LA CHIESA DI SAN MARCO – LA STORIA
a cura di Vasco Bordignon
con la collaborazione di Filippo Beltrame
Come già scritto nelle Note Storiche di Cassola, il primo documento che attesta l’esistenza di un «castrum» e di un annesso edificio di culto in quel di Cassola è la nota donazione del 29 aprile 1085, compiuta da un gruppo di ricchi nobili, antenati degli Ezzelini e dei Camposampiero, [il Verci li identifica in Ecelo insieme con Ermizia, e con Tiso e Gerardo fratelli, che furono i primi nomi della famiglia nobilissima de’ Camposampieri] a favore del monastero benedettino dei Santi Eufemia martire e Pietro apostolo di Villanova, oggi Abbazia Pisani di Villa del Conte (PD). Il passo relativo a tale nucleo precisa: “In villa, quae dicitur Casa sola, castrum unum et cappellam unam infra ipsum castrum constructam in honorem sancti evangelistae Marci et massaritias octo” [che tradotta: “Nel villaggio, chiamato Casa sola, vi è una fortificazione e, nello stesso, è stata costruita una cappella in onore di san Marco evangelista…
In questa zona, nei secoli successivi, si formò un nucleo residenziale di famiglie le quali soprattutto per la distanza dalla loro chiesa di riferimento, quella di Pove, iniziarono a concretizzare richieste di autonomia religiosa.
Negli anni 1495 e 1496 si arrivò ad un accordo: i cassolesi, impegnandosi a versare alla chiesa di Pove il quartese del vino e delle biade, potevano fabbricare una nuova chiesa o riparare la chiesetta esistente. Ma furono solo parole. (Quartese = onere reale, corrispondente alla quarantesima parte dei frutti raccolti, derivato forse dalla divisione (9° sec.) delle decime dominicali vescovili in quattro parti (da cui il nome equivalente di quarta): una per il vescovo, una per i poveri, una per la manutenzione della chiesa e una per il sostentamento del clero, da www. treccani.it)
Infatti bisognerà arrivare al 10 febbraio 1552 perché fosse concessa la licenza di costruire una nuova chiesa. L’assemblea dei capifamiglia stabilì che tale chiesa sarebbe stata intitolata sempre a San Marco evangelista e che si sarebbe mantenuto un sacerdote stabile per la cura delle anime. Anche l’autorità civile (il podestà e il capitano di Bassano) il 19 aprile 1553 emanò lo stesso decreto.
I lavori per portare a termine tale chiesetta furono celeri tanto che il 7 gennaio 1554 si poté celebrare il primo “Perdon d’Assisi” che consisteva e consiste tuttora nel lucrare un’indulgenza plenaria che può essere ottenuta in tutte le chiese parrocchiali e francescane dal mezzogiorno del 1º agosto alla mezzanotte del 2 agosto.
La consacrazione della chiesa avvenne il 18 ottobre 1565 da parte del vescovo suffraganeo Girolamo Vielmi (Venezia 1519 – Venezia 7 marzo 1582. Fu nominato nel marzo del 1563 vescovo titolare di Argos nel Poleponneso e suffraganeo del vescovo di Padova Alvise Pisani, cui lo zio – il cardinale Francesco Pisani, carico di benefici – aveva ceduto la diocesi mantenendo il diritto di recesso. Francesco Pisani Venezia 1494 – Roma 28 giugno 1570. Fu vescovo di Padova dal 1524 al 1527. Alvise Pisani, Venezia 22 ottobre 1522 – Venezia 3 giugno 1570, fu vescovo di Padova dal 1555 al 1570). Nasceva così ufficialmente la parrocchia di San Marco della villa di Cassola, ecclesiasticamente dipendente dai vescovi di Padova.
Tuttavia continuarono le vertenze tra i parroci di Pove e i cassolesi della chiesa di San Marco a motivo dei tributi concordati (il quartese del vino e delle biade) che spesso a causa della povertà della maggior parte dei villici o per scarsità di raccolto da danni atmosferici ecc. non riuscivano a soddisfare, anzi cercavano di sottrarsi. Per questo motivo il 1° dicembre 1568 i capifamiglia elessero alcuni procuratori per le succitate vertenze.
Il 25 ottobre 1571: prima visita pastorale del vescovo di Padova Nicolò Ormanetto (Verona fine 1515/inizio 1516 – Verona 18 gennaio 1577 . Vescovo di Padova dal 1570 al 1577). Trovò che la piccola chiesa campestre di Cassola, dipendente dalla parrocchiale di Pove, aveva un solo altare consacrato, posto “ad oriente” … e sottolineò la mancanza di un campanile, della sacrestia e di una adeguata immagine del santo titolare sopra l’altare.
