CASSOLA – LA CHIESA DI SAN MARCO OGGI

LA CHIESA DI SAN MARCO

OGGI

di Vasco Bordignon

con la collaborazione di Filippo Beltrame

GLI ESTERNI DELLA CHIESA 

In questa immagine vediamo il campanile e la chiesa di San Marco evidenziando di quest’ultima la piacevole facciata classicheggiante.La facciata della chiesa è caratterizzata centralmente da un severo portale d’ingresso, con un timpano ribassato, con  lo stemma vescovile, e al di sopra di questo vi è una grande cornice ottagonale con al centro una lapide che documenta in latino la cronologia della costruzione della chiesa. “INITIUM MDCCXLVI/ DEI PROVVIDENTIA/ ET CASSOLAE PIETATE/ A FUNDAMENTIS ERECTA/ S. MARCO EVA. DICATA/ FINIS MDCCLXVI” cioè “Iniziata nel 1746, con la divina provvidenza e con la devozione di Cassola, fu eretta dalle fondamenta e dedicata a San Marco Evangelista, terminata nel 1766”.A ciascun  lato del portale, a partenza dalla base, su un alto zoccolo marmoreo si innalzano due paraste di ordine corinzio con capitello con foglie di acanto, separate da pannelli in muratura. Altre due paraste, una per parte, realizzano l’angolatura tra la fine della facciata e l’inizio delle pareti laterali. Le paraste sono in muratura rivestita poi da marmorino.Al di sopra delle paraste e della successiva trabeazione vi è un timpano sostenuto da un cornicione, a sua volta sostenuto da mensole (modiglioni) in pietra locale. Al centro del timpano vi è un tondo-finestra dal quale dipartono due losanghe in rilievo realizzate dall’assembramento di sassolini neri immersi nella malta.una losanga con i sassolini neriIl campanile si trova all’angolo nord-orientale a poche decine di metri dalla chiesa.  Possiamo dall’immagine individuare la sua progressione verso l’alto dalla sua base con la porta d’ingresso, poi dal grosso cordolo si slancia verso il cielo la torre campanaria a sezione quadrata lavorata (come si vede) all’esterno con mattoni a vista interrotti da aperture tipo feritoie strombate  (cioè a sezione trapezoidale) dislocate all’inizio e alla fine di grandi pannelli in rilievo ed evidenti dalle scanalature,  si arriva così ad un aggettante cornicione di pietra  dal quale si erge la cella campanaria ,  e poi  il “cupolino a pigna”  e  alla fine di tutto una croce in ferro battuto leggibile dai quattro punti cardinali con banderuola dei quattro venti a forma di un angelo annunnciante.porta d’ingresso la torre campanariadecorazione a grandi pannelli con scanalatureapertura a feritoiala cella campanaria  e parte terminalealtra immagine della parte terminale

Le campane sono state fuse dalla ditta Colbacchini di Padova, e sono state inaugurate il 9 ottobre del 1977. Le campane sono cinque e ognuna è dedicata alla Madonna e a dei Santi: la prima è dedicata a San Marco Evangelista e a  San Giuseppe sposo della Madonna, pesa 800 kg, ha un diametro di 111,6 cm, e la nota musicale è Mi crescente;  la seconda è dedicata alla Madonna del Rosario, a Sant’Isidoro agricola e a San’Elena imperatrice; pesa 575 kg, ha un diametro di 99,5 cm, e la nota musicale è Fa# giusta; la terza è dedicata ai Sant’Antonio di Padova, a San Francesco d’Assisi, a San Luigi Gonzaga e a San Carlo Borromeo; pesa 400 kg, ha un diametro di 88,5 cm, e la nota musicale è Sol# giusta; la quarta è dedicata a Santa Chiara d’Assisi, pesa 325 kg, ha un diametro di 83,8 cm e la nota musicale è La calante; a quinta  è dedicata ai Santi Pietro e Paolo e a San Macario; pesa 235 kg, ha un diametro di 75 cm, e la nota musicale è Si calante.

Non ho trovato la sua altezza, ma ragionevolmente dovrebbe avere un’altezza  alto tra i 55 e i 60 metri. Sappiamo però che ci sono 101 scalini per arrivare in cima.

L’INTERNO DELLA CHIESA

E’ una chiesa ad unica navata, con presbiterio chiuso da un’abside. E’ dotata di quattro cappelle laterali, due a destra e due a sinistra, realizzate nello spessore dei muri perimetrali. Discreta è l’illuminazione interna.

Il soffitto del presbiterio è dotato di due grandi archivolti, posti uno a nord, all’inizio dello stesso presbiterio ed uno a sud a livello del baldacchino, e da quattro pennacchi che sostengono al centro il cornicione di stucco. E’ illuminato da due ampie vetrate piombate con geometriche tessere gialle incorniciate da rossi cuoricini con all’interno un piccolo crocefisso..Il soffitto della navata è a botte interrotto da quattro  vele laterali, nelle quali  si aprono quattro finestroni  che hanno le stesse caratteristiche di quelle del presbiterio. (immagine sottostante)Lungo le pareti laterali si snoda una trabeazione a modiglioni cioè con elementi di sostegno  (tipo mensole) della cornice, trabeazione  che appare sostenuta  da paraste/lesene con alti zoccoli in muratura e con capitelli corinzi in pietra tenera di Custoza con foglie di acanto intagliate. Tale trabeazione prosegue anche in presbiterio, realizzando una decorazione ininterrotta.

La pavimentazione è in piastrelle quadrangolari di pietra di Pove bianche e rosate, allora chiamate “Listoline”, come vediamo nelle immagine sottostante dell’acquasantiera.Appena entrati ci accoglie una acquasantiera tutta in pietra rossa di Pove (conosciuta localmente come Maciòn). E’ alta 119 cm a partire dalla base trapezoidale,  quindi un  breve tondo da cui parte una colonna a goccia e infine un catino largo 74 cm,  ora vuoto a causa della pandemia.  Le varie macchie creano una diffusa piacevole cromia.

