DAL PONTE LEANDRO, detto Bassano
1557 – 1622
di Livia Alberton Vinco Da Sesso
TRECCANI – Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 32 (1986)
DAL PONTE, Leandro, detto Bassano. Quarto figlio di Iacopo e di Elisabetta Merzari, terzo fra quelli che sopravvissero alla prima infanzia, nacque il 10 giugno 1557 a Bassano (in prov. di Vicenza) dove venne battezzato il 26 giugno dallo zio paterno prete Gerolamo (Muraro, 1983). “Egli non ebbe altri maestri dell’arte, che suo padre, e tanto profitto egli fece ne’ primi anni di sua gioventù, che a simiglianza del fratello Francesco in breve giunse in istato di aiutare il padre in que’ lavori, che a suo conto dipingeva” (Verci, 1775, p. 182). Ancora giovanissimo, dunque, collaborò nella produzione della fiorente bottega paterna insieme con i fratelli Francesco e Giambattista. In questo primo momento è impossibile distinguere la parte da lui avuta, ma ben presto la sua personalità emerge e si fa riconoscere per il progressivo allontanamento dalla tradizione coloristica familiare e per la preferenza verso il disegno.
Dal 1575 circa partecipò largamente all’esecuzione di dipinti biblico-pastorali, che tanto erano richiesti. L’Arslan (1960, p. 235) assegna al periodo giovanile opere come il Mosè che percuote la rupe (Dresda, Gemäldegalerie, n. 256), la Partenza per Canaan (già coll. von Rath; Amsterdam, Rijksmuseum), le Nozze di Cana (Vicenza, Museo civico).
Il Ridolfi ([1648] p. 165) scrive che il D. si recò a Venezia col padre quando questi fece il ritratto di Sebastiano Venier, cioè nel 1577-78, e questa notizia indica come il D. frequentasse temporaneamente l’ambiente veneziano.
A cominciare dal 1580 circa si possono riconoscere opere dovute tutte alla sua mano: di questo momento, ancora molto vicino alla maniera di Iacopo, possono essere il Cristo deposto dagli angeli nel sepolcro del Museo civico di Bassano, la S. Anna con la Vergine venerata da numerose monache del Museo di Stoccolma, l’Ultima Cena della Galleria Pitti a Firenze.
Datato 1581 è il Ritratto di Andrea Frizzier, ora nel Museo civico di Padova, dipinto forse a Venezia per le suggestioni tintorettesche che vi si notano. Del 1582 è il Ritratto di fra Cristoforo Compostella (Bassano, coll. priv.; cfr. B. Compostella, Il libro dei miei, Bergamo 1942, tav. XXVI), dove si legge un ricordo tizianesco; di quello stesso anno è la Circoncisione, nella parrocchiale di Rosà, in cui vive ancora l’eco dell’arte di Iacopo.
Senza escludere contatti diretti col padre e frequenti soggiorni a Bassano, probabilmente dal 1584 il D. prese residenza stabile a Venezia, ma la data sicura è quella del 1588, perché da quell’anno non risulta più tra i contribuenti a Bassano (Gerola, 1909, p. 8); inoltre dal 1588 al 1621 figura iscritto alla fraglia dei pittori veneziani.
Il 22 maggio 1587 aveva sposato, a Bassano, Cornelia Gosetti, allora ventiduenne (Gerola, 1905, p. 114 n. i). Da lei ebbe il figlio Giacomo, nato a Bassano “in casa degli Zentili” il 5 giugno 1592, al quale lo zio Gerolamo lasciò nel testamento (1621) 100 ducati: Giacomo esercitò la professione di avvocato a Venezia (ibid., p. 109). Dell’esistenza di un secondo figlio, di cui parla il Verci (1775, p. 186) senza farne il nome, il Gerola (1905, p. 109) dubita fondatamente, non trovandolo nominato nel testamento di Gerolamo.