In riferimento alla mancanza del santo titolare, i cassolesi incaricarono rapidamente Jacopo dal Ponte ad eseguire una pala con le stesse caratteristiche di quella che vedevano alla parrocchiale di Pove dedicata San Vigilio. L’artista consegnò la pala il 21 dicembre 1573. La pala oltre al Santo fra le nuvole e ai lati in basso san Giovanni evangelista e san Bartolomeo apostolo, evidenzia in lontananza un albero secolare, una piccola chiesetta (quella di Cassola), in compagnia di un campanile che allora forse era in costruzione.
A due anni dalla collocazione della pala (1575) , arrivò una terribile epidemia di peste che rese ancor più povera la popolazione bloccando ogni impegno economico sia verso la loro chiesa sia verso la chiesa di Pove.
Intanto la questione del quartese continuava a protrarsi fra proteste e ricorsi vari, finché il 16 ottobre 1587, il Vicario generale di Padova, recatosi appositamente a Cassola, decretò la separazione ufficiale delle due chiese, constatata la distanza che le separava.
E’ del 2 gennaio 1588 il successivo decreto vescovile. A titolo di indennizzo, però, alla chiesa di Pove veniva riconosciuto un contributo annuo di 25 ducati, pagabili dalla nuova parrocchia. (Entrambe le parti tuttavia rimasero scontente e continuarono a suon di procure e ricorsi, sino a che il cardinale Carlo Rezzonico [Venezia 7 marzo 1693 – Roma 2 febbraio 1769, fu vescovo di Padova dal 1743 fino al 1758 quando fu eletto Papa col nome di Clemente XIII)], presente a Cassola per la visita pastorale, non pose fine alla questione. Era il 3 agosto dell’anno 1745) .
Alle soglie del nuovo secolo, la chiesetta, innalzata nel 1553, risultava alquanto angusta per accogliere tutti i fedeli e assai bisognosa di restauri. Perciò, il 10 maggio 1609, si bandì “una vicinia », cioè un’assemblea dei capifamiglia, per deliberare la costruzione di una nuova cappella da addossarsi alla chiesa esistente e per valutare gli interventi di restauro necessari. Si realizzarono altri traguardi oltre al cimitero, già documentato alla fine del Cinquecento, come una statua lignea della Madonna, collocata in chiesa il primo agosto 1616 (ora nell’oratorio della Pace di Borgo Bodi), l’erezione della Confraternita del Rosario nel 1617. Nel 1624 fu la volta dell’altare di san Carlo Borromeo e di san Francesco d’Assisi, la cui pala di Scuola vicentina fu benedetta il 6 dicembre, in concomitanza con la benedizione del nuovo cimitero, finalmente chiuso da muretti e cancelli di ferro. L’anno dopo (1625) si completava l’opera, collocando «le invetriate alle finestre della chiesa”; era allora parroco don Benvenuto Cusinato. Di poco successiva è da considerarsi la pala della cosiddetta Madonna della Cintura di Scuola dapontiana, con sant’Isidoro agricola in estasi, canonizzato da Gregorio XV nel 1622.
Pochi anni dopo la realizzazione del nuovo cimitero, si diffuse nelle campagne del Bassanese la ben nota peste del 1630-1631, che aveva iniziato a mietere vittime proprio fra le parrocchie di Rossano e San Zeno nel marzo del 1631, per poi dilagare nei paesi confinanti.
Nella visita pastorale del 1647 venne citata la presenza di una vera e propria sacrestia.
Nel corso del secondo Seicento, la vita del paese trascorse normalmente senza grandi sobbalzi, a parte le interminabili beghe dei parroci di Cassola e di Pove per il quartese. La vita religiosa di quegli anni venne rischiarata dalle visite pastorali dell’instancabile san Gregorio Barbarigo (Venezia 16 settembre 1625 – Padova 18 giugno 1697, fu vescovo di Padova dal 1664 al 1691). La canonica era così piccola e inospitale che il cardinale trovava alloggiamento, con il suo seguito, nella vicina Ca’ Capello, poi Ca’ Mora dalla prima metà del Settecento.
Nel primo trentennio del Settecento resse la parrocchia don Giovanni Molin (Asiago, 1646 – Cassola, 1736), e durante la sua amministrazione i Cassolesi deliberarono, il 28 novembre 1723, di sostituire l’altare ligneo cinquecentesco del Santissimo Sacramento con uno moderno di marmo (allora gli altari erano solo tre), che venne eseguito dal tagliapietra Giovanni Furegoni da Venezia ma residente in Bassano, completato nel 1731, come attesta il fregio barocco, retto da due putti, posto sopra la centina (= curvatura) della pala dapontiana, che reca la scritta »Pietas Fidelium/ Posuit/ A. MDCCXXXl/ R. 1896» (NB. R. 1896 è la data dell’ultimo restauro, vedi oltre).
