La chiesetta di San Donato e l’annesso convento : cronologia storica
1200 – 1300
Nel 1208 Ezzelino II (secondo la tradizione storiografica più seguita), detto il monaco, fece erigere la chiesa di San Donato su un terreno di sua proprietà in capo al Ponte di Bassano, dopo aver ottenuto l’autorizzazione dal Vescovo di Vicenza Uberto II. Il 5 luglio del 1223 lo stesso Ezzelino in questa chiesa sancì la solenne divisione di tutti i suoi beni ai suoi due figli, Ezzelino (che sarà poi conosciuto come il tiranno) e Alberico da Romano: ad Alberico toccarono i beni della provincia di Vicenza, ad Ezzelino quelli posti nella Marca trevigiana. In tale rogito di divisione non vengono citati i Frati Minori: ciò indica ch’essi vi si stabilirono più probabilmente nella primavera dell’anno seguente 1224. Certamente erano presenti nel 1225, quando adeguarono a piccolo convento i vari locali annessi alla chiesa. Sappiamo sicuramente che i primi Frati Minori giunti a S. Donato si trovarono a fronteggiare gli eretici, in particolare i Catari, e si trovarono esposti alle loro angherie per cui chiesero protezione al Ministro Provinciale della Provincia Veneta, che era in quel tempo Frate Antonio da Lisbona, il futuro S. Antonio di Padova. Il Ministro si rivolse al pontefice Gregorio IX il quale il 20 ottobre 1227 inviò da Velletri la bolla «Licet Sacrosanta» al Ministro Veneto e ai «Diletti Frati dell’Ordine dei Minori della chiesa di S. Donato in Capo del Ponte di Bassano» e il giorno dopo ne mandò una al Patriarca di Grado, quale Metropolita, e al Vescovo di Padova, quale avente giurisdizione sulla Chiesa di Angarano informando di aver preso sotto la sua diretta protezione «il Ministro e i frati dell’Ordine dei Minori della chiesa di S. Donato in Capo del Ponte di Bassano» spiegandone i motivi di tale privilegio, e ripetendo che i frati di S. Donato avevano messo tutto se stessi nella lotta contro l’eresia, esponendosi a pericoli di ogni genere, e che richiedeva il loro diretto aiuto nel rispetto di tale privilegio. I frati in S. Donato costituirono subito anche la confraternita del Terz’Ordine. Vi troviamo infatti terziari che presenziano a vari atti conventuali. I frati minori francescani restarono nel piccolo convento ed officiarono alla Chiesa di San Donato fino all’anno 1325, quando passarono nel nuovo convento di Bassano, annesso alla Chiesa che prima fu dedicata a Maria e poi a San Francesco. Partiti i frati, alcune pie donne che intendevano vivere una vita monastica occuparono i locali del piccolo convento. Il 22 aprile del 1327 una certa Francesca “vicaria monasterii S.Donato de Angarano” riceveva dalle mani del Vescovo di Vicenza Francesco Temprarini la regola di S. Agostino. Ma pochi anni dopo, nel 1337, le Agostiniane, forse per la piccolezza del monastero, abbandonarono a loro volta San Donato e si trasferirono in Bassano nel convento annesso alla Chiesa di San Giovanni Battista.
Partite le suore San Donato rimase in uno stato di penoso abbandono.
1400 – 1500 – 1600
Nel 1406 sappiamo che Padre Lodovico Rizzi di Vicenza aveva provveduto al restauro della Chiesa. Sappiamo ancora che nel 1421 un certo Moretto fu Marco lasciò un legato per la riparazione del tetto della Chiesa e lasciò parte dei suoi beni per la ricostruzione dell’altare per poter celebrare le S. Messe.