IMMAGINI DELL’INTERNO

dall’entrata verso il presbiterodal presbiterio verso l’uscitaEntrata: visione lato sinistro, si noti la trabeazione a modiglioni  e le colonne che separano le varie nicchie o altre strutture Entrata: visione lato destro, si noti la trabeazione a modiglioni  e le colonne che separano le varie nicchie o altre strutture

GLI ALTARI LATERALI e LE LORO PALE

Sono quattro, due a destra e due a sinistra. Sono stati realizzati dopo la metà del 1700, periodo ancora imperante del barocco, quindi con grande dovizia di forme, di creazioni, di colori, ecc. per rendere il tutto stupefacente, sbalorditivo.  Questi quattro altari essendo della stessa epoca sono abbastanza simili. Alla base vi sono due gradini, l’ultimo chiamato anche predella, a volte con “rimessi” di marmi (vedi oltre), cui segue un altare e  un paliotto. Dall’altare fa seguito la pala  relativa a Santi e/o alla Madonna.  Questo insieme centrale è fin dalla base accompagnato verso l’alto da quattro colonne (due a destra e due a sinistra)  che, al loro termine,  realizzano un timpano, oltre il quale vi sono altre strutture decorative che rappresentano la parte più elevata. Questa complessa struttura  utilizza una grande serie di marmi, che per esaltare ulteriormente la scenografia, sono stati abbelliti e/o arricchiti da  una serie di tarsie marmoree realizzate con la tecnica dei “rimessi”, permettendo così un risparmio notevole sui costi.  Per comprendere meglio  la  tecnica  dei “rimessi” e le sue motivazioni,  aggiungo parte di uno scritto dell’architetto bassanese Fabio Sbordone: ” . . .Nell’esecuzione di grandi elementi monolitici (come le colonne) con i costosissimi marmi colorati di lontana provenienza era economicamente preclusa alla normale committenza locale; non restava quindi che ricorrere alle pietre policrome di pregio (anche se locali) utilizzandone solo frammenti di minor dimensione. Segandoli faticosamente a mano in lastre di spessore anche vicino al centimetro, si ricavavano da quelli i rimessi marmorei che, inseriti (o incassati) e appropriatamente sagomati nelle sedi (le casse) predisposte a intaglio nelle parti strutturali e poi accuratamente stuccati e lucidati, avrebbero formato i pannelli policromi (le macchie) di piedistalli e antipendi, ma avrebbero anche rivestito le complesse superfici curve di colonne, fregi e modanature”.

PRIMO ALTARE A DESTRAAltare di Sant’Isidoro agricola o della Madonna della Cintura 

Questo altare viene attribuito al tagliapietra Francesco Gradasso di Pove, realizzato nel 1762 circa.  La struttura ha una composizione marmorea scenografica (in uso nel tardo-barocco).

L’altare giace su una base di marmo rosso di Pove (localmente detto Maciòn), e l’ultimo gradino presenta una pedana in Biancone di Pove, decorata da motivi cruciformi  in pietra rossa incisa.Accanto si slanciano verso l’alto doppie colonne, in Biancone di Pove, arricchite di avvolgenti rimessi di color rosso (Arabescato orobico rosso), presenti pure nel paliotto (vedi oltre)  e nei vari riquadri delle loro basi. I capitelli di ordine corinzio sono in pietra tenera di Custoza. Oltre al timpano spezzato, vi è  la parte sommitale in pietra tenera di Vicenza , di gusto barocco  con volute periferiche e con un ovale centrale arricchito da due putti,  e terminante con una conchiglia evocante  l’acqua purificatrice.Il paliotto ha uno scudo di stile barocco ad ampie volute di foglie di acanto nel contorno, mentre al centro vi è una lastra di  marmo di color grigio con venature più scure identificato come “Bardiglio carrarese”.Da soffermarsi anche sul ciborio marmoreo a forma di tempietto con cupolino a pigna.

Ricordiamo i collegamenti storici di tale attribuzione.

Sant’Isidoro agricola venne canonizzato nel 1622, e da allora gli fu attribuito la protezione verso i fittavoli, i mezzadri, verso i raccolti dei campi e verso gli animali.  Si narra che Isidoro era un pio agricoltore e per circostanze oscure fu accusato di trascurare i campi del padrone per assistere a varie funzioni religiose.  In realtà, mentre Isidoro pregava,  Angeli inviati da Dio provvedevano all’aratura e alla semina.  Alla fine della stagione il padrone fu sorpreso quando Isidoro gli consegnò un raccolto superiore a quello degli altri contadini!

Altro motivo di questo altare è la devozione al “sacro cingolo”, che si rifà ad una tradizione dell’Ordine degli Agostiniani secondo la quale fu Santa Monica ad avere il privilegio di poter vedere la Vergine negli ultimi anni di vita e di ricevere da Lei la miracolosa cintura che portava. Il figlio di Monica , Sant’Agostino, fu uno dei primi a seguire l’invito della Madonna, quello di portare sempre questo sacro cingolo e di diffondere questa devozione.  Questo cingolo veniva realizzato da “pelletieri”, e dopo la benedizione veniva portato sotto gli indumenti per tutto l’anno. Si pensava che avesse la proprietà di mantenere la salute, di allontanare le tentazioni e di favorire la gravidanza alle spose.

La pala attuale è opera del pittore Umberto Martina del 1920. L’autore conduce l’osservatore dalla grande  figura principale di San Isidoro genuflesso verso San Giuseppe e Gesù Bambino, salendo poi verso la Vergine assisa in trono in atto di porgere la sua cintura a Santa Monica, al cui fianco vi è il figlio Sant’Agostino con abiti vescovili e il pastorale.  Infine un cielo plumbeo ravvivato dal volo di due angeli. Al di sotto della pala è rimasta una cassetta, ora vuota, che un tempo conteneva delle reliquie come dicono le sigle ancora presenti RE ( LL)  SS. La sigla LL non si vede perché nascosta dal ciborio. dettaglio

( Umberto Martina, Dardago di Budoia (Pordenone) 15 luglio 1880 – Tauriano di Spilimbergo 14 gennaio 1945)

PRIMO ALTARE A SINISTRAALTARE DELL’ESALTAZIONE DELLA VERA CROCE O DI SAN MACARIO VESCOVO

Questo altare è verosimilmente opera della bottega del tagliapietra povese Francesco Gradasso considerando anche la stretta somiglianza con l’altare precedente. Viene datato 1764 circa, come pure dello stesso periodo la Pala d’altare di autore veneto, olio su tela. Interessante il paliotto e anche la decorazione della predella del tutto uguale al precedente altare.Del paliotto interessante lo scudo centrale di gusto barocco, in “bardiglio carrarese”, all’interno, centralmente, una croce dorata, con larghe volute di foglie di acanto in Biancone di Pove.Questa devozione nacque probabilmente quando padre Alessio Cusinato, frate architetto dei minori riformati, già citato nella storia di questa chiesa, donò alla parrocchia una reliquia della Santa Croce, autentificata dalla curia di Padova nel 1739.  All’inizio dell’Ottocento questa reliquia venne rubata assieme ad altri oggetti sacri. Nel 1861 per superare questa mancanza venne donata da parte di un sacerdote della curia una reliquia del beato Gregorio Barbarigo e l’anno dopo  anche una reliquia della Santa Croce, che però non fu autentificata. Ciò portò a un lento declino di questi altare e dei suoi significati religiosi.La pala presenta nella  parte superiore la regina Elena con la vera croce fra le braccia, portata alla luce con l’aiuto del vescovo di Gerusalemme San Macario che le è accanto in adorazione. Sul lato opposto vi è il grande teologo San Tommaso d’Aquino e San Osvaldo re di Northumbria legato a questo culto perché faceva innalzare una grande croce di legno prima di affrontare i nemici pagani. In basso a sinistra  entro uno scorcio paesaggistico vi sono due personaggi biblici: Giobbe seduto su un letamaio sofferente per le numerose piaghe e sua moglie che lo rimprovera perché non si ribellava a queste prove divine. dettagliodettaglioGiobbe rimproverato dalla moglie