L’evolversi della pittura del D. è rivelato da un abbondante numero di opere prodotte dopo la Circoncisione di Rosà. Nel 1585 appose la data al S. Gerolamo in S. Giuliano a Venezia; nel 1586 dipinse a Bassano il Ritratto di Prospero Alpino (Stoccarda, Gemäldegalerie, n. 47 1). Nella seconda metà del nono decennio, secondo l’Arsian (1960, p. 238) e il Ballarin (1965, pp. 67-70). si pone il ciclo dei Mesi (la gran parte è conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna e due nella Galleria del Castello di Praga), in cui si precisa l’apporto del D. nell’evoluzione del dipinto biblico-pastorale: in essi l’artista dimostra una sensibilità nuova maturata sotto l’influsso di Paolo Fiammingo, operante in quel tempo a Venezia, dopo la sua formazione nel complesso mondo del manierismo fiorentino.
Anche le prime prove autonome della ritrattistica del D., il Ritratto della Galleria Spada a Roma, quello del Prado e quello già citato di Prospero Alpino rivelano come egli s’allontani dalle influenze del tardo manierismo veneziano e guardi invece agli esempi d’Oltre Appennino.
Il nuovo stile del D., caratterizzato dal progressivo inaridirsi della materia pittorica e dall’assimilazione di nuove e diverse influenze, è pur evidente nelle grandi composizioni come la pala con La Madonna e i ss. Nicolò, Sebastiano e Rocco del 1589 nel duomo di Motta di Livenza e il quadro votivo del Podestà Lorenzo Cappello, dipinto nel 1590 a Bassano, nel cui Museo civico è conservato. Nei ritratti che i critici collocano alla fine del nono decennio, o poco dopo, si delineano nuove formulazioni tese alla ritrattistica di genere: è così nel Ritratto di Orazio Lago dei Kunsthistorisches Museum di Vienna, nel Ritratto di vecchia della collezione di lord Crawford a Balcaress, in quello con la Vecchia che legge della Galleria di Castle Howard, nella Testa di vecchia dell’Ermitage a Leningrado, recentemente pubblicato (Fomiciova, 1981, p. 93) e nel Concerto degli Uffizi. Del 1590 c. (Arslan, 1960, p. 242) è l’Adorazione dei Magi della Pinacoteca di Sansepolcro.
Il 13 febbr. 1592 Iacopo muore e nel codicillo aggiunto al testamento due giorni prima assegna a Leandro “la quarta parte delli quadri e copie” e “la sesta parte delli dissegni che si attrovano in casa” (Alberton Vinco da Sesso-Signori, 1979; p. 164): evidentemente modelli creati dal padre, a cui il figlio s’ispirava.
Questo fatto può significare una ancor viva partecipazione del D. alle sorti della bottega paterna, provata anche da quei diciannove quadri ritrovati nella “casa degli Zentili“, residenza bassanese del D., facenti parte dell’eredità ancora indivisa, che il Verci (1775, pp. 101 s.) elenca di seguito all’inventario, redatto il 27 apr. 1592, delle pitture esistenti in casa di Iacopo (ibid., pp. 91-100). Al D. e ai fratelli Giambattista e Gerolamo, Iacopo lasciò la casa in contrà dei Ponte, escludendo Francesco, che d’altronde morì pochi mesi dopo il padre: forse con questa volontà lacopo voleva riconoscere nel D. il capo della produzione collettiva della bottega. S’ignora quanto sia durato il sodalizio; di certo si sa solo che la casa venne divisa nel 1594 e che al D. toccò la parte più antica comprendente la cucina e la bottega (Alberton Vinco da Sesso-Signori, 1979, pp. 161, 163 n. 18).
Dopo la morte di Francesco, il D. portò a termine il grande quadro con l’Incontro di papa Alessandro III col doge Sebastiano Ziani per la sala del Consiglio dei dieci nel Palazzo Ducale a Venezia, appena iniziato dal fratello: anche in quest’opera è notevole la cura dei ritratti.
