LA CHIESA DELLA SS. TRINITA’
IL VIALE DEI CIPRESSI
Partiamo dalla parte più bassa e saliamo lentamente costeggiando questi alti e svettanti cipressi che con il loro colore verde scuro contrastano sempre di più salendo con il candore e l’imponenza della facciata della Chiesa. Questi cipressi sono stati piantumati il 6 maggio del 1849, festa di San Vincenzo Ferreri, compatrono della parrocchia della SS.Trinità. Sappiamo che questo bellissimo viale era stato avviato nel 1789 durante il periodo di don Giovanni Marchetti come arciprete (1788-1824), quando l’allora comune autonomo di Angarano deliberò un contributo di cento ducati per la sua realizzazione, che come detto avvenne dopo sessantanni soprattutto per le mutate condizioni economiche conseguenti soprattutto alle guerre napoleoniche che coinvolsero profondamente questo territorio e i territori vicini.
LA FACCIATA DELLA CHIESA
Al termine della nostra breve e piacevole salita ci troviamo di fronte ad una imponente, ma anche deliziosa facciata portata a termine verso il 1810 secondo il progetto di Giovanni Miazzi (1698-1797). Al Miazzi era stato affidato il compito della costruzione della nuova chiesa in sostituzione della vecchia, di origine quattrocentesca, ormai del tutto inadeguata alle necessità religiose e sacramentali della comunità presente. Questi lavori durarono dal 1740 al 1761, ma lasciarono incompleta la facciata.
Architettonicamente si ispira allo stile palladiano: quattro imponenti semicolonne, sorrette da alti basamenti, sostengono la trabeazione dalla quale dipate un classico timpano triangolare decorato da una cornice dentellata. Lateralmente all’interno di ciascuna delle due semicolonne in risalto zone rettangolari e quadrate , al centro, sopra il portale d’ingresso un timpano semicircolare si accorda superiormente ad un arco di trionfo, sotto il quale si apre un rosone a vetrata realizzata dopo la seconda guerra mondiale per la distruzione della precedente: vi sono raffigurate il simbolo della SS Trinità, stemmi di PIO XII e del Vescovo di Vicenza Zinato e degli Angarano.
Osserviamo poi alla sommità della facciata tre statue: al centro (alla sommità del timpano) la Carità, a destra la Speranza e a sx la fede.
Non ci è noto chi è l’autore.
Parte di quell’antico edificio è rimasta e si vede spuntare tra la chiesa e la canonica, mostrando sulla facciata il Monumento ai caduti affrescato nel 1921 da Antonio Marcon.
INTERNO DELLA CHIESA
La chiesa all’interno è ad unica navata.
Nel 1706 l’arciprete don Modesto Brazzale chiese al Vescovo di Vicenza di poter demolire la chiesetta – come già detto – ormai vetusta e inadeguata alla comunità presente. L’autorizzazione giunse l’anno successivo, ma pasarono oltre trent’anni prima che vi si posasse la prima pietra. Ciò avvenne il 14 febbraio 1740 mentre era arciprete don Domenico Stevan. Passarono gli anni, e solo il 26 luglio del 1761 la chiesa venne consacrata dal Vescovo di Vicenza Antonio Marino Priuli, con solenne cerimonia. Ma la chiesa non era veramente completa. Infatti nel 1780 il vecchio altare di legno (ricollocato in quella nuova) venne demolito e sostituito da un altro di marmo e di grande imponenza per l’alto tabernacolo a tempietto su cui troneggia la statua di Cristo risorto. Nel 1978 per le nuove norme liturgiche nel presbiterio si aggiunsero un altare diretto verso i fedeli, e due amboni con i simboli degli Evangelisti, opere dallo sculture Danilo Andreose.
Verso il 1783 venne rifinito il soffitto con un grande affresco (vedi oltre).
Nel 1870 venne eretta l’abside abbattendo però il muto fra le due ultime lesene.
Nel 1888 fu rinnovato il pavimento del coro e della navata.
