CENNI STORICI SU CASSOLA
E SUL SUO TERRITORIO
a cura di Vasco Bordignon
Cassola, in epoca preromana, fu sicuramente interessata dalla presenza e dal movimento delle genti paleovenete. A nord del suo territorio, infatti, vi era un percorso – la cosiddetta “pista dei veneti” – che, scorrendo ai piedi delle Prealpi, al limitare con la grande pianura, metteva in contatto i vari insediamenti. Tale pista, inoltre attraversava verosimilmente il Brenta all’altezza dell’antico guado sul fiume stesso all’incirca presso la futura chiesetta campestre di San Bartolomeo.
Con la romanizzazione dell’intera regione, diventata sotto Augusto decima regione dell’impero col nome di “Venetia et Histria”, il territorio venne interessato dal passaggio di importanti strade consolari. La via Postumia, fatta costruire dal console Spurio Postumio Albino Magno nel 148 a.C., in particolare, univa Genova ad Aquileia. Attraversava tutta l’Italia settentrionale, lambendo la campagna bassanese a nord di Cittadella. All’altezza di Onara, sempre a nord di Cittadella, si allacciava una strada secondaria che passava proprio ad ovest della campagna di Cassola e di Fellette, inoltrandosi per Bassano e Solagna. I continui rinvenimenti di reperti archeologici di epoca romana, che si sono succeduti nel tempo in tali aree, a partire dalla metà del secolo scorso, confermano ulteriormente l’esistenza di questa strada. Monete, anfore fittili, pesi sempre in terracotta, tegole con bollo di fabbrica, sepolcreti e monili vari sono stati trovati casualmente, sia nell’area rosatese che a nord di Cassola, in particolare a Fellette e in zona Sacro Cuore, dove correvano voci circa l’esistenza di resti di una villa romana, poi occultati e distrutti. [Circa questi ritrovamenti archeologici nel territorio di Cassola, ne parla ampiamente il Gerola nel Bollettino del Museo Civico di Bassano, nel numero di gennaio-marzo 1906]. D’altronde la romanità di Bassano con il “fundus Bassii”, di Angarano con il “fundus Ancaranii”, con Rossano con il “fundus Rosii” e di Cartigliano con il “fundus Cartilii” è un fatto ormai accertato ed accettato. Più a nord-est, la campagna cassolese confinava con un altro insediamento romano: iI “pagus Misquilensium”. Quindi, un insieme di stanziamenti romani che, assieme alla geometrica centuriazione della campagna, ancora leggibile in alcuni punti, ci autorizza ad immaginare il territorio in questione già abitato in epoca romana imperiale. Il centro abitato della contrada di Marini di Cassola, con il suo stradone rettilineo che porta a Casoni, cade ancor oggi nel punto dove si incontravano il cardine ed il decumano del graticolato romano [per approfondire questo argomento vedi il testo Carta archeologica dell’agro centuriato di Padova Nord (Cittadella-Bassano)].
La caduta dell’Impero d’Occidente (476 d.C.) causò il tracollo di quanto i romani avevano realizzato, anche in senso viario. Sotto l’incalzare delle varie invasioni, strade e fondi vennero progressivamente abbandonati. La vicina montagna, com’è facilmente immaginabile, costituiva l’unico, sicuro rifugio alle dilaganti orde barbariche. Il passaggio della dominazione longobarda incise profondamente anche nell’agro bassanese, depositandovi usi, costumi, forme d’arte e di artigianato, nonché numerosi toponimi. Da ricordare, secondo quanto scrive Paolo Diacono nella sua “Historia Langobardorum” che nel 601-602 i longobardi presero Padova, allora roccaforte dei Bizantini, la incendiarono e la rasero al suolo e inglobarono questo municipio nel ducato di Treviso. I Longobardi inoltre realizzarono un loro insediamento militare a difesa della vallata del Brenta proprio a Solagna, un villaggio che, assieme a Pove, in seguito, si sarebbe diviso e conteso l’usufrutto della campagna cassolese.
Nel 774 finiva il regno dei longobardi, e fu rimpiazzato da quello di Carlo Magno e dei franchi. Con il loro arrivo il ducato di Treviso con Bassano e il suo territorio cambiò denominazione e gestione prendendo il nome di Comitato o Marca Trevisana, incardinato ecclesiasticamente alla cattedra vescovile di Asolo. Tale appartenenza perdurò fino a quando Berengario I, re d’Italia, subì dagli Ungheri una pesante sconfitta il 24 settembre 899 lungo il Brenta, nel guado tra Nove e Cartigliano, località che conservò per secoli il nome di “vadus ungherorum”, e che oggi viene indicata come il “Tumulo degli Ungheri”. A seguire gli Ungari nello stesso anno e nel 902 invasero Padova e la incendiarono.