Nel 1736, giunse in paese il nuovo parroco don Francesco Sarri (Quero 1688 – Cassola, 1775), e la situazione era quella di sempre: la povertà fra le case, in parte ancora nella forma di «casoni» coperti di paglia, e le polemiche astiose con i parroci di Pove. Don Sarri, inascoltato dalle autorità locali, il 6 giugno 1745 scrisse un’accorata supplica «all’Eminentissimo Principe», il vescovo di Padova Carlo Rezzonico poi papa col nome di Clemente XIII (Venezia 7 marzo 1693 – Roma 2 febbraio 1769. Fu vescovo di Padova dal 1743 al 1758), prossimo a compiere la prevista visita pastorale. Scriveva: «Sono quasi compiuti nove anni, che mi ritrovo al possesso di questa povera Chiesa di Cassola, ed appena arrivato intendo il considerevole debito che tiene il Parroco di pagare un’annua pensione di ducati 35 alla Chiesa di Pove». Lamentava inoltre le pessime condizioni della chiesa e della canonica, da lui trovate «nel più miserevole ed indecente stato», ed affermava inoltre non essere vero che la chiesa di Pove pagava “le gravezze» alla Curia di Padova anche per Cassola, perché riceveva da quest’ultima lire 217 mentre ne pagava in totale 132, tenendosi così un avanzo di lire 85.
In tal modo il parroco di Cassola sosteneva che Pove non sborsava una lira, ma anzi ne guadagnava. Al fine di evitare costosi litigi, che avrebbero portato sino a Venezia, il parroco Sarri si rimetteva alla giusta decisione del vescovo. Il cardinale Rezzonico giunse a Cassola il 3 agosto 1745, ascoltò le ragioni del parroco Sarri e poi quelle del parroco di Pove, Filippo Saccari e, all’indomani, decretò legittimo il contributo di 35 ducati dovuto dalla parrocchia di Cassola, imponendo il silenzio ad ambo le parti.
Il povero parroco Sarri dovette rassegnarsi, comunque, nonostante le difficoltà, e proseguì nell’impresa di ampliare la chiesa parrocchiale, concessa dal Rezzonico già precedentemente, il 22 luglio 1744. Ma nel breve tempo di un anno fu deciso di fare una completa ricostruzione della chiesa basandosi solamente sulle elemosine dei fedeli. Il paese poté allora fare affidamento su padre Alessio Cusinato (San Zeno di Cassola, 1681 – Treviso, 1768), un frate-architetto dei minori riformati nativo del luogo, il quale effettivamente si prestò con zelo, fornendo consigli, disegni e perizie per la chiesa e il nuovo campanile.
I lavori della nuova chiesa iniziarono nel 1746 e si conclusero nel 1766, come rammenta la lapide ottagonale posta sulla facciata posta a tramontana che recita: «Initium MDCCXLVI/ Dei Provvidentia/ et Cassolae Pietate/ A Fundamentis Erecta/ S. Marco Evan. Dicata/ Finis MDCCLXVI.
L’ingresso principale, originariamente a ovest, venne ruotato a nord ipotizzando probabilmente che il paese si sarebbe sviluppato in quella direzione. Nello stesso periodo, procedevano i lavori per la nuova torre campanaria.
Se fu relativamente veloce arrivare al tetto – già nel 1748 si seppellì nella «Chiesa nuova” il cappellano don Andrea Alessi – non fu altrettanto semplice decorare e arredare convenientemente l’interno.
Era allora invalsa l’abitudine nelle chiese della zona di eliminare i vecchi altari lignei (quasi sempre di grande pregio) per sostituirli con monumentali strutture lapidee, per le quali si erano specializzati gli scalpellini e gli scultori di Bassano e di Pove. Anche a Cassola si eliminarono i vecchi altari lignei della Confraternita del Rosario, dei santi Antonio da Padova, Carlo Borromeo, Francesco d’Assisi e della Confraternita della Madonna della Cintura o di san Isidoro agricola. Al loro posto, trovarono collocazione cinque monumentali altari ricoperti da marmi policromi con sommità allegoriche di tipo barocco. L’altare lapideo del Santissimo, compiuto nel 1731 e non più adatto alle nuove proporzioni della chiesa, fu riutilizzato nelle singoli sue parti.