Nel 1903 due decoratori di Schio (Giuseppe Petrobelli ed Emilio Palmato) realizzarono gli ornati delle pareti.
Architettonicamente la chiesa anticipa il gusto neoclassico con la forma a bauletto, la cura nell’evitare spazi morti, la ricerca del movimento avvolgente con le superficie incurvate, creando un spazio semplice, stilizzato quasi. L’insieme rende senza dubbio armonico.
IL SOFFITTO
Guardiamo poi verso l’alto, verso il soffitto: dobbiamo ammirare il grande affresco dei pittori Antonio Zanotti Fabris di Marostica (1757 c- 1800) e Giambattista Mengardi di Padova (1738-1796), eseguito verosimilmente alla fine del Settecento. Viene chiamato “L’origine del Trisagio” col significato di “preghiera che loda Dio tre volte santo” e quindi un inno alla SS:Trinità cui la Chiesa è dedicata.
Vi si raffigura un episodio del 457 d.C. Il 25 settembre di quell’anno Costantinopoli, capitale dell’Impero d’Oriente, fu colpita da un violento terremoto che durò quattro mesi. Gli abitanti abbandonarono la città e ai accamparono all’aperto in una zona detta Campo Marzio. Qui assieme al Patriarca Proclo e all’Imperatore Teodosio II imploravano Dio di aver fine di tale flagello. Un giorno durante le loro preghiere videro un fanciullo sollevarsi verso il cielo e poi ridisceso lo sentirono ordinare a gran voce a Proclo e all’Imperatore di recitare il Trisagio. Obbedirono e il terremoto cessò. Da allora il Patriarca introdusse il Trisagio nella liturgia.
La parte centrale dell’affresco rappresenta questo episodio: il fanciullo è librato in aria; Proclo a mani alzate esorta a cantare la preghiera di Trisagio, e sotto un baldacchino c’è Teodosio con la sorella Pulcheria, già fervente cristiana e futura santa. Intorno i fedeli in preghiera a braccia elevate al cielo.
La parte inferiore dell’affresco simboleggia la fine del terremoto: l’arcangelo Michele ad ali spiegate ha incatenuto un essere demoniaco e lo sta cacciando nell’abisso infernale.
Nella parte superiore vediamo la Trinità assisa sulle nubi :il Padre come un maestoso vegliardo, alla sua destra il Cristo con la croce, e al di sopra una luminosa colomba simbolo della SS trinità.
Tutto intorno volteggiano angeli e cherubini osannanti la SS Trinità.
Notevole l’abilità prospettica della rappresentazione, sia determinata dalla gradazione dei colori che dal basso all’alto diventano da scuri a chiari e luminosi e da figure pittoriche colte dal basso all’alto.
Oltre al valore pittorico, si deve sottolineare l’importanza di un soggetto (il Trisagio) assai poco conosciuto.
LE TELE LATERALI APPENA ENTRATI
A sx un dipinto di Girolamo Bernardoni (1640-1718) un allievo del Volpato. Il dipinto raffigura San Michele Arcangelo, titolare della chiesa di epoca longobarda di San Michele in territorio d’Angarano, e Sant’Apollonia invocata come protettrice contro tutti i mali dei denti perché se con la mano sinistra porta la palma del martirio con la destra porta la tenaglia con un dente, simbolo della tortura cui stata sottoposta.
A dx un’opera del 1670 di Giambattista Volpato che raffigura San Giorgio e Sant’Eusebio. San Giorgio è un martire del IV secolo ed è titolare della Chiesetta presente in località Alle Acque . Tale chiesetta risale all’VIII secolo ed è ritenuto il più antico monumento del territorio bassanese. Sia San Giorgio che Sant’Eusebio vennero proposti alla venerazione dei Longobardi dopo la loro conversione al cattolicesimo dall’eresia ariana.