Arriviamo quasi alla fine del quattrocento per trovare un maggior impegno alla rinascita del complesso di San Donato, soprattutto su esortazione del beato Bernardino da Feltre (1439-1494) che passò per Angarano nel 1494 e gettò l’idea di istituire una Fraglia (confraternita) del SS. Nome di Gesù. Tale Fraglia fu costituita il 28 febbraio 1497 con un atto nel quale si faceva presente come fosse necessario la presenza di un Sacerdote che celebrasse le Messe in San Donato. Lo trovarono abbastanza presto perché nei primi anni del 1500 (1513) la chiesetta di S. Donato era certamente officiata dal Padre Marco Antonio “habitantem in convenctu Sancti Donati in Capite Ponti”. La Confraternita del SS. Nome di Gesù esprimeva gran parte della religiosità del borgo e della intera contrada di Capo il Ponte, che in essa si vedeva come riassunta ed unita. Gli abitanti facevano a gara per mantenere il sacerdote e dotare la chiesa di un reddito, con offerte e lasciti che consentirono il formarsi di un discreto patrimonio. Infatti in quegli anni troviamo vari atti di compravendita stipulati dal Massaro e dal Castaldo che dovevano essere eletti dalla Confraternita.
Nel 1549 troviamo Padre Donato fu Bertoldo Gasparini con la qualifica di “guardiano” e quindi possiamo presumere che a quel tempo si fosse formata una vera e propria comunità di frati minori, verosimilmente dipendente dal convento di San Francesco.
A Padre Donato nel 1563 subentra Padre Agostino Mellegito.
Nel 1598 è superiore Padre Ugo Meleghetti, ritenuto “benemerito nel convento di San Donà di Capo il Ponte”. Un suo successore fu il padre guardiano Giacomo Trissino da Conegliano. Sappiamo anche che nella prima metà del seicento la chiesetta era tenuta benissimo e nel convento oltre al padre guardiano si erano aggiunti altri quattro frati conventuali.(da Mantese, op.cit.)
L’attività religiosa attorno alla chiesetta continua anche nella prima metà del Seicento, alimentata dalla dinamicità del borgo. Nel 1642 troviamo già istituita ed in piena attività un’altra Fraglia, quella della “Madonna del Carmine”, mentre continua a vivere la vecchia e prima Confraternita del SS. Nome di Gesù che, secondo l’uso del tempo si era trasformata in “Schola di San Donà”. Con l’istituzione della nuova Confraternita acquistò grande importanza nel borgo e nella contrada la festa della Madonna del Carmine che veniva preceduta da un triduo di preparazione e celebrata con grande solennità.
Comunque nel mese di novembre del 1660 i frati abbandonarono definitivamente il convento che, insieme con la chiesetta, con i beni annessi (“tutte le sue stanze, giardino, stalle e caneve sotterranee, cortile, cisterna, pozzo, orto, piantato di vigne e frutti …. campi 12 di terra arativa nella centra di Gaion a S. Michele di Angarano … colombara…” (da Mantese, op.cit.) venne venduto il 15 novembre del 1661 al miglior offerente. Si fece avanti un certo Lazaro Dolzan che offrì 1600 ducati correnti Il compratore doveva sottostare ad alcune condizioni, fra cui quella di far celebrare ogni anno 144 S. Messe da preti secolari e provvedere alle necessarie riparazioni ed a quanto riguardava il culto.
La vendita del piccolo complesso ad un privato indusse Papa Clemente X a sopprimere ufficialmente il convento; ciò avvenne fra il 1670 e il 1676.
Chiesa ed ex convento restarono in possesso dei discendenti del Dolzan per più di cento anni, con frequenti contrasti fra il proprietario o i suoi eredi e l’Arciprete di Angarano, in quanto i proprietari si ritenevano esenti dalla giurisdizione parrocchiale – ed in ciò avevano ragione – ma non rispettavano le condizioni suddette a cui la vendita era stata subordinata. Comunque la chiesetta si reggeva e funzionava bene per le offerte dei fedeli.
1700 – 1800
Il 30 gennaio 1787 le proprietarie, le due sorelle Chiara e Angela, pronipoti ed eredi di Lazaro Dolzan, liberandosi di ogni diritto ed onere, cedettero la proprietà al canonico Antonio Fava fu Federico, che non si interessò per nulla ai suoi doveri, provocando altri e più gravi contrasti, al punto che la chiesa fu ridotta a semplice Oratorio privato, senza la conservazione del SS. Sacramento, con le continue proteste dei fedeli di Capo il Ponte.
Nel volgere di alcuni decenni la chiesetta ed ex convento passarono per varie mani con alterno rispetto delle clausole originarie di vendita.