Nella visita pastorale compiuta dal vescovo Sante Veronese (Venezia 4 marzo 1684 – Padova 18 giugno 1767, fu vescovo di Padova dal 1758 al 1767), il 13 ottobre 1763, i lavori risultarono alquanto avanzati: l’altare maggiore di San Marco fu trovato «ad formam», così pure gli altari del Rosario, di san Carlo Borromeo (dove si conservava la reliquia della vera Croce) e della «Beata Vergine del Cintura o di San Isidoro». Era ancora in costruzione quello di San Macario vescovo della invenzione della Santa Croce, voluto molto probabilmente perché, qualche tempo prima, padre Alessio Cusinato aveva donato alla parrocchia una preziosa reliquia della “Santa Croce”. Nella memoria del 1768, scritta dal parroco Sarri, si legge infatti: «Egli fu, che donò la Reliquia della Santa Croce molto miracolosa per benedir il tempo, e discacciar le tempeste che sono mandate dal Signore in castigo de’ nostri peccati».
Nella visita pastorale del 1774, il vescovo Nicolò Antonio Giustiniani (Venezia 21 giugnoi 1712 – Padova 24 novembre 1796 – Fu vescovo di Padova dal 1772 al 1796) trovò tutto risplendente: il marmoreo tabernacolo del Santissimo, i cinque altari impreziositi da pale e il campanile con due campane benedette. Note dissonanti furono il cimitero, bisognoso di restauri, e la canonica, trovata in un tale stato da non essere degna dell’abitazione di un parroco, si disse.
Il vecchio don Sarri aveva fatto miracoli per il culto – senza badare alle sue esigenze – e poteva perciò dirsi soddisfatto, sennonché, il vecchio tarlo del quartese lo angustiava ancora al punto che, nell’anno 1774, si rifiutò di pagarlo e per questo ricevette la visita delle guardie bassanesi, mandate dal parroco di Pove, Romano Strazzabosco. Alla vista di quei «bravi», il povero parroco ormai ottantasettenne non si perse d’animo, protestò “alla Loggia di Bassano” – presso il podestà – ricorse ancora a giureconsulti vari ma nel corso del 1775, dovette chinare il capo e pagare. Il 12 dicembre 1775, l’indomito parroco rese l’anima a Dio dopo aver speso generosamente quarant’anni della sua vita sacerdotale per il benessere spirituale e materiale degli amati parrocchiani.
All’inizio del XIX secolo, la parrocchia di Cassola contava poco meno di 780 anime, in gran parte anziani, donne e bambini, perché molti uomini utili alla guerra – come nel resto d’Europa – avevano trovato la morte nelle sanguinose campagne napoleoniche che avevano cancellato con un colpo di spugna il dorato mondo settecentesco. Con il trattato di Presburgo (l’attuale Bratislava in Slovacchia), del 26 dicembre 1805, il Veneto entrò a far parte del Regno d’Italia e, il 30 marzo 1806, fu estesa a tutte le provincie venete la Costituzione di Lione. Il “Comune di Villa di Cassola» rimase aggregato al «Comune di Rossano», come già lo era stato sotto gli Austriaci. La definitiva sconfitta di Napoleone pose fine all’effimero Regno d’Italia e, il primo febbraio 1814, si inalberò a Bassano lo stemma dell’imperatore d’Austria, Francesco I. Alla fine del 1815 si abolirono i napoleonici dipartimenti e si ristabilirono le provincie: il Veneto fu allora suddiviso in otto provincie, a loro volta divise in distretti. Vicenza ebbe aggregati 13 distretti e Bassano venne ad essere il «IV Distretto”, nel quale rientravano anche «Cazzola», Pove, «Romano di Sopra e di Sotto», San Zeno e Solagna.
La villa di Cassola, che durante il Regno d’Italia era stata unita a Rossano, nel 1816 venne finalmente eretta in «Comune», colle aggiunte di San Zeno e di Santa Croce di Bassano.
In quei tumultuosi tempi reggeva la parrocchia di Cassola don Vincenzo Bravo (Romano 1738 – Cassola 1820), eletto dal capitolo padovano nel 1805 e, per concorso, nel 1806. Fu lui che traghettò la chiesa cassolese dalle vecchie confraternite religiose, gestite dai «Massari», persone elette dalle stesse confraternite per le quali gestivano i relativi beni, (aboliti con decreto 26 maggio 1807), alla più moderna amministrazione delle Fabbricerie, introdotte nel Lombardo-Veneto dal napoleonico Regno d’Italia con la legge del 15 settembre 1807.
Con le nuove disposizioni di legge, il 4 aprile 1808 furono eletti i primi quattro fabbricieri preposti alla nuova amministrazione. In particolare, il tesoriere doveva tenere le due casse una della Chiesa e una dei Morti, fare i pagamenti e redigere scrupolosamente un registro, indicando le entrate e le uscite.