A seguito di questi eventi, nel marzo del 912, il vescovo di Padova Sibicone, che era feudatario e consigliere di Berengario I, recatosi a Verona per rendergli omaggio si lamentò della distruzione patita dalla sua città e dell’incendio dell’archivio curiale, dove erano conservate le pergamene degli antichi privilegi concessi ai suoi predecessori dai vari imperatori. Sibicone ottenne da Berengario I ampio diploma (25 marzo 912), che confermava tutti i precedenti privilegi concessi al suo vescovado e gli conferiva la facoltà di erigere castelli difensivi. Poco dopo, su supplica di ben «quattro vescovi d’Italia», il 20 aprile 915, Berengario I donò allo stesso vescovo Sibicone la strategica «Val di Solagna», la pieve di Santa Giustina non lungi dal fiume Brenta, le vie di accesso al Canale di Brenta ed alcuni luoghi nei territori di Trento e di Ceneda. Confermò poi anche il diritto di innalzare castelli. Tutto ciò rappresentò una «vera trasmissione di potere», con tutti i diritti sovrani di giudicare sia gli uomini in armi che gli uomini liberi, di costruire castelli per difendersi dai pagani e dai cattivi cristiani. E’ verosimile che in seguito a questa donazione venne innalzato nella campagna di Cassola un castello difensivo con, al suo interno, una cappella consacrata all’Evangelista Marco. Per castello si deve intendere una specie di torre di avvistamento entro una adeguata fortificazione, resa probabilmente più sicura da un fossato esterno. Tale diploma ridisegnava giuridicamente ed ecclesiasticamente l’area pedemontana, conferendo al vescovo di Padova il controllo di alcune strade pubbliche nella Marca, e successivamente (nel 924) il controllo di una vasta area che andava oltre i limiti dell’antico municipio patavino. La campagna di Cassola, così, passava sotto l’influenza di Padova e del suo vescovo. Concedendo al vescovo di Padova tali privilegi e diritti sulle terre, implicitamente gli trasferiva anche il compito di salvaguardarle dalle incursioni, costruendovi strutture difensive (fortilizi, rocche). Quindi a partire dalla prima metà del X secolo, furono “incastellate” varie cappelle tra le quali quella di santa Giustina di Solagna, di Pove e di Cassola. La pieve di santa Maria in Colle di Bassano, matrice delle molte chiese sparse nel territorio, venne dotata anche di un sistema murario difensivo ben più consistente dei semplici recinti sparsi nella campagna.
Comunque il primo documento che attesta l’esistenza di un «castrum» e di un annesso edificio di culto in quel di Cassola è la nota donazione del 29 aprile 1085, compiuta da un gruppo di ricchi nobili, antenati degli Ezzelini e dei Camposampiero, [il Verci li identifica in Ecelo insieme con Ermizia, e con Tiso e Gerardo fratelli, che furono i primi nomi della famiglia nobilissima de’ Camposampieri] a favore del monastero benedettino dei Santi Eufemia martire e Pietro apostolo di Villanova, oggi Abbazia Pisani di Villa del Conte (PD). L’atto notarile di donazione fu rogato «in Braida», località dell’Asolano corrispondente all’attuale San Vito di Altivole (TV). Il passo relativo a tale nucleo precisa: “In villa, quae dicitur Casa sola, castrum unum et cappellam unam infra ipsum castrum constructam in honorem sancti evangelistae Marci et massaritias octo” [che tradotta: “Nel villaggio, chiamato Casa sola, vi è una fortificazione e, nello stesso, è stata costruita una cappella in onore di san Marco evangelista e ci sono otto massarie”]. Le massarie, con a capo un massaro, erano fondi di circa 30 campi ciascuno. Con questo atto di donazione si può dire che inizi la vera storia del paese: quella cioè documentata. Con la donazione del 1085, una buona fetta dell’agro cassolese passò dunque nelle mani degli abati di Santa Eufemia di Villanova. Gli abati che si succedettero al governo dell’abbazia di Santa Eufemia promossero bonifiche, estesi dissodamenti, aprirono strade, incanalarono i torrenti che scendevano dalle pendici del Grappa (come la Lugana), costruendovi sopra dei mulini. I monaci controllavano tutti questi beni – livellati (=dati in affitto) in gran parte a contadini del posto – attraverso degli emissari, i quali avevano la funzione di gastaldi (= di amministratori). Agli abati competeva la nomina dei rettori in cura d’anime delle varie cappelle campestri a loro soggette, compresa quella di San Marco di Cassola entro il castello, che doveva sorgere, secondo la tradizione popolare, in una imprecisata località detta delle «Calandrine», a nord del paese, dove nel passato sono emersi numerosi reperti di epoca romana e altomedievale
Dopo il mille, come un po’ ovunque, nonostante le lotte intestine fra vescovi-conti, comuni e ricchi feudatari, si verificò un generale ripopolamento delle campagne ed una lenta ripresa economica.