Gli abitanti di Capo il Ponte, nei primi anni del 1800, per iniziativa della sempre viva Confraternita del SS. Nome di Gesù, detta Schola di S. Donato, si rivolsero al Comune di Angarano – quindi prima del 1810 – perché obbligasse il proprietario a rispettare almeno l’obbligo di far celebrare le 144 Messe. Motivo: dovevano recarsi per le pratiche religiose alla più lontana Chiesa della SS.Trinità ed inoltre non potevano usufruire dell’indulgenza della Porziuncola, o perdon d’Assisi, di cui godeva la loro chiesetta
A seguito di questa richiesta ed all’interessamento del Comune, vi troviamo sacerdote e celebrante, nel 1806, don Gio Batta Fabris.
Si deve altresì ricordare che dal 16 dicembre 1796 fino al gennaio 1797 i Tedeschi occuparono S. Donato in Angarano, con le immaginabili conseguenze.
Nel 1817 don Luigi Rebesco comperò la chiesetta con le adiacenze dell’ex convento giunte a grave decadimento. Nel 1826 cedette la proprietà ad un suo confratello, don Rossi il quale, con l’aiuto di tutti i capifamiglia del Borgo (la Schola di S.Donato come tutte le congregazioni religiose erano state nel frattempo soppresse per disposizioni di Napoleone) provvide al rifacimento del soffitto ormai disfatto e lo fece dipingere dal pittore De Sanctis.
Nel 1839 il piccolo complesso fu acquistato da Mons. Giacomo Merlo. Con quest’ultimo proprietario le cose non andarono molto meglio, tuttavia nel 1849, essendo scoppiata un’epidemia di “cholera morbus”, gli abitanti del Borgo ottennero che la chiesa ridiventasse sacramentale. Mons. Merlo morì nel 1864 lasciando la maggior parte dei suoi beni al Benefizio di S. Trinità e contribuì alla decisione di smembrare le due parrocchie, ma lasciò la chiesa di S. Donato al Vescovo pro tempore di Vicenza che allora era Mons. Farina, che ritenne opportuno e giusto assegnare la cappella di S. Donato alla ordinaria giurisdizione dell’Arciprete di Angarano, nominato Rettore. Con questa soluzione si eliminarono le ragioni di contrasto e la chiesa cominciò a funzionare regolarmente, affidata ad un Vice-Rettore dipendente dall’Arciprete di Angarano e, dal punto di vista amministrativo, dalla Fabbriceria di S. Trinità, la quale intervenne nel 1877, rifacendo completamente l’altar maggiore di mattoni con pietra di Pove. L’afflusso di fedeli, non solo del Borgo, fu tale che l’Arciprete fu costretto a sospendere alcune funzioni solenni perché non fossero sottratti troppi fedeli alla chiesa parrocchiale.
Tuttavia il rettorato di S. Donato ebbe spazio più che sufficiente per sue iniziative. Si introdusse la devozione del Mese di Maggio, assieme ad altre funzioni care ai fedeli. La festività di S. Donato veniva ogni anno celebrata con grande solennità, ma poi, un po’ alla volta e senza una ragione apparente (forse non c’erano più i contrasti a tenere vivi gli interessi, anche religiosi), si affievolì fino a cessare completamente.
L’Arciprete incamerò nel Beneficio parrocchiale quel poco che era rimasto in proprietà della chiesetta, ma dovette anche assumersi le passività, fra cui la spesa per un numero molto rilevante di S. Messe, un legato [disposizioni testamentarie] alla chiesa di S. Floriano proveniente dall’eredità Merlo ed altri meno pesanti. Nel 1898 furono eseguiti parecchi indispensabili lavori di restauro quali il rifacimento del pavimento, la balaustra, la ritinteggiatura sotto la guida del fabbriciere Giuseppe Bonaguro.
Il lascito Merlo al Vescovo di Vicenza riguardava solo la chiesetta di S. Donato e non le sue adiacenze, cioè quanto restava dell’antico piccolo convento dei Frati Minori con la famosa cella dei Santi Francesco e Antonio. Questi beni passarono in proprietà della famiglia Chemin.