SECONDO ALTARE A DESTRAALTARE DEI SANTI  CARLO BORROMEO, FRANCESCO D’ASSISI E ANTONIO DA PADOVA

Questo altare viene attribuito al già citato tagliapietra Francesco Gradasso, databile 1762 circa.Il paliotto ha centralmente uno scudo cruciforme ed esternamente larghe volute in Biancone di Pove. La sottostante predella è caratterizzata per la maggior parte dal Biancone di Pove senza alcuna decorazione. la parte superiore, oltre il timpano,   è rappresentata  da una  struttura marmorea  a volute con al centro una grande conchiglia

La pala originale (restaurata) attribuita alla scuola vicentina di Alessandro Maganza.  E’ un’opera un po’ tenebrosa, anche se vi sono forti contrasti chiaroscurali. In alto in gloria Sant’Antonio da Padova con in braccio il Bambino Gesù, che volge lo sguardo verso la terra; più sotto San Francesco d’Assisi e San Carlo Borromeo, entrambi in estatica contemplazione. Interessante lo scorcio  ai piedi di San Carlo di un putto  che quasi acrobaticamente tiene sia il lungo pastorale che il berretto cardinalizio.dettaglio

(Alessandro Maganza, Vicenza prima del 1556 – Vicenza nel 1632)

SECONDO ALTARE A SINISTRA 

ALTARE DELLA BEATA VERGINE  DEL ROSARIO

Come gli altri altari, anche questo evidenzia un diffuso utilizzo della tecnica del “rimesso” sia nei pannelli decorativi sia nel rivestimento dei fusti delle colonne evidenziando una piacevole armonia policroma, che coinvolge anche le altre strutture (capitelli corinzi, angioletti, San Giuseppe, la grande conchiglia realizzati con la pietra tenera di Vicenza.

Questo altare, come gli altri, è posto sopra una base di marmo rosso di Pove: l’ultimo gradino presenta una estesa superficie in Biancone di Pove decorata con eleganti motivi floreali.Il paliotto è abbastanza simile a quello dell’altare dei Santi , con scudo centrale cruciforme ed esternamente ampie volute in Biancone di Pove.La parte principale è rappresentata dalle colonne con capitelli corinzi che accolgono, per così dire, la preziosa nicchia, concepita anch’essa secondo uno stile barocco.  E’ stato l’intagliatore bassanese Sebastiano Gottardi ad eseguire per la nicchia una nuova cornice tutta d’un pezzo e scolpita a foglie di alloro (1851). Questa cornice venne rovinata dal furto sacrilego del 1869 (27 agosto) assieme all’asportazione di scettro, corona, gioielli della statua della madonna e di Gesù e altri oggetti esistenti.

Alcuni anni dopo venne commissionata una nuova immagine della Madonna allo scultore Vincenzo Cadorin ( Venezia  1854 – Venezia 27 novembre 1925). Lo scultore realizzò una vera e propria opera d’arte lignea, che incantò tutti soprattutto per l’immagine della Madonna e del Bambino Gesù esprimenti  grande delicatezza e spontaneità. Inoltre le vesti della Madonna trasmettono un grande candore amplificando quindi anche la sua natura di Immacolata, di senza peccato come dal dogma sancito da Pio IX nel 1851.

Il 21 novembre 1913 la statua venne manifestata ai fedeli dando luogo a grandi manifestazioni religiose da parte di tutti.

Qui vediamo la parte terminale dell’altare con una grande conchiglia e  sottostante, oltre alla formella polilobata centrale con San Giuseppe e il Bambino  Gesù all’interno del timpano spezzato, ai lati dell’arco spezzato vi sono due paffuti angioletti tranquillamente distesi. Al centro dell’altare l’Immacolata e  il bambino Gesù.  Nella superficie concava si stagliano dei raggi-luce in Biancone alternati a raggi realizzati in rimesso con Macchia rossa di Francia e giallo di Lusiana.Il piedistallo marmoreo di questa statua evidenzia tra varie volute una bella rosa in Biancone di Pove.

IL SANTO ROSARIO

Nel 1837 la calcografia dei Remondini consegnò le 15 incisioni colorate a mano relative ai 15 misteri del Sano Rosario (Gaudiosi, Dolorosi, Gloriosi). Le 15 cornicette circolari in marmo furono donate nello stesso anno dall’indoratore Tommaso Boaro, mentre i vetri furono applicati dal vetraio bassanese Reato Giambattista. Attualmente solo 10 sono originali, altre 5 sono disegni acquarellati di scarso livello artistico.L’insieme del santo Rosario nei suoi quindici misteri complessivi è situato tutto attorno alla cornice  della nicchia della Madonna. (immagine sopra). Come si vede i vari misteri sono distanziati da decorazioni floreali eseguiti con la tecnica della tarsia marmorea o del rimesso.

MISTERI GAUDIOSI

L’annunciazione dell’Angelo a Maria Vergine – La visita di Maria a Santa Elisabetta – La nascita di Gesù – La presentazione di Gesù al Tempio – Il ritrovamento di Gesù al Tempio.

MISTERI DOLOROSI

L’orazione di Gesù nell’orto del Getsemani – La flagellazione di Gesù – L’incoronazione di spine di Gesù – La salita di Gesù sul Calvario carico della Croce – La crocifissione e la morte di Gesù

 

I MISTERI GLORIOSI

La Resurrezione di Gesù – L’Assunzione in cielo di Gesù – La discesa dello Spirito Santo su Maria Vergine e sugli Apostoli  nel Cenacolo – L’incoronazione di Maria Vergine nella gloria degli Angeli e dei Santi.

