“BORSO DEL GRAPPA – CENNI STORICI E ALTRE NOTIZIE”

STORIA DI BORSO DEL GRAPPA

E ALTRE NOTIZIE

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Borso del Grappa è un comune della provincia di Treviso e si trova geograficamente ai piedi del Monte Grappa, a Sud Ovest del Massiccio. E’ rappresentato da tre comunità: Borso, Semonzo e Sant’Eulalia.

Vi vivono 5944 persone (2013 Istat).

L’altitudine sul livello del mare oscilla da un minimo di 141 metri ad un massimo di 1754 metri.  L’altitudine rilevata dove si trova il Municipio è di 279 metri s.l.m.

Gli abitanti del comune di Borso del Grappa si chiamano borsatti.

Borso del Grappa dista da Bassano del Grappa 10,8 km in auto.

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La seguente storia, ben fatta, è ricavata dal sito del comune: www.comune.borsodelgrappa.tv.it

 

Paleoveneto

Gli insediamenti nel territorio di Borso affondano le loro radici in un lontanissimo passato: si ha testimonianza di presenze paleovenete sia a Cassanego (corredi funebri), sia a Semonzo (sepolcreti).

S. Eulalia è indubbiamente centro di grande interesse archeologico. Fu, infatti, stazione paleoveneta con villaggi di capanne, come prova il materiale reperito durante la costruzione del campanile, tra cui un’urna cineraria da assegnare all’età del ferro. Sepolcreti rinvenuti nel suo territorio sembrano databili fra il VI e il V secolo a.C.

 

In età romana

Borso appartenne all’ambito territoriale del Pagus (unità territoriale di insediamento di una tribù) Misquilense e ciò è dimostrato dalla lapide sepolcrale di Caio Vettonio Massimo (III secolo d.C.), scoperta nelle rovine della chiesa vecchia di S. Cassiano (andata distrutta verso la fine del 1700), posta un po’ più a Nord dell’attuale parrocchiale.

Nel 1879, nel corso di scavi effettuati sul piazzale della Chiesa plebana, furono portati alla luce dieci scheletri ed alcuni frammenti di marmo raffiguranti simboli paleocristiani.

Tombe di laterizi, scoperte nella parte bassa del paese, provano che anche Borso era certamente abitato in epoca romana.

 

Medioevo

I culti di S. Severo, nella parrocchiale di Semonzo, e di S. Felicita (S. Fidà), abbadessa del monastero di S. Giustina in Padova, morta sul finire del V secolo e alla quale è dedicata la chiesetta in prossimità della valle omonima, di S. Eulalia, di S. Cassiano, venerato in passato a Cassanego e a cui è dedicato un altare nella chiesa della Pieve, dopo esserne stato il titolare, si sono diffusi probabilmente tra il 402 (quando Ravenna divenne capitale dell’Impero Romano d’Occidente, poi dei Regni Barbarici di Odoacre e degli Ostrogoti 493-553, quindi dell’esarcato bizantino) e il 568 (quando i Longobardi iniziarono la conquista dell’Italia Settentrionale).

L’evangelizzazione avvenne per opera dei missionari provenienti da Padova, il primo episcopato delle Venezie. S. Eulalia, la più antica Pieve del Pedemonte fra Brenta e Piave (fine del IV inizio del V secolo) fu verosimilmente centro di irradiazione del Cristianesimo, con un processo di germinazione da cui derivarono tutte le altre chiese della zona pedemontana.

I Longobardi giunsero in Italia nel 568-569, per la via delle Alpi Orientali. Occuparono tutta l’Italia Settentrionale.

Alcuni toponimi locali, reperti archeologici, il culto di certi santi rivelano presenze longobarde. Tra i santi, pare vi siano anche S. Zenone, cui è dedicata la chiesa parrocchiale di Borso, e S. Martino, cui era titolata una chiesetta, ora scomparsa, sulla Rocca di Semonzo.

Per rintracciare la prima citazione documentaria riferita a Borso dobbiamo risalire al 1085. Si tratta di un atto di donazione di cui fu beneficiaria l’abbazia benedettina di S. Eufemia di Villanova (attuale Abbazia Pisani). Venivano lasciate 168 masserizie (poderi-fattoria, con mulini e chiese private), situate in zone di Vicenza, Feltre, Treviso e nel Pedemonte, fra cui a Borso e a Semonzo.