1900
Il 14 novembre 1900 il sacerdote Antonio Maria dott. Locatelli, nobile padovano, acquistava dalla signora Regina Chemin, le suddette adiacenze. Don Locatelli era il fondatore e presidente della Associazione Universale Antoniana, con sede in Padova, a nome della quale “si proponeva di riattivare, in un degno Oratorio le antiche mura del Conventino di S. Donato e ripristinare la cella dei due Santi, per farne meta di devoti pellegrinaggi”. Nonostante la prematura morte del suo presidente, l’Associazione, ottenutane l’autorizzazione dal Vescovo di Vicenza Monsignor Antonio Feruglio (1893-1910) fece eseguire i lavori di ristrutturazione aprendo una porta nel muro a nord della chiesa che, come si sa, ha la facciata rivolta ad ovest, per dar modo ai visitatori di accedere alla Cella dall’interno della chiesa stessa. Durante questi restauri fu abbattuto il piccolo campanile per costruire il quale, in passato, era stata occupata una parte della Cella, e ne fu costruito un altro non molto lontano. Delle due case che erano sorte sui vani dell’antico conventino, una fu trasformata in dignitosa casa canonica per il Vicerettore, l’altra in Oratorio per dare accesso facile ed ampio alla Cella, che si trova al primo piano. Ultimati i lavori, il nuovo complesso fu inaugurato ed aperto ai fedeli il 29 settembre 1909. Una lapide murata nell’Oratorio, visibile lungo il percorso che conduce alla Cella, ricorda l’evento e il suo promotore don Locatelli.
Dopo la prima guerra mondiale canonica ed Oratorio avevano bisogno di riparazioni e ci si rivolse, com’era ovvio, alla Ass. Univ. Antoniana. Ma i tempi erano mutati, i pellegrinaggi cessati, per cui l’Associazione non ravvisò più suo interesse mantenere la proprietà e il 17 giugno 1967 donò, ed il Vescovo di Vicenza accettò in dono, il piccolo complesso edilizio.
Nel frattempo i lavori necessari erano stati eseguiti per intervento dell’Arciprete di S. Trinità, fino al 1950 quando, con l’autorizzazione del Vescovo e dell’Arciprete Mons. Carlesso, sotto la guida della Soprintendenza ai Monumenti, su iniziativa del Gruppo Alpini “M. Grappa” e con il concorso degli abitanti del Borgo Angarano, la chiesetta e le sue adiacenze furono restaurate.
Nel 1997 iniziò un programma di interventi di riordino e di restauro del complesso da parte della Parrocchia della SS.Trinità con il contributo di parrocchiani e di fedeli.
CHE COSA POSSIAMO VEDERE
Questa è l’immagine che ci appare quando dopo aver attraversato il ponte di Bassano ed aver proseguito diritti poche decine di metri più avanti imbocchiamo sulla sx un vicoletto attraverso un arco sormontato da un bassorilievo con soggetto alpino. Sotto il portico una statua di Sant’Antonio da Padova. Il conventino fu più volte restaurato ed ingrandito ed assunse la sua forma definitiva proprio qualche anno prima della soppressione ad opera dell’ultimo superiore Padre Zuanne Saltarini da Lendinara. Al piano terra vi erano la cucina e l’anticucina, il fuoco comune, una grande cantina con vicino il pigiatoio dell’uva. Sopra questi locali vi era un ammezzato (tra pian terreno e il primo piano) con alcuni localetti e al piano superiore otto stanze per i frati; il convento era addossato alla chiesa talché l’ultima di queste otto celle era sopra la sacrestia. (da Mantese, op.cit.)
L’interno, assai poco illuminato, ha perduto gran parte delle pitture che adornavano le pareti, ne restano traccia tuttavia per pensare quale possa essere stata la bellezza di tale chiesetta.L’edificio è ad una unica navata, la copertura ha una struttura lignea a capanna con quattro capriate e con un soffitto in tavelle di cotto a decorazione geometrica bicromatica.dettaglio delle tavelle (sopra)
Altare maggiore, pala che raffigura la Madonna in trono tra San Donato e San Michele Arcangelo, opera del 1529 di Francesco Dal Ponte il Vecchio.dettaglio della precedente pala Sempre nel presbiterio, Cena in Emmaus di Giuseppe Cignaroli detto Fra’ Felice, 1768Guardando l’altare maggiore, a sx si trova l’altare della Madonna del Carmelo e a dx l’altare di San Giuseppe
NATIVITA’ DI MARIA, Si tratta di un’opera ad olio su pietra del secolo XVIII. Si trova (purtroppo poco visibile) nel fastigio sopra l’altare di San Giuseppe.