 

LE DUE  SINGOLE PALE

LA PALA DI SINISTRA 

a sinistra, sopra l’ingresso alla Sacrestia. E’ opera di Umberto Martina (1880-1945), olio su tela, datata 1927.  In primo piano, vi è a piedi nudi Sant’Antonio da Padova che tiene un giglio con la mano destra e un libro chiuso con la sinistra;  a breve distanza vi è San Francesco d’Assisi inginocchiato e in adorazione del Crocefisso,  sottostante un teschio, una borsa di paglia e un cappello cardinalizio; più indietro vi è San Luigi Gonzaga e San Carlo Borromeo in conversazione.

LA PALA DI DESTRA 

a destra al di sopra del varco di entrata alla “chiesetta”. E’ opera di pittore veneto, olio su tela, databile metà del XVIII secolo circa.  Nel parte inferiore del dipinto si vede San’Isidoro inginocchiato,  ignaro che gli Angeli sono al lavoro nei campi per suo conto, che sta per compiere il miracolo del pozzo per mezzo della intercessione della Madonna della cintura: infatti dal suo bastone infisso nella terra  miracolosamente risale l’acqua del pozzo, acqua che si porta dietro anche un bimbo che vi era caduto dentro.  A sinistra vi è un cesto di vimini dimenticato dal Santo con le sue scarse vivande, coperte da un bianco panno. In alto nella sfera celeste vi sono la Vergine e il Bambino Gesù intenti a consegnare il sacro cingolo a Sant’Agostino e a sua madre Santa Monica, quest’ultima in vesti vedovili.Il santo in preghiera mentre gli angeli lavorano nel campo; e  sotto la consegna del sacro cingolo

IL PULPITO 

Si trova a sinistra, a metà della navata. Credo che oggigiorno non sia più “attivo”. Tempo addietro era utilizzato per le prediche nelle grandi occasioni. Questo manufatto è stato costruito nel periodo della ricostruzione della chiesa (1746-1766).  Le decorazioni attuali sono del 1897 realizzate dall’artista Stefani Aristide. ( Angarano 1869 – Bassano 1953)il pulpito nella sua interezzadettaglioSulla superficie interna realizzò il classico cielo con la colomba dello Spirito Santo al centro di una raggiera dorataIn questa decorazione centrale si apprezza al centro l’agnello accovacciato sul Vangelo, simbolo di Gesù Cristo sacrificato e risorto. Sopra l’agnello vi sono le Tavole della Legge, e sotto la Croce papale ed un pastorale. in questo pannello posizionato a sinistra è evidente una grande Croce che si intreccia con il simbolo dell’eucarestia, l’ostia e il calice, cioè del pane e del vino.nel pannello posizionato a destra in evidenza la tiara papale e la chiavi del regno del cielo. Nelle zone di passaggio vi sono sia a destra che a sinistra due putti .

TARGA RICORDO di PAPA SARTO

E’ una targa lignea incisa e dorata, posta nel 1964 sotto il pulpito, a ricordo della venuta del cappellano Giuseppe Sarto (poi Papa Pio X)  nel 1864 per l’ottavario dei defunti. Si legge :” IN QUESTA CHIESA / SAN PIO X / ALLORA CAPPELLANO DI TOMBOLO / PREDICO’ L’OTTAVARIO / NEL NOVEMBRE 1864″.

LA LAPIDE DELLA CONSACRAZIONE DELLA CHIESA

si trova a destra, a metà della navata, dirimpetto al pulpitoQuesta lapide vuole ricordare il 7 ottobre 1898  giorno della solenne consacrazione della Chiesa con la presenza del Vescovo di Padova Giuseppe Callegari (Venezia 4 novembre 1841- Padova 14 aprile 1906. E’ stato vescovo di Padova dal 1882 al 1906) . Il manufatto è in Biancone di Pove con quattro angoli caratterizzati da quattro lobi, ciascuno con un fiore centrale a cinque petali.    La lapide ricorda che la Chiesa in onore di San Marco Evangelista terminò nel 1766 sotto il rettorato di Francesco Sarri; che fu poi ampliata e decorata  e quindi solennemente consacrata dal vescovo padovano Giuseppe Callegari il 7 ottobre  1898, all’epoca del rettorato di Giovanni Maria Zanchetta,

LA CANTORIA 

Correva voce che una chiesa, per quanto bella, è come se fosse morta se manca l’organo. Infatti, dopo le varie migliorie realizzate, mancava proprio l’organo e quel detto era proprio vero. Sia il parroco, sia la fabbriceria di Cassola ordinarono già nel 1847  a Giuseppe Giacobbi  e figli, soprannominati Maggiotto, già esperti costruttori, la realizzazione di un importante organo, e ai Bernardo Vialetto  e figli di Campolongo d’Oliero la costruzione del cassone e della cantoria. Il 13 ottobre 1849 si procedette al rito del collaudo che fu di grande soddisfazione.

Come già accennato nella “Storia”, con l’inizio del nuovo secolo vi fu un progressivo declino  dell’organo fino all’abbandono. Nei decenni successivi vi furono tentativi di rinascita, ma questa non si realizzò. Nel 1928 vi fu un restauro, ma non vi è nulla di scritto.  Nel 1986 si fece una generale ritinteggiatura dell’interno della chiesa che coinvolse anche la cantoria e la cassa armonica, occultando purtroppo gli originali colori. Negli anni seguenti vennero tolte le canne più pesanti per rischio di crollo, e vennero a mancare numerose canne anche  per furti  da parte di ignoti.

Ci rimane di illustrare i fregi intagliati e dorati creati nel 1898 da Aristide Stefani ( Angarano 1869 – Bassano 1953).

visione d’insiemei due mensoloni di sinistra

La cantoria nel suo insieme vista dal presbiterio.  Si segnala nella parte inferiore la presenza di due mensoloni  a destra e due a sinistra di sostegno della medesima.  Si vede la fascia mediana con le decorazioni di Aristide Stefani e la struttura a tempietto con timpano nella parte superiore.le decorazioni a sinistra. La prima è decorata anche con strumenti musicali, quali un tamburo e un oboe anticola decorazione a destra. Di interesse l’ultima con strumenti musicali, quali piatti orchestrali e un’antara.questa è la decorazione centrale con vari strumenti: una tromba, una viola   da braccio, un corno naturale e una bombarda. anche il timpano della cassa di risonanza evidenzia uno strumento musicale: è la lira.