L’anno successivo, 1809, la Fabbriceria incontrò la spesa di lire 855 per l’allestimento di una «Via Crucis» ancora mancante. L’arredamento della chiesa andava così via via completandosi. Nella visita pastorale del vescovo Francesco Scipione Dondi Dell’Orologio (Padova 19 gennaio 1756 – Padova 6 ottobre 1819 – E’ stato vescovo di Padova dal 1807 al 1819), del 25 agosto 1816, si trovò che, ancora all’alba del XIX secolo, i parroci di Cassola dovevano dare annualmente lire 217 ai parroci di Pove. La chiesa venne trovata ben tenuta ed elegante con pulpito e campanile «ad formam», ma non ancora consacrata.
La popolazione aveva allora più di un motivo per votarsi ai santi protettori perché proprio nel biennio 1816-1817, si era diffusa nel Bassanese una tremenda carestia accompagnata da una devastante epidemia di tifo: è stato tramandato che la povera gente era costretta a mangiare radici, erbe di qualsiasi genere e, persino le «scolature dei piatti».
Il nuovo parroco don Bernardino Trevisan da Breganze, in carica dal 1820 al 1848 fece realizzare un nuovo battistero con una struttura «a teca» in “pietra e Macchia rossa di Francia» interno alla chiesa, eseguito dallo scalpellino Benedetto Canella e dal muratore Miazzi di Bassano, per una spesa complessiva di lire 1186 e soldi 12.
Preso dal fervore dei vari lavori di completamento, il parroco Trevisan arrivò a commissionare la decorazione della chiesa al famoso freschista Giovanni Battista Canal (Venezia, 1745 – 1825), appartenente ad una storica famiglia di artisti veneziani, come quelle dei vari Tiepolo, Longhi e Guardi. Giovanni Battista Canal salì sulle impalcature fra la fine di agosto e l’inizio di settembre del 1824. Il pittore eseguì, «Quattro Quadri», uno rotondo sul soffitto del coro e uno oblungo sul soffitto della navata della chiesa, più due «Chiariscuri» rispettivamente nel coro e sopra la porta maggiore (di quest’ultimo non si è trovata traccia). Nel tondo del presbiterio dipinse da par suo Le tre Virtù Teologali, mentre nel grande ovale oblungo della navata rappresentò Il martirio e la gloria di San Marco, affresco purtroppo perso irrimediabilmente con la rimozione del tetto nel 1955». Data la proverbiale velocità esecutiva del Canal, si può immaginare che, attorno alla fine di settembre, egli abbia portato a termine la sua opera.
La seconda dominazione austriaca, anche se contraddistinta da forme odiose di censura, ebbe se non altro il merito di garantire un periodo di provvidenziale pace dopo le disastrose campagne napoleoniche, durante il quale le famiglie delle campagne poterono lavorare in tranquillità e migliorare leggermente il loro tenore di vita. La maggiore disponibilità economica si rispecchiò anche nelle elemosine, con le quali i fabbricieri di Cassola poterono avviare nuovi lavori per l’abbellimento della chiesa. Nel 1830 fu la volta dell’elegante «Balaustrata» marmorea del presbiterio e del prezioso cancelletto di chiusura, eseguiti rispettivamente dal tagliapietre-scultor Benedetto Canella e da Sebastiano Tonon, «Ottonaio» peritissimo, ambedue ili Bassano. Anche in questo caso, purtroppo, si deve registrare l’eliminazione dei due artistici manufatti con le innovazioni introdotte dal Concilio Vaticano II.
Nel 1831 si volle rifare l’altare maggiore. Si chiamò nuovamente lo scalpellino Benedetto Canella. L’ambizioso progetto, che prevedeva di incastrare al centro dell’altare il vecchio parapetto, naufragò per la rottura in più parti dello stesso parapetto e questo incidente provocò il deterioramento dei rapporti fra la Fabbriceria e il Canella.
Si continuò a fare spese per tovaglie, paramenti sacri, candelieri, cornici per gli altari, un nuovo campanello per gli infermi commissionato alla ditta Colbacchini di Bassano, una «lampada nuova di Venezia» per l’altare del Rosario, eseguita dal predetto ottonaio Sebastiano Tonon.
Nel 1837, l’altare della Madonna del Rosario fu impreziosito da quindici rami rotondi miniati della tipografia Remondini, rappresentanti i «Misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi», mentre il parapetto della mensa ebbe una nuova croce lapidea. Si completò l’opera con il restauro e la totale «indoratura» della statua lignea della Madonna del Rosario.