La città di Vicenza, sin dall’inizio, aveva mal digerito la cessione di buona parte del resto dei territori della diocesi di Asolo alla città di Padova. Tali territori comprendevano anche Pove e Solagna: villaggi che conserveranno a lungo i territori indivisi, nonché la campagna di Cassola. Nel 1175, approfittando di una favorevole situazione politico-strategica, Vicenza concludeva un accordo con la città di Bassano, che passava sotto la sua influenza. Gli uomini di Bassano giurarono tutti fedeltà al comune vicentino e fra questi troviamo anche un certo Odelricus de Caxola: segno questo che ormai la contrada aveva una sua precisa fisionomia. Alcuni anni dopo, nel 1189, anche i centri della vallata (Solagna, Pove, San Nazario, Campese) giurarono fedeltà alla città.
Cassola, automaticamente, cambiava protettore. Gli Ezzelini, feudatari dei vescovi di Vicenza e di Padova, contrari all’ingerenza vicentina, nel 1196 si impadronivano del Canal del Brenta e di Bassano, vendendoli poi alla città di Padova. La potente famiglia deteneva numerose proprietà a Bassano, lungo il Brenta, a Pove, a San Nazario e Solagna, in particolare in quella montagna di Collalto che rimarrà a lungo proprietà indivisa con Cassola. In queste contrade gli Ezzelini trovarono sempre uomini fidati, vassalli pronti a condividerne le sorti, sino alla sconfitta di Cassano d’Adda di Ezzelino III il Tiranno (morto a Soncino (Cremona) il 27 settembre 1259) e all’eliminazione di tutti i da Romano nel 1260 dopo l’assedio alla rocca di San Zenone (Treviso).
Al crollo del potere ezzeliniano seguirono anni di continue oscillazioni fra il governo vicentino e quello padovano. Bassano, intanto, andava sempre più estendendo la sua influenza sul territorio e sui villaggi limitrofi. Il 7 gennaio 1312 il podestà di Padova sanciva definitivamente tale primato. Anche Cassola, quindi, entrava in quest’orbita.
Il secolo XIV, per Bassano e il suo territorio, fu un periodo animato da tensioni e da guerre. Vide l’alternarsi della presenza scaligera, temporaneamente veneziana, carrarese e viscontea. Alla caduta dei Visconti, Bassano, con tutto il suo comprensorio, si consegnò alla Serenissima nel 1404. Da questo momento il bassanese, sotto l’ala protettrice del leone marciano, poté contare su un lungo periodo di relativa tranquillità, che durò sino al 1779, se si escludono le devastazioni operate dalle truppe imperiali di Pippo Spano nel 1413 e le ben più gravi distruzioni perpetrate al tempo della “Lega di Cambrai” (1509-1513).