Un’altra tela con la Moltiplicazione dei pani e dei pesci (distrutta dalla guerra nel 1944). commissionata a Francesco dall’abbazia di Montecassino, fu eseguita totalmente dal D. nel 1594 (Arslan, 1960, pp. 242, 252).
Databili intorno al 1592 sono il Carnevale del Kunsthistorisclies Museum di Vienna e la Resurrezione di Lazzaro nella chiesa della Carità a Venezia, dipinto molto importante per comprendere l’arte del D., attento alle esperienze tardomanieristiche centroitaliane, specialmente per l’influsso di Federico Zuccari, attivo pochi anni prima nel palazzo ducale di Venezia.
Del 1593 è il Ritratto di gentiluomo della Pinacoteca di Vicenza, a cui s’avvicinano, anche se di poco posteriori, il Ritratto dello scultore Gerolamo Campagna delle Collezioni reali di Hanipton Court e il Ritratto di un gentiluomo con una penna in mano della Galleria di Dresda, opere, queste, lontane da ogni intento celebrativo, nelle quali il D., suggestionato dagli esempi del Passarotti e del Pourbus, riuscì a fissare il carattere fisico e morale del soggetto, ambientato nella sua concreta realtà.
Della sua adesione a un manierismo prezioso e arcaicizzante è esempio il Pestino di Antonio e Cleopatra della Galleria di Stoccolma, da collocarsi intorno al 1595-96 (Arslan, 1960, p. 243), in cui s’evidenziano il gusto della descrizione e il completo distacco dalla pittura bassanesca, per approdare ad un colore steso in superfici ben definite e levigate con preferenza di gamme chiare e fredde.
Nel 1595 il D. fu creato cavaliere dal doge Marino Grimani, di cui aveva dipinto un ritratto, e da allora usò firmarsi aggiungendo il titolo di “Eques”. Questo ritratto di M. Grimani e quello contemporaneo della moglie, Morosina Morosini (opere entrambe alla Galleria di Dresda), sono più aulici di quelli appena citati e meno vivi, perché il D. si sente qui pittore di corte.
Il Ridolfi ([1648] 1924, p. 170), ripreso poi dal Verci (1775, p. 184), offre una vivace immagine dell’uomo D.: “era di humor malenconico, ma dedito a trattenimenti del canto, e del suono e ad altri piaceri. Dilettavasi suonar il liuto, e ritrovavasi volentieri ove si esercitavano simili passatempi, per sollevar l’animo dalle noie, che porta seco la Pittura. Teneva molti scolari in casa e conducevali seco quando se n’usciva; un de’ quali gli portava lo stocco dorato, l’altro il memoriale, per ridursi a mente le cose, che haveva a fare, dimostrando grandezza e splendore in ogni sua attione. Vestiva di ricchi panni con collana al collo e l’insegna di San Marco“. Univa alla mania di grandezza quella di persecuzione: invitava alla sua ricca mensa tutti i giovani scolari, che dovevano assaggiare “prima ciascuna delle vivande, per lo continuo sospetto che haveva d’esser avvelenato … Teneva casa allestita, praticata da molti signori“.
Intensa fu l’attività del D. verso la fine del secolo: il 16 apr. 1596 s’impegnò a consegnare entro il settembre dello stesso anno una tela col Miracolo di s. Lucia per la chiesa di S. Giorgio Maggiore a Venezia, dove ancora si trova (Arslan, 1960, pp. 245, 253 n. 27).
Il 24 febbr. 1597 prese l’impegno per un quadro per la stessa chiesa con la Lotta tra gli angeli buoni e i malvagi, che però o non fu mai eseguito o è andato perduto (ibid., pp. 245, 253 n. 28).
Poco dopo il 1596 si pone il Battesimo di Cristo della chiesa dei catecumeni a Venezia e al 1598 circa si datano il Martirio di s. Martina in S. Sisto a Piacenza e la pala di S. Antonino nella chiesa di S. Corona a Vicenza. In queste tre ultime opere c’è un rifiorire del colore come se i legami con il mondo artistico paterno non siano ancora del tutto recisi; ciò è confermato dal fatto che proprio in questi ultimi anni del secolo il D. va sfruttando modelli bassaneschi di vent’anni prima, che evidentemente erano richiesti dalla committenza veneziana e di Terraferma: esempi ne sono la Guarigione del paralitico nella collezione Schönborn a Pommersfelden, il Mercato della Pinacoteca nazionale di Napoli e la Torre di Babele della National Gallery di Londra.