STATUA DI SAN DONATO. Opera di uno scultore del quattrocento.
E’ visibile in una nicchia della parete sx (guardando l’altare maggiore)
Più avanti troviamo una porticina con l’indicazione del percorso per arrivare alla Sacra Cella.
Oltrepassata la porticina, ci accoglie un corridoio abbastanza buio che ci rende faticoso il riconoscimento di due quadri e di una lapide. I quadri incorniciano uno scritto sintetico delle vite dei S. Francesco e S, Antonio da Padova (qui sotto) e (più oltre) un altro scritto riguardante la famosa bolla di papa Gregorio IX in difesa della comunità dei frati minori, e più avanti la lapide che ricorda il dott. Locatelli
SAN FRANCESCO D’ASSISI E SANT’ANTONIO DA PADOVA
Già nel 1225 (come già scritto) i frati erano già presenti a San Donato e adeguarono a piccolo convento i vari locali annessi alla chiesa, tenendo in particolare importanza quella stanza, nella quale sapevano per tradizione aver dimorato, verso il 1221, il loro padre e patriarca, Francesco d’Assisi. E dopo la morte e la rapida canonizzazione di Francesco d’Assisi, tale celletta divenne meta di grande venerazione. La tradizione popolare ha unito la memoria di Francesco d’Assisi a quella del taumaturgo di Padova in quanto quest’ultimo quando fu ad Angarano avrebbe dimorato nella stessa celletta ove aveva pregato e vissuto per qualche giorno il santo d’Assisi. Sappiamo come S. Antonio fu apostolo di carità e di pace nel fosco e torbido periodo della tirannia Ezzeliniana e come si sia adoperato per calmare la furia del tiranno presentandosi a lui personalmente, forse proprio ad Angarano. Ecco allora che, dopo la morte di fr. Antonio, 13 giugno 1231, e la di lui canonizzazione, 30 maggio 1232, la celletta divenne santuario caro al popolo non solo di Angarano, ma di tutto il territorio bassanese e lo è ancora oggi.
Bolla di Papa Gregorio IX che riportiamo dal Brogliato (op.cit.) in lingua italiana: «Gregorio Vescovo, servo dei servi di Dio. Ai diletti figli il Ministro ed i frati dell’Ordine dei Minori della chiesa di S. Donato in Capo al Ponte di Bassano salute ed apostolica benedizione. Se è vero che la santa Chiesa Romana è solita per il suo officio di pietà amare i suoi devoti ed umili figli; tuttavia è tenuta ad abbracciare e stringere a sé nell’intimo amore, come ancora è tenuta a difendere, perché non siano molestati da uomini pravi, e quale pia madre circondare della propria spirituale protezione, coloro che, rinnegato ed abbandonato il mondo e le sue vanità e miserie, non esitano di esporsi ai pericoli ed alla morte per difendere la fede. Voi infatti indossata la corazza della giustizia, rivestito lo scudo della fede, con il quale potete estinguere i dardi infuocati dell’acerrimo nemico, ed ancora con in mano la lancia della salvezza e la spada dello spirito, che è la Parola di Dio, virilmente vi siete accinti, e con indomita costanza, per debellare e sconfiggere le astute volpi che vogliono demolire nella diocesi di Vicenza, e vicine regioni, e specialmente in Bassano, e nella terra dei nobili uomini figli di Ezzelino da Romano, la vigna del Signore. Noi pertanto ben volentieri accogliamo le giuste richieste, e pertanto sia le vostre persone che il vostro luogo, nel quale liberamente servite a Dio, con tutti i beni che appartengono al luogo stesso, riceviamo sotto la protezione di S. Pietro e nostra, specialmente la chiesa di S. Donato in Capo del Ponte di Bassano con tutte le sue pertinenze, che, per concessione del nostro fratello il Vescovo di Vicenza, è stata concessa ai vostri confratelli, così e come pacificamente già possedete e con la nostra apostolica autorità vi confermiamo, e con il presente scritto vi aggiungiamo il nostro privilegio. A nessuno dunque sia permesso violare questo documento della nostra protezione e della nostra conferma, od affermare qualcosa in contrario. E se qualcuno lo oserà sappia che incorrerà nella riprovazio¬ne di Dio Onnipotente e dei Beati Pietro e Paolo, suoi apostoli. Dato a Velletri, tredicesimo giorno dalle kalende di novembre, anno primo del nostro pontificato».
