mamma Marina a Treviso nel 1915 a 92 anni), Silvia, d’inverno stava a Bologna o nella villa di Lizzano, nei pressi di Cesena, e d’estate apriva il salotto e le stanze per gli ospiti a Villa Rezzonico, dove invitava gli italiani che facevano moda e gli stranieri che richiamavano ricordi.
Giosué Carducci (da internet, mod.) (Valdicastello di Pietrasanta (LU) 27 luglio 1835 – Bologna 16 febbraio 1907)
Intratteneva tutti con “un fiume di parole”, come diceva il Carducci che a Bassano come a Lizzano era di casa. La contessa Silvia e Giosue Carducci si erano incontrati la prima volta nell’inverno del 1887 durante una cena nel palazzo dei conti a Faenza. La loro amicizia era destinata a consolidarsi per il comune desiderio di vedere restaurata la Pieve di Polenta poco distante da Lizzano, dove vi era la Villa Silvia, e dove si ritrovavano i più importanti personaggi dell’epoca, in particolare Giosué Carducci che vi soggiornò tra il 1897 e 1906 per ben 11 volte, tanto era profondissima la sua amicizia con la contessa.
Per Silvia le amicizie colmavano in parte le molte assenze in famiglia: aveva molto sofferto per la prematura morte del fratello Paolo, promettente violinista, poi le mancarono i figli Tiberio e Piero, poi il marito (1876), infine la madre.
Il suo “salotto” bassanese rimase però attivo fino all’inizio della prima guerra mondiale. Dal 30 maggio 1915, quando Bassano divenne città di frontiera, Silvia aprì le porte della Villa ai feriti che giungevano dalle operazioni belliche, divenendo un ospedale militare per reduci e combattenti bisognosi di cure, diretto dal chirurgo romano Raffaele Bastianelli.
Terminata la guerra la Villa ebbe bisogno di ricuperi e restauri. Silvia li fece, ma non volle poi tornare ad abitare la Villa: rimase in alcuni locali della barchessa settentrionale con l’annesso Oratorio, e qui viveva ormai di ricordi di un mondo ormai lontano.
Proprio per l’esperienza di sofferenza e di dolore vissuta durante la Guerra nacque in Silvia l’idea di donare la Villa con i fabbricati annessi e terreni adiacenti all’Ospedale di Bassano per costruirvi un nuovo ospedale dedicato al fratello Paolo e ai suoi figli morti prematuramente, idea che si concretizzò nel suo testamento.
Silvia mantenne la proprietà della Villa fino al 7 settembre 1920, data della sua morte. Il 9 settembre 1920 presso il notaio Agostino Freschi di Bassano fu aperto il testamento, composto da 10 fogli scritti dalla contessa in più occasioni tra il 1919 e il 1920.
Non avendo eredi diretti, aveva nominato l’avvocato Pietro Daddi suo erede universale ed esecutore testamentario. L’avvocato aveva due anni di tempo per realizzare le sue volontà. Importanti i fogli del 1919 perché riguardavano ingenti lasciti (ville, palazzi, poderi) da destinare a Opere Pie e persone care (parenti, amici e domestici).
Nel 1923 si costituì un “Ente Morale della Fondazione Ospedaliera Baroni-Pasolini-Zanelli pro erigendo “Ospedale Paolo Baroni-Paolo, Pietro e Tiberio Pasolini-Zanelli”. In realtà l’ospedale non fu mai iniziato, perché i fondi non erano sufficienti, per cui nel 1939 l’Ente Morale si sciolse e l’intero complesso, fortemente ridotto nella superficie fondiaria per vendite poco oculate, fu acquistato da Luigi Gasparini fu Fortunato, qualificato prestanome del conte Volpi o di alcune società dello stesso Volpi.
Nel 1967 venne ceduto a Luigi Borella, (Schiavon (VI) 23 agosto 1930 – Bassano del Grappa (VI) 23 ottobre 2017). La sua conduzione si trascinò negli anni con varie iniziative come meeting, conferenze, mostre pittoriche, esposizioni commerciali, e anche concerti e manifestazioni musicali.
Nel maggio del 2019 la Villa è stata acquistata da Bernardo Finco, titolare del gruppo conciario Finco 1865. Da uomo pratico e dinamico ha già iniziato un piano di ricupero e rivalutazione di questa splendida realtà bassanese.
FONTI DOCUMENTALI
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Ca’ Rezzonico (Passaggi di proprietà: Rezzonico, Widmann.Rezzonico. Widmann-Pindemonte, Baroni, Baroni-Semitecolo, Baroni-Pasolini, Ospedale civile di Bassano, Gasparini, Borella), Parte prima (la storia) di Andrea Minchio, Parte seconda (l’apparato decorativo) di Paola Marini, in Interni Bassanesi, Associazione Amici dei Musei e dei Monumenti di Bassano del Grappa, Giorgio Tassotti, 1996
Canova, a cura di Sergej Androsov, Mario Guderzo, Giuseppe Pavanello, Skira Editore, Milano, 2003
Canova e Appiani. Alle origini della contemporaneità, a cura di Renato Barilli, Edizioni Gabriele Mazzotta, Milano, 1999
Carte d’Amore: la contessa di Villa Silvia: una intellettuale tra Cesena e l’Europa, di Antonella Casalboni, Aracne editore, 2012
Collegio Vescovile Graziani. 1903-2003 Cento anni di impegno educativo, di Luigi Secco, 2004 Copyright Luigi Secco
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Ville Venete: la Provincia di Vicenza, a cura di Donata Battilotti. Istituto regionale per le ville venete. Marsiio editore, Venezia, 2005
Vita e Macchine di Bartolommeo Ferracino celebre bassanese ingegnere colla storia del Ponte di Bassano dal medesimo rifabbricato, di Francesco Memmo, in Venezia 1754 nella stamperia Remondini
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