IL BATTISTERO 

E’ opera di Marco Canella (1769-1832) e del figlio Benedetto (1803-1862), realizzato nel 1824. La struttura è  in pietra “Biancone di Pove” con rimessi in “Macchia Rossa di  Francia”.  La forma complessiva riecheggia quella dei reliquari a teca o a portella e fu molto apprezzata. Questo manufatto risulta incassato parzialmente nel muro della chiesa, dal quale sorge a partenza da una base a campana, a sua volta poggiata su due scalini di pietra rossa del Grappa o di Pove. Le portelle sono lignee dipinte con le caratteristiche venature del “marmo rosso di Francia” così da farle sembrare veramente di marmo. E’ chiusa da un aggettante cornice modanata in biancone di Pove e da un cupolino neobarocco. Al di sopra vi è una statuina lignea policroma che rappresenta San Giovanni Battista, intento a benedire con l’acqua del Giordano per mezzo di una ciotola metallica. Interessanti i particolari anatomici, la pelliccia di cammello, la ciotola e l’asta con bandiera, tutti di buona fattura. 

IL SOFFITTO

Come già scritto nella storia di questa chiesa, per motivi di sicurezza a causa di reale rischio crollo, il soffitto venne demolito distruggendo così anche l’affresco di Giovanni Battista Canal. Di questo affresco non abbiamo nessuna fotografia o disegno.  Per 13 anni questo soffitto rimase “vuoto”  finché nel 1962 fu affidato  a Orlando Sorgato la realizzazione di un nuovo affresco riproponendo lo stesso soggetto del Canal  sull’ovale bianco rimasto dopo la demolizione. ( Orlando Sorgato Padova 21 febbraio 1916 – Padova 21 luglio 2018) . Questo affresco ha una lunghezza di 13,3 metri e una larghezza di 4,5 metri per una superficie complessiva di 60 metriquadri.

L’opera del Sorgato, si svolge da sud verso nord, e racconta all’inizio il martirio di San Marco, al centro la gloria del Santo e alla fine la visione del paradiso.

l’affresco del Sorgato nella sua interezzail martirio di San Marcol’ascesa al cielo di San MarcoLa visione del Paradiso

Purtroppo l’affresco tende ad essere un po’ tenebroso  con la presenza di alcune macchie bianche che ne oscurano il racconto, specie nel martirio di San Marco.

LA VIA CRUCIS 

Il 14 novembre  1817 venne  posizionata e benedetta una nuova Via Crucis, ideata e disegnata tra il 1795 e il 1801 dall’artista Luigi Sabatelli (Firenze 21 febbraio 1772 – Milano 29 gennaio 1850).  Tale  Via Crucis è composta di 14 acqueforti  colorate a mano e tradotte calcograficamente dai suoi collaboratori.  Nonostante gli acciacchi del tempo si può ancora affermare che questa serie  con i suoi contrasti cromatici sia delle vesti sia dei protagonisti  suscita vere emozioni.

Varie  stazioni di questa Via Crucis sono caratterizzate  anche da una sovrastante corona di foglie di vite che racchiude al suo interno  una croce floreale stilizzata. In questa esposizione non è presente nei singoli quadri per non ridurre le loro dimensioni. Prima stazione: GESU’ CONDANNATO A MORTESeconda stazione:  GESU’ RICEVE LA CROCE SOPRA LE SPALLETerza stazione: GESU’ CADE LA PRIMA VOLTA SOTTO LA CROCEQuarta stazione: GESU’ INCONTRA LA SUA SANTISSIMA MADREQuinta stazione: GESU’ AIUTATO DAL CIRENEOSesta stazione: GESU’ ASCIUGATO DALLA VERONICASettima stazione: GESU’ CADE LA SECONDA VOLTA SOTTO LA CROCEOttava stazione:GESU’ CONSOLA LE DONNE DI GERUSALEMMENona stazione: GESU’ CADE LA TERZA VOLTA SOTTO LA CROCEDecima stazione: GESU’ SPOGLIATO E ABBEVERATO DI FIELEUndicesima stazione: GESU’ INCHIODATO IN CROCEDodicesima stazione: GESU’ INNALZATO E MORTO IN CROCETredicesima stazione: GESU’ DEPOSTO DALLA CROCEQuattordicesima stazione: GESU’ POSTO NEL SANTO SEPOLCRO

LA CHIESETTA

Come già accennato nella storia della chiesa questa superficie venne aggiunta per dare una maggiore possibilità di partecipazioni alle funzioni religiose, a seguito dell’aumento nel tempo  della popolazione.   E’ stata arricchita dalla presenza di tre  quadri e di due monumenti.

La chiesetta vista dal presbiterio Questa è la pala della Beata Gaetana Sterni realizzata  olio su tela nel 1989 da Agostino Brotto Pastega, grande amante della storia di questo suo luogo di nascita, oltre che grande letterato e artista. La Beata è rappresentata nella veste di fondatrice, avvolta in una particolare luce serale, alludendo alla fine della sua giornata terrena. Sul petto vi è la grande medaglia d’oro da lei stessa disegnata prendendo spunto da quella coniata nel 1873 per la consacrazione della Città di Bassano al Sacro Cuore di Gesù. Alle sue spalle, al di là del tendone di velluto verde si staglia il massiccio del Grappa e Ca’ Mora, quel palazzo di campagna dove nacque e nel quale visse per i primi nove anni della sua vita. La sua mano sinistra è poggiata sul foglio delle Regole del suo ordine, mentre la mano destra è posta sopra il capo di una consorella in segno di protezione e di benedizione.  

NOTE BIOGRAFICHE DELLA BEATA GAETANA STERNI

Gaetana Sterni nasce a Cassola (Vicenza) il 26 giugno 1827 e vive a Bassano del Grappa. Non ancora sedicenne sposa Liberale Conte, vedovo con tre figli in tenera età. Dopo otto mesi di matrimonio felice, mentre è in attesa di un figlio, le muore il marito. Perde anche il bambino a tre giorni dalla nascita. Per interesse, è ingiustamente separata dagli orfani, a lei affezionatissimi, e privata dalla casa. Nel 1847 la propensione alla famiglia sembra spingerla a nuove nozze, ma Gaetana, affascinata da Dio, si affida decisamente a Lui che vuole essere “l’unico sposo dell’anima sua”. Per questo entra nel convento delle Suore Canossiane di Bassano. La pace e l’intimità con Dio l’appagano, tuttavia dopo appena quattro mesi, per la morte della madre, deve lasciare il convento e assumersi la responsabilità della famiglia, composta solo di minori. A ventisei anni, finalmente libera da ogni impegno, quando fa progetti per realizzare il suo ideale di vita claustrale, “solo per fare la volontà di Dio” entra nel Ricovero di Bassano, dove impegna tutta se stessa nel servizio dei poveri degli ammalati. Fra tante contraddizioni e difficoltà, Gaetana trova il suo punto di equilibrio e di forza nell’aspirazione profonda a “compiacere il Signore” facendo la Sua volontà, che intuisce come volontà di bene verso tutti. Si abbandona “come debole strumento” nelle mani di Dio e questa umile disponibilità la conduce, quasi senza che se ne avveda, a dar vita alla Congregazione delle Suore della Divina Volontà. Gaetana muore a Bassano il 26 novembre 1889. E’ proclamata beata da Giovanni Paolo II il 4 novembre 2001.