Nell’anno 1839 si erano già realizzate due sacrestie, vale a dire la sacrestia vecchia ed una “nuova”, che in realtà quest’ultima era un semplice stanzone utilizzato come ripostiglio per una infinità di cose (dagli stendardi ai confessionali portatili, dalle torce alle scale, ecc. costruito sul lato opposto della “sacrestia vera”, addossata in pratica al fianco occidentale del presbiterio.
Si pensò poi al decoro delle processioni e così, nel 1843, si ordinò a Venezia un prezioso baldacchino con quattro aste per le processioni del «Corpus Domini». Venne inoltre ordinato da un’anonima benefattrice all’orefice Antonio Merlo di Vicenza un secchiello nuovo d’argento.
Intanto, nel novembre del 1845, si pubblicava il nuovo Compartimento Territoriale delle Provincie dipendenti dall’Imperiale Regio Governo Veneto, dove figurava anche il Comune di Cassola, rientrante nel «IV Distretto di Bassano». Con la frazione di San Zeno la popolazione sfiorava appena i 1482 individui.
Dopo tante spese per l’abbellimento della chiesa, era ormai giunto il tempo di pensare al coronamento dell’opera con la collocazione di una orchestra e di un proporzionato organo, allo scopo di rendere musicalmente parlante l’edificio sacro. A concretizzare l’idea, ci pensò il parroco don Bernardino Trevisan da Breganze (1820-1848), che avviò l’impegnativo progetto, ma purtroppo, il 26 gennaio 1848 si spegneva dopo breve malattia.
Al suo posto, subentrava don Marcantonio Brocadello, al quale toccò subito assistere ai tumulti della rivoluzione quarantottesca, che provocò non pochi dissesti economico-sociali anche nel Bassanese.
I tumulti non dovettero impensierire più di tanto il nuovo parroco e i fabbricieri se, il 22 novembre 1848, consegnarono al «signor Giacomo Nussio l° Fabbriciere» lire austriache 1440.57 per il saldo della «Cantoria dell’Organo in lavoro». La comunità cassolese ricorse, per l’organo, a Giuseppe Giacobbi non solo perché era motivo di orgoglio rivolgersi ad un compaesano, ma anche perché l’ex falegname si era fatto una solida fama come organaro con le prestazioni sino ad allora fornite.
Come da impegni presi, Giuseppe Giacobbi e i figli furono in grado di licenziare il nuovo organo prima dello scadere dell’anno 1849: si trattava del XXV organo della giovane ditta, composto da «36 registri con banda turca».
Lo strumento fu esaminato con esiti lusinghieri anche da altri professori e da diverse «persone intelligenti»: i fedeli ascoltarono estasiati e, alla fine, si diffuse una «comune universale soddisfazione».
La nuova chiesa di Cassola, iniziata nel lontano 1746, dopo oltre un secolo poteva dirsi finalmente completata in tutte le sue parti, con il suo fiore all’occhiello: l’organo Giacobbi, posto sopra la porta maggiore, in cantoria, come da tradizione.
La festa patronale di san Marco del 25 aprile 1852 rimase impressa nella memoria dei Cassolesi e nelle cronache parrocchiali perché, alle ore 9 di mattina, si ruppe la «Campana grande» del campanile, che rovinò sul sagrato con gran fragore, lasciando così sole le due piccole campane ad annunciare gli eventi. La pronta generosità di tutti i parrocchiani fece sì che, per il 25 aprile successivo, si potessero installare e udire le tre nuove campane, ordinate alla rinomata ditta bassanese dei fratelli Pietro e Girolamo Colbacchini.
Negli anni successivi all’installazione dell’organo, i fratelli Giacobbi vennero periodicamente convocati per riparazioni più o meno rilevanti: nel 1852 intervennero per modificazioni e aggiunte, nel 1855 per accorciature, negli anni 1859, 1863 e 1866 per lavori di manutenzione e accordature varie, nel 1869 per un restauro radicale costato lire 1304, perché l’organo era ridotto in un tale stato da «non poter più sonare».
Nel 1877, i fratelli Giacobbi realizzarono un altro «governo radicale», che contemplò il rifacimento di alcune canne della facciata. Ulteriori lavori di restauro e di semplice accordatura furono attuati, sempre dai fratelli Giacobbi, negli anni 1886, 1889, 1890 per l’ultima volta, nel 1892.
Ulteriori lavori di ampliamento e di abbellimento vennero avviati dal parroco don Giovanni Maria Zanchetta da Pove (1855-1909) quando, verso la fine del secolo, si diffuse la consapevolezza che la nuova parrocchiale, iniziata nell’ormai lontano 1746, sarebbe stata finalmente consacrata dalle autorità diocesane.