Sarà proprio con l’avviarsi della dominazione veneziana che la campagna di Cassola, in parte disboscata e coltivata, subirà una pacifica e progressiva invasione di nuovi padroni e di nuovi coloni. Naturalmente le aree privilegiate di provenienza di questa emigrazione sono state quelle di Pove e di Solagna, seguite da Semonzo e circondario. Il nucleo famigliare povese che in questo periodo risulta essere numericamente più presente e meglio attestato in zona con proprietà è senz’altro quello degli Albertoni o Alberton, nella sua forma definitiva e più diffusa. Per molto tempo questa famiglia la si troverà fra le maggiori del paese, con numerosi membri a capo della comunità come sindaci, massari, procuratori e sempre in prima fila quando si tratterà di perorare la causa dell’autonomia sia ecclesiastica che civile di Cassola dai cugini povesi. Altre famiglie particolarmente presenti furono quelle dei Martinelli, originari di Solagna, e quelle povesi dei Bertoncelli e dei Vendramelli che, a loro volta, giunti a Cassola, si dirameranno nei ceppi dei Battaglia, e dei Chiminazzo. Nella campagna di San Zeno, invece, troviamo ben attestato, attorno al 1480, un Paolo quondam Vittorello, dal quale discenderà la nota famiglia dei Vittorelli, poi cittadini e nobili di Bassano. A queste famiglie si aggiungeranno nel ‘500: i Secco di Solagna, i Tolfo, i Marin, gli Alessi con i Visentin e i Cusinato di Rosà, i Sonda provenienti da Sondalo in Valtellina, i Busnardo da Mussolente. Anche il clero e la nobiltà, sia cittadina che veneziana, non tarderanno a mettere piede a Cassola. Già nel 1273, Pietro degli Aldinelli, sacerdote dalla dubbia fama, vendeva dei campi con case nella campagna di Cassola. All’inizio del ‘500 il monastero di Santa Croce di Campese deteneva ancora numerosi campi, frutto di antiche donazioni. Inoltre, cittadini di Bassano, come i Bonamico, e di Castelfranco, come i Novello e i Brunello, avevano diversi possedimenti.
Sarà comunque la nobiltà veneziana a fare ben presto la voce del leone. Già nel 1480, le comunità di Pove e Solagna avevano concesso ben 332 campi a livello ai Capello, patrizi veneziani. Su questo latifondo, che ai tempi di maggior splendore poté contare su circa 1000 campi, sorse all’inizio del ‘500 l’imponente dimora dei Capello, ora denominata ca’ Mora, dal nome dei successivi proprietari. I Memo, altra famiglia del patriziato veneziano faranno la loro comparsa attorno alla fine del ‘400, andandosi ad insediare in contrata sancti Zeni, nella campagna di Cassola, dove avranno dimora stabile in quel maniero denominato un po’ impropriamente “ca’ Mema”. Sin dall’inizio, i Memo si faranno carico delle mire autonomistiche degli abitanti di Cassola, ospitando spesso nella loro casa raduni di capi famiglia, già in attrito, a partire dal febbraio 1515 con il comune di Pove e dal settembre 1539 con i parroci Testa e Bovini, per l’annosa questione del quartese che volevano ancora imporre. [il quartese è una imposta ecclesiastica sui raccolti, consistente nella quarta parte della decima ovvero nella quarantesima parte del prodotto del suolo dentro i confini della parrocchia]
L’inizio della costruzione della nuova chiesa di san Marco, ubicata più a nord dell’attuale, coincise proprio con lo scoppiare di questo attrito che, anzi, si può considerare una sua diretta emanazione. Infatti anche le magre entrate del quartese potevano contribuire ad una autonomia religiosa con l’erezione della nuova chiesa e con la possibilità di avere e mantenere un sacerdote stabile. L’edificio verrà consacrato dal vescovo suffraganeo di Padova, Vielmo, l’8 ottobre 1556. [Un vescovo suffraganeo è il vescovo di una diocesi detta suffraganea che fa parte di un insieme di diocesi (dette comprovinciali o suffraganee) alle quali presiede un arcivescovo o metropolita che di regola è il vescovo della diocesi più antica o della diocesi più importante].
Il 26 agosto dello stesso anno, di domenica, in contrata Capsollae agri bassanensis in tempio divi Marci i capifamiglia nominavano loro procuratore Giovanni Maria Alberton perché questi si recasse a Padova dal vescovo per caldeggiare l’autonomia della nuova chiesa. La questione del quartese si protrarrà, nella prima fase, per quasi 50 anni, fra proteste e ricorsi vari, finché il 16 ottobre 1587, il Vicario generale di Padova, recatosi appositamente a Cassola, decreterà la separazione ufficiale delle due chiese, constatata la distanza che le separava. A titolo di indennizzo, però, alla chiesa di Pove venne riconosciuto un contributo annuo di 25 ducati, pagabili dalla novella parrocchia. Entrambe le parti rimasero scontente e continuarono a suon di procure e ricorsi, sino a che il cardinale Carlo Rezzonico [Venezia 25 aprile 1724 – Roma 26 gennaio 1799], presente a Cassola per la visita pastorale, non pose fine alla questione. Era il 3 agosto dell’anno 1745.