(dal libro “Gaetana Sterni di Bassano del Grappa e la Divina Volontà, di Gaetano Passarelli, Graphe-IT edizioni, 2008Sacro Cuore di Gesù, 1870 circa,  olio su tela, autore sconosciuto, copia da Pompeo Batoni.Sacro Cuore di Maria  Vergine, olio su tela, autore ignoto, 1870 circa

Il monumento a Mons.  Pietro Brotto Pastegao  E’ costituito da una lapide con iscrizione realizzata dalla ditta Donazzan Gianbattista e figli, e da un busto marmoreo eseguito nel 1923 dallo scultore Giovanni Patrizi.

NOTE BIOGRAFICHE DI MONSIGNOR PIETRO BROTTO PASTEGA

Nacque a Cassola il 19 luglio 1841. La sua vita di sacerdote e di professore si svolse interamente tra le mura del Seminario e della Città del Santo, oltre a ritornare al suo natio paese per ogni necessità. Fu un profondo conoscitore e studioso della civiltà greca, tanto da produrre anche una grammatica greca in due volumi. Aveva anche una grande dimestichezza con il latino. Non lesinò di dare consigli, pareri sia in campo religioso che civile. Difese inoltre l’integrità del territorio del comune di nascita dall’espansionismo bassanese. Chiedendo silenzio andava a trovare le famiglie in difficoltà dando loro denaro, e anche sacchetti di sale per tener lontano la pellagra. Richiamava i ricchi ad aiutare le famiglie e gli istituti in difficoltà. Dopo oltre quarantacinque anni di insegnamento a livello universitario fu messo a risposo. Decide di tornare a Cassola. Il 9 settembre 1921 salì al cielo. Una fiumana di gente partecipò ai suoi funerali. Venne illustrato come eminente professore, il benefattore di tanti, il santo sacerdote, “ un uomo fatto secondo il cuore di Dio”. Il 19 settembre 1923 venne scoperto il monumento in marmo statuario e posto nella “chiesetta”. Lo scultore Giovanni Patrizi eseguì il busto con vere fattezze del monsignore, mentre la ditta “Donazzan Giovanni o Giambattista e figli” eseguì la lapide con l’iscrizione. (dal Agostino Brotto Pastega, 2012)

Il monumento a  Mons. Giovanni Augusto Brotto Pastega (Cassola 16 febbraio 1881 – Padova 6/7 luglio 1945). E’ costituito da una struttura marmorea con il suo busto in bronzo. E’ incisa la seguente dedica ” A /Mons.Giovanni Augusto Brotto / Concittadini e Clero / Riconoscenti / Posero / 1881 – 1945.

NOTE BIOGRAFICHE

DI MONSIGNOR GIOVANNI AUGUSTO BROTTO PASTEGA

 Nacque a Cassola il 16 febbraio 1881. Appena quattordicenne entrò nel Seminario di Padova. Dopo gli studi liceali nel 1902 divenne studente della “Reale Università di Padova” per iniziare gli studi di Filosofia e Lettere. Nel 1904 venne consacrato sacerdote, e nello stesso anno divenne professore presso il Seminario di Padova e presso il collegio vescovile di Thiene. Ottenne la laurea nel 1908 con una tesi storica sul Vescovo di Padova Francesco Dondi dell’Orologio, tesi che ebbe l’onore della stampa. Nel 1911 pubblicò un compendio della grammatica dello zio Pietro. Durante la Grande Guerra fu cappellano militare della C.R.I., poi riprese l’insegnamento do greco e latino presso il Seminario e il Collegio Vescovile Barbarigo. In occasione del VII Centenario della fondazione dell’Università di Padova (1922) dette alle stampe una monumentale ricerca che censiva tutti i documenti delle lauree in arti, medicina, diritto e teologia rilasciati dall’Università padovana agli studenti degli stati “italiani e stranieri” dal 1406. Per i suoi meriti fu insignito del titolo di “Cavaliere della Corona Sabauda e del Sacro Sepolcro” e vari altri riconoscimenti. Venne anche coinvolto nel Centenario del Museo Civico di Padova. Nel 1928 venne chiamato alla direzione del Collegio Vescovile Barbarigo. Questa carica gli impedì di proseguire i suoi studi storici. Per 17 anni mantenne questa direzione riservandosi solo l’insegnamento della Storia dell’Arte nel liceo classico interno al Collegio, dovendo abbandonare la cattedra di greco e di latino. Nel 1936 fu nominato canonico onorario della Cattedrale di Padova. Durante gli anni del secondo conflitto mondiale fu duramente minacciato in quanto apriva la porta nottetempo ad ammalati, a perseguitati, ed ebrei. Nel maggio del 1945 ospitò migliaia di ex-internati scheletrici dando loro cibo, abiti nonché  danaro per raggiungere i luoghi d’origine. Nella notte tra il 6 e il 7 luglio 1945 rese l’anima a Dio, e come sentisse la prossima fine negli ultimi giorni stese vari testamenti … tra i quali anche il desiderio di essere sepolto a Cassola. (da Agostino Brotto Pastega, 2012)

IL PRESBITERIO ABSIDATO

Immagine attuale del presbiterio  absidato,  Nel 1896 il precedente presbiterio con parete retta di chiusura  subì un allungamento al fine di realizzare la nuova abside, come oggigiorno vediamo.  Il catino absidale fu decorato con cassettoni e rosoni al centro. .

IL BALDACCHINO 

A seguito di questo allungamento del presbiterio, fu necessario progettare un baldacchino da posizionarsi al centro del grande archivolto in maniera tale da risultare sospeso sopra l’altare maggiore. L’incarico alla sua realizzazione fu dato al bassanese Stefani Aristide, presente in questa chiesa per altri lavori.  Il risultato fu sensazionale. Infatti concepì una cornice polilobata come fosse una corona decorata da innumerevoli nappe con fiocchi pendenti nella parte inferiore, mentre nella parte superiore fece dispiegare sei grandi volute di foglie di acanto che convergevano nell’asta centrale.  Sul lato che guarda verso i fedeli  collocò al centro un grande calice dorato con ostia sopra vorticose nubi argentee.Nella parte interna realizzò il classico “cielo” paradisiaco con la colomba dello Spirito Santo, impreziosita da una serie di raggi a forma di cuore.