In questo documento è ricordato anche il mercato di S. Felicita (1° Agosto), che aveva avuto inizio 85 anni prima, nel 1000, per concessione dell’imperatore Ottone III a Rambaldo di Collalto: forum sive mercatum aedificandi in Valle Sancte Felicitatis consensum damus …

A metà del secolo XII il Vescovo di Treviso era titolare oltre che della sua diocesi anche di diritti temporali più o meno estesi a Cornuda, Rovigo, Pederobba, Cavaso, Asolo, S. Zenone, Fonte, Semonzo e, più tardi, proprietario di terre in quel di Borso e S. Eulalia.

Merita a questo proposito di essere ricordato un documento datato 3 Maggio 1152 riferentesi a una Bolla di Papa Eugenio III con la quale si confermava al Vescovo di Treviso la Rocca di Semonzo con il villaggio e tutti i terreni ad esso attinenti (si tratta della chiesa di S. Martino con annesso castello di cui restano pochi segni, sulla sommità della collina).

Verso la fine del secolo XII tra i vassalli del Vescovo che avevano proprietà a Borso, Sant’Eulalia, Semonzo, Cassanego figurano gli Ezzelini e i Camposampiero ed è dal Pedemonte che, secondo i cronisti del tempo, ai Da Romano provenivano le truppe più fidate e devote.

Accanto al castello della Rocca di Semonzo, si deve ricordare anche quello di Borso. Incerta è la data o il periodo in cui fu eretto dagli Ezzelini. Nella spartizione dei beni della famiglia tra i fratelli Ezzelino ed Alberico, fu assegnato a quest’ultimo. La fortezza visse poi le tragiche vicende del suo possessore. Sconfitto ed ucciso nel 1260, i Trevigiani occuparono e saccheggiarono ogni suo dominio.

Il castello era situato sopra la chiesa parrocchiale e significativo è il toponimo Casteler. Nel secolo scorso, in quest’area, furono trovati interessanti reperti.

Sempre a Borso, il toponimo Appocastello, in zona più bassa rispetto alla precedente, richiamala presenza di un altro probabile maniero.

Secondo una testimonianza, un castello doveva sorgere anche a S. Eulalia, ma l’ubicazione è assai incerta. Dovrebbe, comunque, trattarsi di fortificazione risalente all’epoca romana.

Spentisi in modo violento i Da Romano, Borso e il suo territorio entrarono a far parte della Signoria della Città di Treviso, per poi finire definitivamente nella Repubblica di Venezia, incorporati nell’ambito della neocostituita podestaria di Asolo.

 

Età moderna

Il periodo della dominazione veneziana non appare segnato da vicende particolari, se si eccettua l’abbattersi su queste terre di alcune gravi calamità naturali, tra cui il disastroso terremoto di S. Costanza del 1695. A Borso, delle duecentonovantaquattro case, cento crollarono, le altre gravemente danneggiate. La Chiesa fu in parte distrutta e il campanile atterrato. A Semonzo su duecento, venti furono le case abbattute, le altre rese pericolanti. A S. Eulalia su centoventi abitazioni, trenta furono distrutte, le altre inabitabili.

Il terremoto ebbe gravissime conseguenze sulla scarsa economia del paese. Infatti, l’industria dei panni andò progressivamente scomparendo.

Con la fine della Repubblica Veneta (1797), Borso entrò a far parte del Ducato Veneto sotto l’Austria, quindi del Regno d’Italia (1805). Nei registri civili troviamo: Regno d’Italia, Dipartimento del Tagliamento, Distretto di Bassano, Cantone di Asolo, Comune di Borso-Sant’Ilaria. Semonzo rimane Comune a se stante fino al 1808.

Con decreto del 14 Agosto 1807, che prevedeva che i piccoli comuni dovessero essere riuniti in più ampie entità, anche Semonzo confluiva in un unico comune chiamato: Comune di Borso, Simonzo, Sant’Ilaria. Nel 1811, con il nuovo riassetto amministrativo voluto da Napoleone, il Comune passava al Dipartimento del Bacchiglione. Dopo il 1815 ritornò l’Austria. Nel 1819 la formula venne semplificata in Comune di Borso.