Dopo aver conseguito l’autonomia religiosa i cassolesi puntarono sicuri verso la separazione civile dal comune di Pove. Dovettero prima aspettare che venissero divisi i beni in comune di Pove-Cassola e di Solagna: le montagne di Collalto, di Campo di Roa e dell’Asolon. Già nel 1565 Pove e Solagna avevano tentato di ovviare ai danni che venivano arrecati da chi non ne voleva sapere delle relative regole: chi era interessato al pascolo continuava a pascolare barando le regole del pascolo, chi lo era alla legna continuava a tagliare senza pietà, dove e quando gli capitava per le mani, chi era occupato a far carbone continuava a farselo in barba ai divieti e ai regolamenti, ecc. Per questi motivi Pove e Solagna continuarono a fronteggiarsi, senza riuscire ad una vera soluzione fino alla “scrittura” del dottor Andrea Ronzoni del 6 settembre 1677, con la quale nello stesso anno fu effettuata la divisione dei suddetti beni in comune: in sintesi al comune di Solagna le montagne di Collalto e Campo di Roa; a Pove-Cassola l’Asolon e il “roverso” di Collalto. [per roverso si indicava il territorio poco assolato, in genere volto a nord]. Rimanevano irrisolti i “roversi” delle suddette montagne e le tariffe di pascolo richiedenti dei confini ben delineati. Questi problemi vennero affrontati dalla sentenza emessa il 17 agosto 1678 dal vicario pretorio di Treviso Pasquale Valmori, e da una sua successiva appendice del 16 novembre 1679.
Rimaneva la questione territoriale tra Pove e Cassola. A cinque anni dalla sentenza Valmori si giunse in forma pacata alla divisione fra Pove e Cassola. Il 20 maggio 1684 venne redatto l’atto di separazione dei beni in comune. Ma la storia non finiva lì. Già nel 1696 si ricorreva nuovamente a dei legali per la definizione dei confini, quanto mai nebulosi, “delli roversi di Campo San Martin”. Solo nel 1870 si arrivò ad una precisa delimitazione dei confini, seguita come sempre da ricorsi ed arbitrati vari. Nel 1907, mons. Pietro Brotto, all’epoca consigliere comunale, per chiudere definitivamente la questione, studiò l’intera vicenda, raccogliendo tutta la documentazione possibile dagli archivi del Comune e presso l’Archivio di Stato di Venezia. Interpellò eminenti giureconsulti per avere lumi recandosi infine a Bologna dal prof. Giacomo Venetian (Trieste 1861 – Carso 1915), primo civilista d’Italia, il quale dette parere favorevole per intraprendere un’azione legale. Sopraggiunsero, poi, la morte del prof. Venetian, la grande guerra e la morte dello stesso monsignore. Un suo discepolo l’avv. Liscara, ereditatone gli incartamenti, pose fine alla secolare vertenza con la vittoria del comune di Cassola.
Anche la contrada di San Zeno, quartiere di Rosà, dipendente religiosamente dalla Pieve bassanese, nel frattempo, aveva incominciato a reclamare il riconoscimento della sua identità. Già dall’inizio del ‘400 esisteva in questa contrada un piccolo edificio sacro con un suo rettore. Nel secolo successivo continuarono ad alternarsi sacerdoti non residenti. Finalmente, il vescovo di Vicenza Dolfìn esaudì le richieste degli abitanti separando la chiesetta campestre dalla pieve di Bassano ed erigendola in parrocchia il 19 aprile 1610. I Borromeo di Padova, proprietari in zona, mantennero per lungo tempo, in questa chiesa, un altare in onore del loro avo san Carlo. Il quartiere san Zeno di Rosà, posto però nella campagna di Cassola, nel 1853 venne definitivamente aggregato al comune di Cassola.
Nel frattempo i cassolesi, aumentati notevolmente di numero, cominciarono a pensare a una nuova e più grande chiesa. Concepita in forme classicistiche, con cinque altari marmorei dalla forma ancora barocca, la nuova chiesa doveva completare quel preciso disegno autonomistico che si era abbozzato circa duecento anni prima. Venne terminata nel 1776, dopo circa un ventennio di lavori e di sacrifici, un po’ di tutti. Il frate architetto Alessio Cusinato, nativo di san Zeno, fornì i disegni e diresse i lavori, sia della chiesa che del campanile dalla caratteristica pigna barocca. Attorno al sagrato, com’era consuetudine, venne approntato il cimitero (1750), in uso sino al 1851, anno in cui venne trasferito, in ottemperanza alle nuove disposizioni sanitarie.