Nel dipinto San Giorgio appare come un guerriero che – come da leggenda – ha sconfitto il drago che terrorizzava la città di Silena e che stava per divorare la principessa figlia del re. A Sant’Eusebio vescovo di Vercelli nel IV secolo d.C. è dedicata la pieve matrice della chiesa della SS.Trinità. Fu uno dei più strenui difensori della fede cattolica contro l’arianesimo. Vien qui ritratto mentre porta l’Eucarestia gli infermi, alludendo chiaramente alla presenza di un ospedale annesso alla Chiesa. E’ anche da ricordare come questo santo sia l’autore un trattato proprio sulla “Trinità” (De Trinitate).
LE TELE LATERALI SEGUENTI
Ci allontaniamo di pochi passi dall’entrata e guardando a sx e a dx troviamo due grandi quadri tra loro corrispondenti ed entrambe eseguite nel 1889 dal pittore veneziano Bartolomeo Dusi.
Il grande quadro a sx raffigura la “Sacra Famiglia” in una istantanea di grande serenità ma già intrisa dei successivi eventi: San Giuseppe si è fermato dal suo lavoro di falegname e guarda il Gesù bambino che porta a sua Madre, seduta al limitare della porta di casa e intenta a rammentare degli indumenti, un piccola croce da lui stesso costruita: presagio della sua morte in croce.
Al di sotto di questo grande quadro, se ne può vedere un altro più piccolo, un dipinto su tela di autore sconosciuto e datato primi del Novecento. E’ raffigurata “L’estasi di Santa Rita da Cascia” ritratta in veste monacale nel momento in cui durante un’estasi, una spina della corona di Cristo viene a penetrare nella sua fronte, aprendo così una stimmata dolorosa che porterà fino alla sua morte , il 22 maggio del 1457. Si ricorda come questa santa monaca, che era stata in una vita assai tribolata sia sposa che madre, sia conosciuta come la “Santa dell’impossibile” : attraverso la sua mediazione Dio ha concesso guarigioni e conversioni straordinarie.
Il grande quadro a dx raffigura il “Martirio di Sant’Eurosia”: la giovane santa viene trascinata alla decapitazione tenuta e sospinta da soldati con armi e vestiti di foggia orientale. La santa fu martirizzata in Spagna nel 714 e la sua diffusione nel Nord Italia fu contemporanea alla dominazione della Spagna in Lombardia. Viene considerata protettrice dei frutti della terra e per questo invocata contro la grandine e la mancanza di piogge.
Al di sotto il pittore A. Mattiello, verso fine ottocento, dipinse una piccola pala denominata “L’estasi di San Eurosia”.
LE TELE LATERALI PRE-ABSIDALI
Procediamo verso l’abside e poco prima lateralmente possiamo vedere due grandi quadri, di colori accesi, nei quali sono rappresentati i fondatori dell’Ordine della SS. Trinità. Tale Ordine fu approvato nel 1198 dal papa Innocenzo III. Il suo scopo era quello di riscattare e liberare i cristiani che erano stati fatti schiavi dalle milizie musulmane, che dopo aver conquistato la Spagna, da queste coste spagnole partivano e andavano ad effettuare veloci incursioni sia in Francia che in Italia, dove depredavano tutto quanto potevano e prendevano come schiavi quanti potevano loro servire.
Questi quadri furono commissionati ed eseguiti verso la metà del Settecento dal pittore Giuseppe Graziani.
Alla nostra sinistra è dipinto San Felice di Valois in una istantanea della sua attività caritativa e di liberazione dalle catene della schiavitù. Di questo santo si hanno poche notizie: nacque prima della metà del secolo XII e viveva da eremita nel suo possedimento di Cerfroid (Cervus Frigidus), quando venne a trovarlo Giovanni di Matha e fu conquistato dal progetto della fondazione dell’Ordine. Qui a Cerfroid si stabilì la casa madre, dove Felice morì il 4 novembre del 1212. Nel quadro è anche raffigurato un cervo che allude al Cerfroid suddetto, ma per la presenza della croce rossa e azzurra tra le corna, raffigura il simbolo della salvezza portata agli schiavi da questo Ordine.