Questo manufatto aveva anche lo scopo di sostenere tendaggi di damasco rosso di copertura all’altare maggiore, i cui cordoni indorati e con fiocchi venivano sorretti da due angioletti, già esistenti essendo stati utilizzati precedentemente con la medesima funzione.  Questa “scenografia” veniva montata nelle grandi ricorrenze religiose, quali la festa del Patrono, Natale e Pasqua.

GLI ANGIOLETTI

Abbiamo già accennato sopra della presenza di due angioletti, uno a destra e uno a sinistra . Sono sculture lignee dorate del 1820 circa. Appaiono in volo ad ali spiegate, reggendo un turibolo.

Angioletto di sinistraAngioletto di destra

LE OPERE DI GIOVANNI BATTISTA CANAL

Dopo aver ultimato nel 1766 la nuova chiesa parrocchiale, bisognerà attendere il 1824 per ammirare alcune opere decorative affrescate eseguite dal pittore Giovanni  Battista Canal (Venezia 10 settembre 1745 – Venezia 5 dicembre 1825) conosciuto sia per le sue numerose opere presenti in altre chiese del bassanese, sia per le sue la sua velocità di esecuzione, nonostante la sua avanzata età. Eseguì quattro “quadri”: un tondo sul soffitto del presbiterio con le “Virtù Teologali”, un ovale sul soffitto  con le storie del patrono l”evangelista San Marco; un tondo a chiaroscuro sul coro, e un altro sopra la porta maggiore della chiesa.

Di queste opere attualmente ne conosciamo solo due: il tondo delle “Tre Virtù” e un tondo a chiaroscuro recentemente ritornato alla luce nella parete del coro. Gli altri due lavori vennero distrutti  per vari motivi .

L’AFFRESCO DELLE TRE VIRTU’ TEOLOGALI

In questo affresco la prima virtù che appare è quella centrale, ed è la Fede, posta sopra un piedistallo, sostenuto da un angelo, circondata da un numerosi altri angeli. La vediamo con il braccio destro  che alza un calice raggiante, vestita di bianco,  il capo circondato da una rosea aureola, il viso coperto da un velo ad eccezione degli occhi, perché gli occhi della Fede vedono oltre il muro della realtà.  Alla destra vi è uno svolazzante angelo, con la veste di color ocra, che tiene  alzata verso il cielo la Santa Croce. A sinistra della Fede, vi è la Carità che prende le forme di una donna opulenta, intenta ad abbracciare due orfanelli.A sinistra ancora, un po’ troppo periferica, vi è la Speranza, vestita di verde, e tiene tra le mani un’ancora, simboleggiando l’approdo sicuro nella eternità.

L’AFFRESCO che c’è, ma non si vede

E’ un tondo del diametro di due metri, monocromatico. Raffigura Gesù che scaccia i mercanti dal Tempio. Le immagini delle varie figure risultano molto espressive.  E’ del 1824. Venne poi nascosto nel 1848-1849 dalla presenza dell’organo. E’ emerso, dall’oblio,  nel corso delle recenti opere di restauro e di rafforzamento antisismico. Oggi  se ne vede una piccola parte andando in presbiterio e guardando la parte alta a sinistra  della cantoria.

I DIPINTI  DI AGOSTINO BROTTO PASTEGA

LA PRIGIONE DI SAN MARCO EVANGELISTA  

L’opera ha richiesto una tela di lino grezzo senza cucitura (metri 4,30x 3,01) in quanto destinata a riempire una medesima superficie completamente vuota. Il dipinto è a olio, su  particolare preparazione. L’autore è Agostino Brotto Pastega, raffinato artista e grande studioso di Cassola e non solo. Questo dipinto rappresenta l’episodio che racconta come la notte prima del martirio a San Marco, incatenato nelle prigioni di Alessandria d’Egitto, sia apparso il Cristo risorto annunciandogli che il giorno successivo sarebbe stato accolto in Paradiso.

Nella parte inferiore dell’opera, a destra si vede san Marco incatenato in estasi  e al di sopra si distinguono nell’oscurità alcuni prigionieri, estranei a quanto stava avvenendo.  A sinistra  si vede una lunga processione di cassolesi, di personaggi realmente esistiti, nelle loro varie funzioni, muniti di luci e di stendardi con l’immagine del loro santo, che idealmente rendono omaggio al loro patrono. Nella parte superiore, centralmente, vi è Cristo Risorto con una veste bianca mossa dal vento, e di seguito proseguendo verso sinistra si evidenzia un corteo di angeli discesi dal cielo che recano gli attributi  relativi a San Marco: il vangelo, le corde, la palma r la veste del martirio.

IL TRAFUGAMENTO DEL CORPO DI SAN MARCO 

Questo dipinto, a tempera grassa e olio su tela di lino, si trova nello spazio rimasto libero al di sopra degli archi decorativi di separazione tra presbiterio e la Chiesetta. E’ stato realizzato nel 1995 sempre da Agostino Brotto Pastega.

Illustra il momento nel quale gli aguzzini del Santo Evangelista, sorpresi da una tempesta di sabbia, abbandonano il suo corpo sulla gradinata di un tempio. Alcuni membri della comunità cristiana di Alessandria d’Egitto, incuranti della tempesta, raggiungono il corpo  del Santo e pietosamente lo ricompongono. Alla fine del dipinto vi è la figura ieratica della Fede e, ai suoi piedi, vi è un bambino in preghiera,  sinbolo dell’innocenza.

LE STATUE A LATO ALTARE MAGGIORE

Sono due angeli realizzati in pietra tenera di Custoza. Non si conosce l’autore. Sono posti su alti piedistalli di mattoni intonacati con riquadri riproducenti le tipiche venature del marmo rosso di Francia. Vengono chiamati anche Angeli della Passione perché  quello di destra regge la colonna tronca della flagellazione di Gesù, mentre quello di sinistra regge  un panno marmoreo con impresso il volto di Cristo a ricordo della  Veronica che asciugò il volto di Gesù mentre saliva verso il Golgota.

L’ALTARE CONCILIARE

Come si superano i pochi gradini che dalla navata ci conducono al presbiterio troviamo l’altare conciliare, che deve il suo nome ad una “rivoluzione” della Santa Messa, in quanto venne caldamente suggerito che  il sacerdote officiante  si ponesse davanti all’assemblea dei fedeli.L’altare sulla cui mensa lignea si celebra la Santa Messa.

Il paliotto che vediamo è anch’esso di legno, con ai lati fregi in stile rococò francese e con al centro un tondo decorato con l’immagine del Gabbiano, che offre il suo sangue per salvare i suoi piccoli, simboleggiando il martirio del Cristo che offre il suo sangue per salvare gli uomini.  dettaglio del tondo centrale

L’ALTARE MAGGIORE

Possiamo suddividerlo in tre parti: l’altare eucaristico, il medaglione e la pala si San Marco Apostolo.