 

Prima guerra mondiale

L’offensiva austro-ungarica del maggio ’16 sull’altopiano dei sette comuni, la Strafexpedition, rese per prima necessarie strutture difensive sul Grappa, fino ad allora seconda linea del conflitto che infuriava dal 1915, per rafforzare lo sbarramento della valle del Brenta: vennero realizzati la strada Cadorna, due teleferiche, serbatoi d’acqua e postazioni di batterie.

Solo in seguito alla rotta di Caporetto (24 novembre ’17) il massiccio assunse vitale importanza per il nuovo fronte: cardine e perno tra le linee del Piave e dell’altopiano di Asiago.

Sul Grappa, ancora sguarnito di uomini e strutture, fu inviato il XVIII Corpo d’Armata, che riuscì a fermare, il 13 novembre, l’avanzata austriaca, giunta pochi giorni prima ad occupare Feltre.

L’inverno incombente rese inefficaci due successive offensive austro-ungariche, così, tra il dicembre ’17 e il maggio ’18, il Genio fu in grado di trasformare il massiccio in un’unità bellica completamente autonoma: dalla grande galleria Vittorio Emanuele lunga più di 5000 metri, alla galleria Conca Bassano (tutta in territorio di Borso), mulattiere, teleferiche, oltre ovviamente a decine di chilometri di trincee e reticolati, costituirono un sistema difensivo che avrebbe dovuto resistere alla ripresa delle offensive nemiche, giunta il 15 giugno del ’18 (la celebre Battaglia del Solstizio).

Durante questo attacco reparti austriaci occuparono temporaneamente le postazioni più avanzate dell’esercito asburgico in Italia durante il primo conflitto: ponte San I il costone Pertica-Grappa, prospiciente la pianura veneta. La dinamica delle operazioni è ben descritta nelle parole del generale Giardino, comandante della IV armata del Grappa: Alle dieci del mattino [del 15 giugno] s’era sul punto di essere perduti, a metà pomeriggio si era salvi, a sera era già la vittoria.

Nelle settimane successive gli eserciti, in battaglie continue e a costo di un numero esorbitante di vittime, si fronteggiarono lungo una linea nel complesso immutata.

Il 24 ottobre iniziò la battaglia di Vittorio Veneto, quasi interamente combattuta sul massiccio (la IV armata subì da sola il 75% delle perdite dell’esercito italiano negli ultimi dieci giorni di guerra), decisiva per le sorti del conflitto: la pressione sul Grappa impedì infatti agli austriaci di rafforzare le linee sul Piave, rendendo più agevole l’attacco italiano in pianura. Il 31 ottobre gli austriaci iniziavano la ritirata; il 4 novembre la guerra finiva.

Impossibile tracciare una stima complessiva dei caduti sul massiccio dal 1917 al 1918. Il ritrovamento, pochi anni fa, dei corpi di altri soldati sulle pendici del monte sacro alla patria rende drammaticamente l’idea di una tragedia senza fine.

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foto aerea di Antonio Varetto

Il Sacrario militare del Grappa raccoglie le salme di 23.000 soldati di entrambi gli eserciti; nel Tempio-Sacrario di Bassano trovano riposo i corpi di altri 5400 caduti italiani. Nello scenario bellico, il destino di Borso del Grappa fu simile a quello degli altri comuni della pedemontana: tra il ’16 e il ’17 il comune divenne un vero centro di raccolta delle divisioni che si dirigevano verso le zone calde del conflitto.

Il danno per il territorio fu notevole, essendo i campi utilizzati per le esercitazioni o per gli accampamenti.

La posizione del comune di Borso però lo proteggeva dal tiro dell’artiglieria austriaca, che invece sfuriava, a pochi chilometri, su Romano e San Giacomo.