Alla nostra destra, sempre guardando l’abside, è dipinto Giovanni di Matha, nato in Francia a Faucon nel 1154 e morto a Roma nel 1213. Nella sua biografia si fa riferimento ad una visione mentre celebra la sua prima messa: “Vide il Signore che teneva per mano due schiavi con catene ai piedi, l’uno nero e deforme, e la’altro bianco e macilento. Il Santo capì che la sua missione era quella di occuparsi di coloro che cadevano in schiavitù. Così fondò con Felice di Valois , come detto, l’Ordine della SS. Trinità. I trinitari, vestiti di bianco con fregi di croci rosse e azzurre sullo scapolare s sul mantello rappresentarono i nuovi “Crociati” che andavano a liberare i corpi e le loro anime e non la Terra santa. Il Bianco simboleggia la luce di Dio Padre, il rosso il sangue di Cristo, Figlio di Dio; e l’azzurro è il simbolo del “soffio” dello Spirito Santo.
LE TELE DEL PRESBITERIO
Saliamo al centro del presbiterio per meglio osservare due grandi tele a sx e a dx . Non si sa chi sia l’autore, verosimilmente datate in epoca settecentesca. Probabilmente provenivano da altra chiesa e dovevano essere in cattive condizioni se nel 1889 venne incaricato il pittore veneziano Bartolomeo Dusi (già autore di due grandi quadri su-accennati) per un restauro.
La tela alla nostra sx rappresenta l’episodio del Vangelo della peccatrice che in casa del fariseo Simone con le sue lacrime bagna i piedi di Gesù, li asciuga poi con i suoi capelli e infine li unge con un unguento assai prezioso. La scena è ambientata in un loggia dove sta avvenendo un banchetto. Attorno alla tavola vi è un movimento dei corpi verso Gesù e la peccatrice nella espressione di stupore e di disagio di quanto sta accadendo. In un angolo un bambino gioca con un cane: la quotidianità continua.
Quella di dx racconta le Nozze di Cana. Anche qui la scena è ambientata in una loggia che si apre in uno scorcio di paesaggio e un tavolo pieno di piatti e bicchieri attorno al quale gli sposi, gli invitati e Gesù con Maria sua madre. La raffigurazione si focalizza nel momento in cui Gesù ordina di riempire di acqua le anfore ormai vuote e il successivo stupore nel vedere dalle anfore sgorgare vino in abbondanza . Anche qui una scena familiare di un cane e di un bambino.
GLI ALTARI LATERALI
A sinistra : ALTARE DELLA MADONNA.
La statua della Madonna con il Bambino è posta sull’altare intitolato alla MATER CONSOLATIONIS.
La statua è opera dello scultore vicentino Romano Cremasco nato a Santorso nel 1870 e deceduto nel 1943 a Schio. Intagliata nel legno con grande maestria rappresenta la Madonna con Bambino. La Madonna ha un manto azzurro bordato di ricami dorati che racchiude la veste della Madonna. L’espressione è di grande soavità e tenerezza. Al polso destro vi è una piccola cintura bianca testimonianza dell’antica devozione alla Madonna della Cintura. Tale devozione nasceva da una leggenda nella quale la madre di S. Agostino, Monica, assai angustiata per la vita dissoluta del figlio Agostino, chiedeva costantemente l’aiuto della Madonna. Un giorno la Madonna le apparve, la consolò e le diede una cintura dicendole di portarla finchè il suo figlio si sarà convertito. Monica ubbidì e poco dopo avvenne che il figlio si convertì e diventò quel grande Santo della nostra Madre Chiesa. Gli addetti a questa devozione facenti parte della Congregazione dei Cinturati dovevano ogni giorno dire tredici Pater, Ave e Gloria e Salve Regina.
A destra: ALTARE dedicato a San Vincenzo Ferreri di cui si vede la pala del Bartolomeo Dusi. Questo santo è stato un grande predicatore nel XV secolo e apparteneva ai Domenicani. E’ raffigurato sulla soglia di un tempio con le braccia allargate in evidente inspirazione divina. Sul suo capo vi è una fiamma accesa indice dell’ardore della sua predicazione.