I grandi e piccoli avvenimenti religiosi continuarono a svolgersi all’interno della chiesa, mentre le assemblee dei capi famiglia, per le decisioni comunali, si svolgevano generalmente di domenica nel sagrato o in canonica. Soltanto nel 1863 venne completato il palazzetto comunale che, però, scomparve con la costruzione dell’attuale sede.
Per la sua vicinanza a Bassano, anche Cassola visse i grandi avvenimenti storici di fine settecento e inizio ottocento. Tra il 1796 ed il 1797 infatti piombarono sul Veneto le truppe francesi di Napoleone Buonaparte, dirette verso l’Austria, passarono, razziando, nelle vicinanze di Bassano e si fermarono in località “Crocerone” tra Bassano, Cassola e Rosà. Con la pace di Campoformio (1797) l’intero territorio veneziano passò sotto il dominio austriaco e vi rimase fino al 25 dicembre 1805, quando venne creato da Napoleone il Regno d’Italia comprendente anche i territori veneziani precedentemente in mano austriaca. Napoleone poi venne sconfitto a Lipsia (1813) , e poi, con il congresso di Vienna (1815) gli Austriaci si ripresero il Veneto e la Lombardia. Il Veneto rimase all’Austria fino a che, con Ia terza guerra di indipendenza (1866) non venne ceduto all’Italia, tramite Napoleone III.
Questo periodo di eserciti in guerra tra di loro non giovò certamente alle campagne cassolesi perché furono depredate dei loro raccolti per fornire il vettovagliamento alle truppe presenti, creando anche episodi piuttosto gravi di gente disperata che, brandendo forche, mannaie, falci ed altro, tentava di occupare qualche edificio pubblico per chiedere da mangiare.
Tuttavia questi eventi suscitarono anche movimenti politici e sociali che portarono a leggi più eque e consone ai nuovi tempi. Il 26 dicembre 1805, dopo l’annessione al Regno d’Italia, il Veneto venne diviso in nove province ed in 24 dipartimenti. Il Bassanese in un primo tempo fu aggregato al dipartimento del Tagliamento (1806), poi a quello del Bacchiglione (1807). A partire dal l° maggio 1806 vennero introdotti anche nel Veneto il Codice Civile Napoleonico, il Concordato, il Decreto sulla organizzazione del clero, il Decreto sui Registri dello Stato Civile e quello sull’organizzazione delle autorità amministrative. E’ da questa data che nel Municipio ebbero inizio i registri dei nati, dei morti e degli atti di matrimonio prima tenuti, ora più ora meno diligentemente, dai parroci. Bassano, come capitale del distretto, fu dichiarata sede di vice-prefettura con l’amministrazione anche dei distretti di Marostica e di Asolo. In quell’occasione venne istituito in città un tribunale di prima istanza, civile e penale, con giurisdizione allora, oltre che sui distretti già detti, anche su Cittadella e su Castelfranco. Il 12 maggio 1806, vennero espropriati ed incamerati da parte dello stato tutti i beni delle confraternite religiose. Inoltre il 5 settembre 1806 venne esteso anche all’Italia il decreto napoleonico del 12 giugno 1804 sulla regolamentazione delle sepolture e dei luoghi ad esse dedicati. Poi il 25 aprile 1810, furono soppressi i conventi come tali ed adibiti poi come prigioni, come scuole, come ospedali o per qualche altro uso pubblico. Nel frattempo, proprio per esigenze belliche, vennero migliorate le vie di comunicazione dell’alto vicentino, basti pensare alla Bassano-Padova o alla Cittadella-Vicenza.
Un decreto del 22 dicembre 1807 assegnava al distretto di Bassano i seguenti comuni: Bassano, Rosà, Cartigliano, Cassola, Pove, Solagna, San Nazario, Cismon, Primolano, Romano di sopra, Romano di sotto, San Vito, Casoni, Rossano. Da documenti di quell’epoca si viene a sapere che, non avendo Cassola locali da adibire come sede del Municipio, il Comune venne aggregato a Rossano nel 1807, a Rosà nel 1809 e nel 1810, e poi a Bassano. La Villa di Cassola , che durante il napoleonico Regno d’Italia era stata unita a Rossano, nel 1816 fu finalmente eretta in Comune con le aggiunte di San Zeno e di Santa Croce di Bassano. Verso il 1850 gli uffici comunali vennero posti in sede. Infatti a quella data il Municipio funzionava in un locale della canonica avuto in affitto. Nel 1861 furono approntati i disegni per la costruzione di un edificio municipale e delle scuole elementari. I lavori per l’esecuzione di quei progetti vennero ultimati nel 1863 .