Ma che cosa rappresentava l’eresia dei Catari e perchè venivano combattuti? Leggiamo quanto scrive il Mantese (op. cit.).”Il principio fondamentale su cui poggiava la dottrina dei Catari o Paterini era la concezione dualistica, comune a tutte le antiche eresie di tipo gnostico, tra cui quella dei Manichei, di cui i Paterini sono un tardo rampollo. Con una interpretazione erronea del passo evangelico in cui il demonio è chiamato « princeps huius mundi », attribuivano a Satana il dominio di quanto è materia, fino al punto di crederlo creatore del mondo materiale, identificandolo con Ieova dell’antico Testamento. A questo mondo materiale e visibile retto da Satana, contrapponevano il mondo spirituale e invisibile del Dio buono. L’uomo, dicevano, appartiene col corpo al mondo di Satana e con lo spirito a quello di Dio; per salvarsi, quindi, devono liberarsi dal demonio cioè dal mondo materiale e visibile.
Tale antilogia fra corpo e spirito li portava conseguentemente a negare l’Incarnazione, perché Dio non poteva unirsi alla carne, opera di Satana; di qui l’errore del Docetismo ossia di un corpo solo apparente in Cristo. Altre conseguenze dell’erroneo principio erano: la negazione della risurrezione finale, l’inefficacia dei Sacramenti e l’inammissibilità della transustanziazione, perché il pane e il vino sono elementi materiali. Negavano poi ogni valore alla Gerarchia della Chiesa e ammettevano la trasmigrazione dello spirito in altri corpi, anche di animali inferiori. Da tali premesse dottrinali derivavano delle applicazioni pratiche quanto mai pericolose anche dal punto di vista sociale. La vita eterna, infatti, poteva raggiungersi attraverso una serie di rinunzie che, sostanzialmente, ripetono i tre sigilli degli antichi Manichei : « signaculum oris » ossia divieto di ogni cibo impuro ; « signaculum manus » ossia divieto di uccidere non solo i propri simili ma anche gli animali, in forza della trasmigrazione degli spiriti ; « signaculum sinus » ossia proibizione di ogni rapporto coniugale a cui si preferiva il libertinaggio, perché meno adatto alla procreazione e quindi alla diffusione della materia. Tale austero regime di vita impegnava solo i « perfetti » (assai pochi), mentre, per i « credenti » e per i « principianti », gli obblighi erano assai più blandi. Tra i « perfetti » venivano scelti i capi ossia i Vescovi, circondati da due vicari, detti « filius major » e « filius minor », e da diaconi. La liberazione dalla schiavitù della materia e di Satana veniva operata dal « consolamentum » ossia dal battesimo di acqua che però agli imperfetti veniva somministrato, di solito, soltanto in fine di vita. Il miglior consiglio era suicidarsi appena ricevuto il « consolamentum » Questi brevi accenni sono sufficienti per convincersi che il Paterinismo (o Catarismo) rappresentava un serio pericolo non solo per la Chiesa ma anche per la società in genere, di cui veniva a sovvertire le stesse basi.”
Lapide a ricordo del dott. Locatelli
Ricordo quanto scritto sopra “Il 14 novembre 1900 il sacerdote Antonio Maria dott. Locatelli, nobile padovano, acquistava dalla signora Regina Chemin, le suddette adiacenze. Don Locatelli era il fondatore e presidente della Associazione Universale Antoniana, con sede in Padova, a nome della quale “si proponeva di riattivare, in un degno Oratorio le antiche mura del Conventino di S. Donato e ripristinare la cella dei due Santi, per farne meta di devoti pellegrinaggi”.