Sotto la pala in una cassa settecentesca è custodito il corpo di San Vincenzo martire, ma non è chiara la sua provenienza.
LA PALA DI JACOPO DA PONTE
Questo dipinto è il più antico tra quelli presenti in questa Chiesa. Viene considerato uno dei più grandi capolavori di Jacopo Bassano. E’ anche un dipinto di grande significato religioso in quanto raffigura il mistero di Dio Uno e Trino, a cui la Chiesa è dedicata.
Si sa che la pala fu commissionata nel 1533 al pittore Francesco il Vecchio, padre di Jacopo. Ci furono dei problemi, gli anni passarono, Francesco morì. Toccò a Jacopo di eseguirle tra il 1456 e il 1547. Questo dipinto – che per secoli stava sull’altar maggiore e quindi visibile a tutti i fedeli, dopo il prolungamento dell’abside del 1870 fu collocato nella parete di fondo del coro, dove si trova anche oggi divenendo troppo elevato e distante per esserne compiutamente fruito dai fedeli, in specie non sono più visibili i tanti efficaci particolari del quadro.
Jacopo adottò un modello iconografico diffuso fin dal XII secolo con il Padre Eterno che sostiene per così dire la Croce dove Cristo è crocefisso e con lo Spirito Santo raffigurato da una colomba tra il Padre e il Figlio. Il gruppo della SS. Trinità – che occupa la maggior parte del dipinto – si impone per la grande forza espressiva iniziando dalla comparsa del Padre Eterno, raffigurato da un volto di Vegliardo, che quasi accorre dall’alto a sorreggere il peso della Croce evidenziando con lo svolazzante manto e con la fluente barba piegata l’apprensione del Padre in aiuto al Figlio nel suo corpo livido e torturato, e completato dalla immagine così viva e realistica della colomba ad ali dispiegate e coronata di tre fiammelle a rappresentazione dello Spirito Santo. Tale Trinità spicca su un fondo giallo vulcanico tra nubi viranti tra il bianco e il nero al verde azzurro sorrette da due “forzuti” angioletti, mentre altri due angioletti festeggiano la Trinità a suon di tamburello e di flauto.
Al di sotto della visione celeste viene rappresentata una visione terrena riconoscibile come territorio bassanese per le sue mura e torri, per il suo monte , e alcune costruzioni e una superficie d’acqua (il Brenta) dentro le quali avvengono fatti quotidiani: un operaio nella preparazione di assi per la costruzione di una barca, un soldato che sta conversando con una donna, una coppia di vecchi che sta andando al mercato dove il vecchio che si appoggia al bastone porta una sacca in spalla e la vecchia regge con la sinistra un cesto e con la destra tiene ben stretta un’oca da vendere.
FONTI DOCUMENTALI
Giambattista Vinco da Sesso, Bruno Bertacco, Sara Sbordone Bravo. LA CHIESA DELLA TRINITA’ E SAN DONATO. Parrocchia della SS. Trinità. Editrice Artistica Bassano, 2001.
Mario Bozzetto (a cura) – LA SANTISSIMA TRINITA’. PALA DI JACOPO BASSANO – Bozzetto Edizioni srl, Cartigliano (VI), 2009 (lavoro fotografico di altissimo livello con dettagli di grande effetto e di grande sorpresa, necessario per gustare appieno questo capolavoro)
Ottone Brentari. STORIA DI BASSANO E DEL SUO TERRITORIO. Sante Pozzato, Bassano, 1884
Gaetano Maccà .STORIA DEL TERRITORIO VICENTINO. Tom. II. Parte Seconda. Gio:Battista Menegatti, Caldogno, 1812.
Rino Borin, RICERCHE STORICHE SULLA COMUNITA’ DI SS. TRINITA’ DI ANGARANO. Parrocchia SS.Trinità d’Angarano. Bassano del Grappa, 1981