La occupazione austriaca suscitò nel Veneto e Lombardia un profondo anelito di indipendenza, manifestatisi inizialmente con moti insurrezionali, in particolare da parte degli aderenti alla Giovine Italia mazziniana. A tali aneliti il governo austriaco rispose con la costruzione di fortezze e altre opere di difesa in particolare nel quadrilatero tra Verona, Legnago, Mantova e Peschiera, attorno alle quali si combatteranno le “guerre d’indipendenza”. Il Veneto sia durante la prima guerra d’indipendenza, che durante la seconda, fu percorso da una ondata di grande spirito patriottico. Il 18 marzo 1848, quando si seppe che Vienna insorta aveva ottenuto la costituzione, a Bassano ci furono dei tumulti e si ebbero alcune iniziative per il raggiungimento della libertà ma tutto fu messo a tacere o, peggio, soffocato nel sangue quando, dopo la resa di Vicenza, arrivò nel Bassanese, con le truppe austriache, il ten. col. Tham.
Solo con la terza guerra d’indipendenza il Veneto fu sottratto all’Austria e ceduto all’Italia. Il 24 luglio 1866 entrava nella città di Bassano una divisione comandata dal gen. Giacomo Medici, si accampava in località Ca’ Cornaro e si preparava a risalire la Valsugana puntando contro i forti delle scale di Primolano. Il 20 novembre 1866 il comune di Cassola veniva annesso al Regno d’Italia.
Per i contadini il cosiddetto cambio di guardia, dagli Asburgo ai Savoia, non produsse cambiamenti degni di nota. Essi faticavano tutto il giorno, dalle prime ore del mattino fino a tarda notte, come mezzadri nei campi o nella casa colonica, sorvegliati da un fattore o “gastaldo” che curava gli interessi delle famiglie nobili, proprietarie di estese campagne anche in comune di Cassola, le quali per lo più abitavano a Bassano se non, addirittura, a Padova, a Venezia o altrove.
Di nuovo, l’unificazione aveva portato, sin dall’inizio degli anni settanta, l’istruzione elementare comunale con l’apertura della Scuola rurale maschile di grado inferiore e poi di quella femminile. Allestita in locali del comune e della parrocchia, nel 1912 trovò sistemazione decorosa in un nuovo edificio, inaugurato con grande concorso di popolo.
Il territorio del comune, quasi contemporaneamente all’introduzione dell’istruzione obbligatoria, era stato interessato dal tratto ferroviario di Padova-Bassano (1876) e poi da quello di Venezia-Bassano (1906). La successiva realizzazione della stazione ferroviaria (1910), con relative fermate, avrebbe gettato un ponte con ambienti totalmente estranei al piccolo paese rompendo il suo atavico isolamento.
Poi venne la prima guerra mondiale (1915-18) con l’invio di tanti giovani anche di questo territorio, che non tornarono più a casa. Cassola visse sicuramente l’ansia, il tormento, il dolore, il dramma di quegli anni sulla linea del fuoco nemico soprattutto dopo la rotta di Caporetto, quando il confine, dal Pasubio al Piave, passava sulle linee del vicino Monte Grappa e vi era il rischio che la popolazione fosse costretta ad andare profuga in altre regioni d’Italia. Inoltre per quella disfatta, Cassola si trovò piena di soldati, che venivano poi inoltrati al fronte o che da esso vi ritornavano in gravi condizioni, perché la stazione ferroviaria era stata elevata al rango di prima classe ed i treni, per parecchio tempo, avevano là il loro capolinea. Essi infatti non proseguivano fino a Bassano perché la città col Ponte degli Alpini, come pure il campo di aviazione a Casoni, era presa di mira dai cannoni nemici e quasi giornalmente cadevano granate e bombe dalle continue incursioni degli aerei avversari. Molte granate caddero pure nella frazione di San Zeno, soprattutto dove oggi sorge San Giuseppe, senza però fare vittime umane.
Si arrivò, senza particolari avvenimenti, al secondo conflitto mondiale (1940-45) che Cassola visse in tutta la sua tragicità . li Comune fu soggetto a parecchie incursioni aeree, sia diurne che notturne a causa della presenza delle due importanti linee ferroviarie Venezia-Bassano e Padova-Bassano. Nella parte bassa di Cassola parecchie case vennero lesionate e molti vetri furono infranti ma nel Comune non ci furono vittime.