Superato il corridoio, saliamo alcuni scalini e a dx e a sx ci sono due pitture.
a dx, salendo, San Benedetto, un’opera di un pittore del cinquecento. Purtroppo le condizioni di ideale visibilità sono assai lontane.a sx, salendo, possiamo vedere questo quadro “Sant’Antonio abate tra S.Antonio da Padova e San Biagio, attribuito a Francesco dal Ponte il Vecchio
Dopo altri pochi gradini, prima di entrare nella Cappella di S.Antonio da Padova, voltiamo le spalle alle spaziose finestre e guardiamo di fronte e vediamo questo quadro “Cristo in Croce tra la madonna e San Giovanni” opera di un pittore del seicento. Poteva trovare una migliore dislocazione?!
Entriamo nella Cappella
“S.Antonio in gloria” affresco di Noè Bordignon“Sant’Antonio da Padova incontra Ezzelino” affresco di Noe’ Bordignon (Salvarosa di Castelfranco 03-09-1841 – San Zenone 07-12-1920) Vedi Sezione “Biografie, personaggi e altro”
Affresco di Noè Bordignon – Incontro di Sant’Antonio da Padova e San Francesco. Tale opera è visibile quando giunti alla fine della Cappella a dx possiamo entrare in uno strettissimo vano dove la tradizione vuole vi abbia dimorato nel passaggio in Angarano sia il Santo d’Assisi sia Sant’Antonio da Padova. La “sacra” cella è veramente angusta.
E come potevano essere le altre celle? che cosa potevano contenere? Lo possiamo sapere dall’inventario redatto per la consegna al demanio della Repubblica Veneta l’11 giugno 1656, almeno dalla descrizione delle suppellettili presenti nelle stanze dei frati. In una stanza vi erano: «Un letto sopra cavalletti, con pagliazzo, stramazzo di crimadura et una schiavina. Una cadrega nogara coperta di paglia»; in un’altra «Un letto sopra cavalletti con pagliazzo, stramazzo, doi lenzuoli canevo, et una schiavina con suo capezzale. Un tavolin de noce. Un bancho di pezzo con sua seratura, doi scagni di noce uno con pogio l’altro senza» ecc. Nella cella del Padre Guardiano «Una littiera in noce con pagliazzo, stramazzo, lenzuoli di lino, et doi coperte… un tavolino di pezzo coperto con tapedo rotto, una scanzieta da libri, un inginocchiatoio di noce con croce sopra in legno, et un quadro in carta di pietà, un scagno de nogara con pozo, et una sechia da comodità» (da Brogliato op.cit.). Una vera ricchezza di povertà
CONSIDERAZIONI FINALi
Ciò che resta della Chiesetta e del Conventino rimane ancora un patrimonio degli abitanti di Bassano del Grappa. Un patrimonio di storia, di tradizioni, di uomini santi oppure no, di uomini che hanno lasciato profonde tracce, talora sanguinanti, oppure uomini che hanno lasciato qui solo una vita di preghiera, uomini che hanno in qualche modo arricchito questa realtà con le loro pitture, sculture, affreschi, ecc. … Ma non mi è parso che sia considerato un patrimonio. Se uno entra lo vede oscuro, quasi tetro per la scarsa illuminazione, lo vede quasi abbandonato a se stesso, con tante porte chiuse e nessuna persona che possa spiegarti, possa raccontare … solo silenzio. Un silenzio amaro. (VB)
Fonti documentali
AA.VV. La chiesa della Trinità e San Donato. Parrocchia della Santissima Trinità. Bassano, Editrice Artistica Bassano, 2001
Borin Rino. Ricerche storiche sulla comunità di SS. Trinità in Angarano. Parrocchia SS.Trinità, Bassano, 1981
Brogliato Bortolo. 750 anni di presenza francescana nel vicentino. Edizioni L.I.E.F., Vicenza, 1982
Maccà Gaetano. Storia del Territorio Vicentino. Tomo II. Gio: Battista Menegatti, Caldogno, 1812
Mantese Giovanni. Memorie storiche della Chiesa Vicentina. Accademia Olimpica, Vicenza, 1974
Rizzi Paolo. Noè Bordignon pittore veneto (1841-1920) Venezia 1982
Verci Giambatista.Storia degli Ecelini. Stamperia dei Remondini, 1779