Un intervento di grande rilievo fu quello relativo alla realizzazione del «Coro nuovo» e del conseguente arretramento dell’altare maggiore, avviato nel 1894. I lavori si conclusero nel 1896, come attesta l’ultima parte della scritta scolpita sul fregio barocco sopra la curvatura della pala dapontiana «Restauravit 1896».
Nel corso ciel 1898 si volle dare il tocco finale all’apparato decorativo della chiesa, collocando un lampadario di cristallo pendente dall’archivolto del presbiterio. Si commissionò inoltre allo scultore-doratore Aristide Stefani (Angarano 1869 – Bassano 1953) «gli intagli dorati» dell’organo, della cantoria e del pulpito, ancora mancanti. Allo stesso artista si assegnò l’incarico di eseguire un baldacchino intagliato e dorato a foglia confacente allo stile della chiesa, da porsi sospeso sopra l’altare maggiore. Fu necessario inoltre rimettere in sesto l’organo.
Finalmente, il 9 ottobre 1899, la nuova parrocchiale, risplendente di tesori, veniva consacrata dal vescovo di Padova Giuseppe Callegari (Venezia 4 novembre 1841 – Padova 14 aprile 1906 – fu vescovo di Padova dal 1888 al 1906), con una «Messa solenne semipontificale cantata da monsignor Brotto dottor Pietro Canonico di Padova nativo di Cassola».
Il nuovo secolo vide il progressivo deterioramento dell’organo Giacobbi con il conseguente abbandono di una certa atmosfera religiosa esaltata dalla sua musica. Un restauro fu avviato nel 1928, un altro nel 1980 ma senza grandi risultati. Ma di questo la cronaca parrocchiale non ne parla.
1922, tra il 16 e il 17 agosto ignoti malavitosi riuscirono ad entrare nella “nuova” sacrestia e dopo aver saccheggiato quanto potevano, appiccarono il fuoco. Il danno fu gravissimo: vennero distrutti tutti i paramenti, camici, cotte, un prezioso baldacchino, rimasero danneggiati dal fuoco due calici, un reliquiario, e altro. La Santa Messa dovette essere celebrata in altra sede.
Si pensò – vista la situazione – di ampliare la chiesa, ormai angusta, proprio dove si trovava quello “stanzone”. Detto fatto il nuovo locale fu completato il 4 agosto del 1923.
1924 visita pastorale di Mons. Elia Angelo Dalla Costa (Villaverla 14 maggio 1872 – Firenze 22 dicembre 1961 – fu vescovo di Padova dal 1923 al 1931). Dalle note del relatore vescovile si evince chiaramente che quanto fatto non era soddisfacente. Infatti scrisse “Nell’ampliamento della chiesa si studi il modo di deturpare il meno possibile le linee architettoniche”!.
Nel 1927, dopo numerosi progetti e varianti, venne abbattuta la parete occidentale del presbiterio, quindi si realizzarono tre archi a tutto sesto, con aggettanti chiavi di volta curvilinee in muratura, sostenuti al centro da due colonne a tutto tondo di ordine tuscanico e ai lati da due semicolonne a base quadrangolare. Le colonne poggiano a loro volta su alti zoccoli, uniti ad una balaustra con colonnine a doppio fuso.
Dopo la visita pastorale del 1929 che confermava una sufficiente capacità di accoglimento dei fedeli, ma si lamentava della ristrettezza della sacrestia “vecchia”, nel 1931 si realizzò un allungamento verso mezzogiorno di circa tre metri. Ciò consentì un maggior respiro alle varie attività e consentì pure di aprire una piccola porta in comunicazione con il coro.
1955, estate: si demolì l’intera superficie del tetto ormai a rischio crollo, nonostante gli innumerevoli interventi di consolidamento effettuati dal 1824, quindi nel 1837, 1867, 1916, 1929 e da ultimo nel 1945. Venne così eliminato anche il grande affresco del Canal.
1962, si affidò al pittore Orlando Sorgato il lavoro di realizzare il nuovo affresco sulla “Gloria di San Marco Evangelista” ricoprendo così la superficie rimasta bianca per tanti anni. Il 25 aprile dello stesso anno l’affresco venne liberato dalle impalcature e benedetto.
Nel corso del 1986, l’interno della chiesa fu sottoposto ad una generale ridipintura, allargata anche alla cantoria e alla cassa armonica, in quell’occasione ricoperte purtroppo da sordi colori che occultarono le originarie cromie. Non si riproposero più le tendine giallo oro copri-musici e, in tempi recenti, si dovettero togliere le canne più pesanti del prospetto dell’organo perché minacciavano di cadere schiacciate dal loro stesso peso.