L’ALTARE EUCARISTICODobbiamo risalire al 1931-1932, quando l’allora parroco Pietro Andolfatto fece realizzare un nuovo altare e lo fece  avanzare per avvicinarlo ai fedeli, lasciando una distanza di circa  2 metri e 20 cm  con la struttura marmorea contenente la Pala di Jacopo dal Ponte.  Di questo altare da sottolineare il tabernacolo e il paliotto.Questo tabernacolo ha la forma di un tempietto a pianta quadrata. La struttura principale è in marmo di Carrara, con colonnine ioniche dal fusto in marmo giallo e con capitelli di marmo bianco statuario. Quest’ultimi reggono una particolare trabeazione e un timpano spezzato. Al centro di questa struttura vi è un’alzata a mensola in marmo di Carrara, e al di sotto vi è una composizione in Breccia oniciata con al centro il motto eucaristico: “ECCE/ AGNUS DEI/ ECCE QUI TOLLIT/ PECCATUM MUNDI”.Paliotto marmoreo. E’ in Biancone di Pove e lo sfondo in Breccia oniciata a macchia aperta, con lo scudo centrale in Rosso di Francia. All’interno  una  Croce greca ed una  Corona di Spine. Volute e tralci d’uva marmorei arricchiscono l’opera scultorea.Come si vede, dietro all’altare attuale, aderente alla parete sud,  si trova, distanziata, come già detto,  la struttura marmorea che accoglie la Pala di San Marco Evangelista,  comprendente marmi e strutture plastiche appartenenti ad un vecchio altare (1760).In questa struttura marmorea oltre alle doppie colonne decorate, al timpano spezzato, vi è il cosiddetto Medaglione retto da ampie volute barocche e coronato da teste di putti; al centro vi è un bassorilievo rappresentante  la “Deposizione di Cristo dalla Croce”, del tutto particolare per le figure in “Biancone di Pove” su sfondo Giallo di Verona e la Croce nera in “Pietra di Paragone”. Sopra i due tronconi del timpano spezzato vi sono due particolari angeli in pietra tenera, affiancati da coppe decorative sempre in pietra tenera.DETTAGLIO DEL MEDAGLIONE

LA PALA DI JACOPO

La Pala di Jacopo dal Ponte con San Marco in gloria tra i Santi Giovanni evangelista e San Bartolomeo  è stata posizionata  il 21 dicembre del 1573. L’opera ha queste dimensioni: 178×119 centimetri, ed è olio su tela.visione d’insieme la sua collocazione

Al centro della grande cornice vi è una iscrizione marmorea in Biancone con al centro una conchiglia, sostenuta da due angioletti. L’iscrizione in caratteri dorati dice: “PIETAS / FIDELIUM / POSUIT / A. MDCCXXX1” riferendosi all’altare marmoreo del 1831. L’aggiunta sottostante  “R. 1896” si riferisce al restauro del 1896 (in vista della consacrazione avvenuta poi nel 1898.Centralmente l’immagine di San Marco evangelista, con il leone, suo simbolo,  accovacciato alla sua destra. La sua mano destra tiene una penna d’oca con la quale scrisse il suo libro, che , appoggiato sulla gamba sinistra, è chiuso.Alla destra di san Marco vi è San Giovanni Evangelista, con il suo simbolo (l’aquila) posizionato alla sua destra in basso. Viene dipinto come un giovane imberbe, dal mento sfuggente, con capelli lunghi e inanellati.  Si intravede il suo vangelo chiuso stretto al suo corpo, mentre con la sua destra tiene in mano un calice dal quale esce uno sfuggente serpente, ricordando così il miracolo del serpente che aveva avvertito il Santo della presenza di veleno.In questo dettaglio vediamo l’aquila (simbolo dell’evangelista) e più in alto si notano delle case tra le quali  spunta l’immagine di un campanile, ricordando in questo modo la primitiva comunità di Cassola.In opposizione a San Giovanni evangelista si erge la figura di San Bartolomeo, dipinto con la tunica rossa simbolo dei martiri, la sua destra tiene in mano il coltello del suo supplizio (fu scorticato vivo); in alto alla sua sinistra un altro libro chiuso (anche se non scrisse nulla), Vicino si erge una imponente quercia simbolo dei grandi  boschi da salvare.

Questa pala ha avuto alcune peregrinazioni. Durante la Grande Guerra fu trasferita a Pisa, in un luogo sicuro. Nel 1952 venne esposta a Bassano del Grappa per la mostra dei dipinti del Bassano, dopo un precedente restauro. Nel 1967 fu esposta a Venezia in occasione della esposizione dedicata a Jacopo Bassano. Nella notte del 16 maggio 1970 venne da alcuni ladri trafugata e purtroppo anche tagliata con una lama lungo tutto ii profilo della tela. L’opera, per fortuna venne bloccata a Lugano (Svizzera) prima che fosse inserita nel mercato internazionale. Ricoverata nel Museo Civico di Bassano del Grappa dove rimase per diversi anni per il restauro.

il 25 maggio 1975, festa del patrono, venne sistemata dov’era precedentemente , e da allora così la vediamo anche oggi.

PRINCIPALI FONTI DOCUMENTALI

Da JACOPO BASSANO, volume I, DI ALESSANDRO BALLARIN, Bertoncello Artigrafiche, 1995

Storia di Cassola e del celebre organaro Giuseppe Giacobbi Maggiotto,(Cassola 1796 – Bassano 1885), di Agostino Brotto Pastega, 2008, Laboratorio Grafico BST, Romano d’Ezzelino.

La Parrocchiale , gli Oratori e i Capitelli di Cassola – I monumento della religiosità di un Paese, di Agostino Brotto Pastega, 2012,

“Forma, Colore, Invenzione. Le pietre degli altari bassanesi tra Seicento e Settecento”, di Fabio Sbordone, in GUGLIELMO MONTIN di Maira Collavo. L’Illustre Bassanese, n. 112/113, Maggio 2008, Editrice Artistica Bassano.

“L’arte degli scalpellini” in Storia di Povew e dei Povesi, di Franco Signori, Comitato per la Storia di Pove, 1985.

www. treccani.it  e  https://it.wikipedia.org  per le biografie dei principali pittori , scultori nominati nel testo, e per conoscere meglio i vari marmi  in oggetto in tutta la trattazione


pubblicato 17 luglio 2021

NB. se ci fossero errori o inesattezze, avvertitemi

 

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