Dopo l’8 settembre 1943 prese maggiore consistenza quel fenomeno di ribellione ai soprusi dell’invasore ed al nazi-fascismo in genere che andò sotto il nome di “Resistenza”. Parecchi Cassolesi si diedero alla macchia e fuggirono sui monti piuttosto che sottostare alla dittatura fascista. In una retata eseguita sul Grappa da parte dei “repubblichini” fascisti e del nazisti (comprese le milizie trentine e sudtirolesi arruolate nell’Alpenvorland) vennero catturati due Cassolesi, che furono impiccati a Bassano il 26 settembre 1944. Però la perdita più forte per il comune di Cassola avvenne il 5 novembre 1944: in quel giorno a Cismon del Grappa sei cassolesi, che si trovavano lì come operai, morirono sotto un grave bombardamento. La doverosa memoria di questi eventi viene mantenuta e tramandata attraverso i monumenti ai caduti o attraverso l’intitolazione di opere pubbliche.
Si deve a questo punto ricordare come dopo la prima guerra mondiale il comune di Bassano completò fino al Termine il “Viale dei Villini” denominato poi viale Venezia. La parte finale di questo viale conosciuta come “Al Termine”, indicava appunto che il viale Venezia terminava e si entrava nel comune di Cassola. Questa zona, chiamata sotto vari nomi come San Zeno alta, Termine, Calibri e altri nomi , all’epoca della prima guerra mondiale era abitata da un cinquantina di famiglie dedite prevalentemente alla coltivazione dei campi. Con la fine della seconda guerra mondiale questa zona ebbe un grande aumento demografico e un grande aumento urbanistico-abitativo (forse troppo tumultuoso ) mutando radicalmente l’aspetto di questo territorio e creando ex-novo una nuova parrocchia, quella di San Giuseppe, che si staccò , non senza contrasti, da quella di San Zeno il 10 gennaio del 1955. Gli altri territori del Comune, invece, Cassola e San Zeno ebbero un risveglio un r demografico ed economico più avanti negli anni.
Per finire ricordiamo che a Cassola ebbero i natali alcuni personaggi di rilievo: il già ricordato Alessio Cusinato (1681-1768) frate minore riformato, architetto; Antonio Sonda (1771-1831) scrittore ed incisore; la beata Gaetana Sterni (1827- 1889), fondatrice delle suore della Divina Volontà; Mons. Pietro Brotto (1841-1921) grecista e latinista; Mons. Giovanni Augusto Brotto (1881-1945) storico dell’Università e della Diocesi di Padova.
FONTI DOCUMENTALI
Carta archeologica dell’agro centuriato di Padova Nord (Cittadella-Bassano), a cura di Giuliana Ericani e Maria Teresa Lachin. Comune di Bassano del Grappa, Cierre Grafica, 2007
Cartigliano nella Storia, Franco Signori, Comitato per la pubblicazione di Cartigliano nella Storia, Artegrafica Sociale, Cittadella, 1998
Cassola e il suo territorio, Pro Loco Cassola, Tipografia A. Minchio – Casa Editrice spa, 1991
Informatutto Cassola- Guida storico-artistica e socio-economica,Urbano Cerantola e Antonio Garlini, Edizioni Cartolibreria Barbieri, Grafiche Tassotti Bassano, 1974
La Parrocchia di San Giuseppe. Storia e vita di una comunità nel territorio di Cassola. Editrice Artistica Bassano, 2015
La Parrocchiale, gli oratori e i capitelli di Cassola, i monumenti della religiosità di un Paese, di Agostino Brotto Pastega, 2012
Noi Cittadini, Cassola, Iniziative Editoriali e Comunicazione srl, 2006
Rosà, note per una storia. Giovanni Mantese, Opere Assistenziali di Rosà, Grafica&Stampa Vicenza, 1977
Storia degli Ecelini, di Verci Giambatista, Venezia, Tommaso Fontana Tipografo Edit., 1841
Storia di Cassola e del celebre organaro Giuseppe Maggiotto (Cassola 1796-Bassano 1855), Agostino Brotto Pastega, Laboratorio grafico BST, 2008
Storia di Pove e dei Povesi, Franco Signori, Comitato per la storia di Pove, Pove del Grappa, Bertoncello Artigrafiche, Cittadella, 1985
Voce di una Valle. Contributo per un dizionario dialettale della Valbrenta, a cura di Giuseppe Gheno, Grafiche Basso, attiliofraccaroeditore, 2016
pubblicato il 7 gennaio 2020
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