Dopo Caporetto giunse l’ordine di evacuazione, destinazione località della Romagna e delle Marche. La direttiva non venne rispettata appieno dalla popolazione; nondimeno furono molte le famiglie ad allontanarsi dalla propria terra. Le lettere e i diari dell’epoca parlano di una quotidiana convivenza con il caos della guerra: incidenti, morti, feriti, mutilazioni, sia tra i militari che tra i civili, ma anche disordini sociali, crisi familiari, in uno stato di angoscia e scoraggiamento forse non drammatico come la vita in trincea, ma sicuramente altrettanto tragico: gli abitanti di Borso infatti furono tra i pochi sfortunati a dover sopportare la Grande Guerra nelle proprie case, sulla propria terra, in un rapporto diretto con la distruzione e la morte che segnò nel profondo il territorio.

 

La resistenza

I primi nuclei partigiani del Grappa furono costituiti il 23 settembre 1943, in concomitanza con la nascita della Repubblica di Salò.

La principale brigata partigiana operativa nella zona del massiccio era la “Martiri del Grappa”, capeggiata da “Masaccio”; nondimeno, stessa complessità morfologica della zona favorì una sorta di frammentazione dei nuclei operativi, spesso operanti autonomamente in azioni di disturbo e sabotaggio, sebbene sempre in collegamento tra loro.

In particolare, nel territorio di Borso del Grappa operò un gruppo partigiano nato come costola della brigata “Italia libera”, definito “Italia libera Campo Croce”, comandato dal dott. Vico Todesco, medico presso l’ospedale di Crespano del Grappa.

Il territorio di Borso del Grappa fu decisamente in prima linea nella lotta di liberazione partigiana, come del resto attestano i lanci di materiale ausiliario da parte di aerei alleati proprio in zona Campo Croce e Cassanego, tra il luglio e l’agosto 1944.

Borso del Grappa, come tutta l’Italia, conobbe in questo periodo le profonde contraddizioni della guerra civile. La Brigata “Italia libera – Campo Croce” operò alcune catture di gerarchi fascisti nelle zone limitrofe, durante le quali si ebbero anche dei morti (29 agosto ’44); sul fronte opposto, all’alba del 21 settembre ’44 venne dato inizio, con un’ operazione su larga scala, dalla valle del Brenta, da Feltre, da Arsiè, fatta precedere da fitto bombardamento delle zone del massiccio ritenute ripari dei partigiani, al rastrellamento nazifascista, ricordato come uno degli episodi più tragici della Resistenza.

 

Si racconta ancora

Nel 1836, dopo un inverno e una primavera inconsuetamente rigidi, si scatenarono, nel corso dell’estate, violenti temporali accompagnati a grandinate eccezionali che distrussero ogni tipo di cultura, riducendo i contadini all’estrema miseria. Ma il colpo di grazia si abbatté su Borso nel mese di giugno di quell’anno. Una serie di violente scosse di terremoto terrorizzò l’intero paese, causando crolli e irreparabili danni.

Questo terremoto si fece sentire quasi ogni giorno, sempre più leggermente, per circa nove mesi. Per completare, infine, questa situazione già di per sé drammatica, giunse, nel luglio, l’epidemia di colera che in Italia aveva già mietuto migliaia di vittime. Nuovi fatti epidemici si verificarono nel 1855.

Merita di essere ricordato il 1848, anno in cui i Semonzesi inoltrarono domanda per costituirsi come stato autonomo, arrivando a coniare monete che, naturalmente, nella zona nessuno voleva.

Il 4 Novembre 1866 il Veneto venne annesso al Regno d’Italia.

Dal Novembre 1917 all’Ottobre del 1918, con il Grappa, estremo baluardo di difesa, Borso si trovò, per così dire, in prima linea.

La popolazione non dovette sgomberare, ma non per questo si ebbero a contar meno le ore di angoscia e di ferite profonde che, forse, furono superate solo da quelle del 1944. Resterà tristemente famoso il settembre di quell’anno, quando il furore nazifascista razziò e incendiò case, seviziò e terrorizzò inermi cittadini, lasciando piaghe insanabili in quanti ebbero, fra i loro cari, giovani deportati, fucilati, impiccati. Borso diede, in percentuale, il più alto contributo di sangue della provincia di Treviso.

Con regio decreto del 7 marzo 1920 n. 374 al Comune di Borso è stato aggiunto il predicativo “del Grappa”. Il re Vittorio Emanuele III concesse lo stemma e il gonfalone il 16 maggio 1940

BORSO DEL GRAPPA – LA CHIESA ARCIPRETALE

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