2017-2019 lavori di restauro conservativo. Dal bollettino parrocchiale: “l lavori strutturali di rafforzamento anti-sismico sono stati ultimati, già da qualche tempo. Le pareti perimetrali della chiesa (fatte di sassi del Brenta, con fasce di mattoni posti orizzontalmente) sono state consolidate con centinaia e centinaia di perforazioni, dentro le quali è stato iniettato del materiale aggregante assieme ad una verga di ferro; Il tetto è stato ulteriormente rafforzato, con tiranti incrociati, ed ancorato alle pareti portanti; Il presbiterio e la navata grande sono stati rafforzati con una cintura d’acciaio, nascosta sopra il cornicione, in modo da formare una specie di 8 posto in orizzontale, lungo tutto il perimetro dell’edificio. A questa struttura cosi compatta, è agganciata anche la facciata della chiesa, e rinforzata la cantoria lignea. Sono terminati i lavori di restauro e di ripulitura degli affreschi (tra cui uno di Giovanni Battista Canal del 1824, posto dietro l’organo – e di cui si era persa la memoria- e riportato alla luce); delle pareti della chiesa (dal soffitto al pavimento), riportandole al marmorino originale del 1766 e del 1824; delle parti lignee: il pulpito – che si trova a metà navata, e dal quale nel 1864 ha predicato ai parrocchiani di Cassola anche il cappellano di Tombolo Don Giuseppe Sarto, più tardi patriarca di Venezia e papa con nome di Pio X ora santo; la cantoria – che sosteneva i cantori e la cassa armonica dell’organo antico, il baldacchino – sopra il presbiterio, gli stalli del presbiterio, ecc.; degli altari laterali di marmo, e del fonte battesimale del 1824; dei due angeli (ai fianchi dell’altare maggiore) e dei capitelli corinzi sulla sommità delle paraste (che si pensava fossero in stucco: in realtà sono tutti scolpiti in pietra tenera di Custoza!). Sono stati predisposti i dotti per l’impianto di illuminazione, per quello di diffusione sonora e per quello di video-sorveglianza. È stato sollevato il pavimento, numerando una ad una le piastre quadrangolari di pietra di Pove, bianche e rosate (che dovranno ritornare alloro posto, una volta ripulite e levigate). Questo – per poter asportare uno strato di terra nuda di circa 50 cm di profondità, che facilitava l’umidità di risalita (cosi dannosa per il battistero e per gli altari laterali di marmo). Al posto di questa terra, verranno sistemati vari strati di sassi e ghiaia, con delle guaine isolanti, per bloccare l’umidità di risalita e canalizzarla all’esterno delle pareti. Durante questi scavi, alla presenza costante di due Archeologi mandati dalla Soprintendenza, è emerso il muro perimetrale a sud della primitiva chiesetta del 1553 orientata est-ovest (oggi questo muro si trova sotto la porta principale d’ingresso e sotto la facciata: si deduce facilmente che la chiesetta antica era tanto lunga quanto l’attuale chiesa è larga) con alcune strutture murarie molto profonde (forse la base dell’antico campanile?). È venuto alla luce il muretto di recinzione dell’antico cimitero, che affiancava la primitiva chiesetta; verso sud (oggi quel muretto di recinzione si trova a metà navata, ed attraversa la chiesa da una porta laterale all’altra). Naturalmente sono state raccolte numerose ossa umane e portate nell’ossario del cimitero. Infatti fino al 1810, in tutto il Veneto i cimiteri erano attorno alle chiese parrocchiali. Un decreto di Napoleone, per motivi igienici e sanitari, ha spostato i cimiteri fuori dei centri abitati. Negli scavi di questi giorni è venuta alla luce anche la base in pietra che sosteneva l’antica croce cimeteriale, a sud della chiesetta antica”.
FONTI DOCUMENTALI
LA PARROCCHIALE GLI ORATORI E I CAPITELLI DI CASSOLA – I MONUMENTI DELLA RELIGIOSITA’ DI UN PAESE, di Agostino Brotto Pastega, 2012,
STORIA DI CASSOLA E DEL CELEBRE ORGANARO GIUSEPPE GIACOBBI MAGGIOTTO (CASSOLA 1796 – BASSANO 1855), di Agostino Brotto Pastega, 2008, Laboratorio Grafico BST, Romano d’Ezzelino
www. treccani.it
NB. suggerisco ai cassolesi di tenere in casa questi due libri del loro illustre concittadino per poter allargare e approfondire tutti gli aspetti qui sinteticamente descritti
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pubblicato il 17 maggio 2021