Nel primo quarto del Seicento troviamo nel fare artistico del D. nuovi orientamenti, segni della profonda crisi che il pittore aveva subito: già sono presenti nel quadro, databile al 1604-05 (Arslan, 1960, pp. 246, 253 n. 33), dipinto per la sala del Maggior Consiglio nel palazzo ducale di Venezia, in sostituzione d’una precedente tela di Tiburzio Passarotti, e raffigurante Alessandro III che offre il cero al doge Ziani. In quest’opera si scorge quasi una reazione al tardomanierismo veneziano e si nota una ricerca di raffinati arcaismi, che caratterizza anche il Cristo portacroce della Gemäldegalerie di Dresda e il Battesimo della nipote del podestà A. Minotto, del 1606, in palazzo Papafava a Padova (ibid., pp. 247, 253 n. 34).
Poco dopo la metà del primo decennio furono compiute le grandi tele nella chiesa di SS. Giovanni e Paolo. Del 1605 è l’Ultima Cena del Castello di Opočno. Nel 1610 il D. eseguì il ritratto del Doge Antonio Priuli, ora nel Kunsthistorisches Museum di Vienna, e intorno a questa data completò il disegno di una pianta di Bassano (Bassano, Museo civico) incominciato dal fratello Francesco.
Conosciamo molte date che si riferiscono all’attività del pittore in quest’ultimo periodo. Del 1615 o di poco posteriore risulta il Ritratto del doge Marcantonio Memmo (Padova, Museo civico); del 1616 quello di Giovanni Bembo (ora nei depositi del palazzo ducale). Il 3 luglio 1617 ricevette un pagamento per alcuni cartoni di mosaici eseguiti nella basilica di S. Marco da Lorenzo Ceccato e Giacomo Pasterini (Saccardo, 1896; Merkel, 1978). Dopo il 1619 si colloca il Ritratto del patriarca Giovanni Tiepolo, ora all’Accademia di Venezia, e nel 1620 alcune tele in S. Cassiano, dipinte soprattutto dagli allievi.
La ritrattistica, specialità che il D. aveva monopolizzato a Venezia e per la quale tanto lo lodano gli storici, a cominciare dal Ridolfi (1648), annovera nei primi due decenni del secolo dei capolavori: oltre a quello già citato di Marcantonio Memmo, si ricordano i ritratti di Alvise Corradini, rettore dell’università della lana di Padova (oggi in quel Museo civico), di Lionardo Armano (Monaco, Alte Pinakothek) e di Fortunio Liceto, professore dell’università di Padova (ora a Parigi, coll. priv.: cfr. Pallucchini, 1981, tav. n. 26).
Il merito principale del D. ritrattista è quello di rappresentare i personaggi in modo anticonformista “venendo incontro soprattutto alle esigenze di una nuova società borghese in formazione” (Pallucchini, 1981, p. 28).
Uno degli ultimi documenti in cui si nomina il D. è il testamento di Gerolamo, redatto a Venezia il 27 ott. 1621: questi gli lascia un legato di 30 ducati “non perché manchi, ma perché esendo egli così d’animo generoso, non abbi occasione di spenderli se non nelli suoi bisogni” (Gerola, 1905, p. 109), e raccomanda “al signor Leandro et a suo figliolo per le vissere del signor Iddio siano uniti insieme, et che lui signor Leandro voglia bene a sua moglie, avertendo che, se bene li acidenti del mondo come porta qualche volta disparere alli matrimoni, che però non si deve lassiare di amarsi l’uno e l’altro con quela fede che comanda il signor Iddio e la santa Madre Chiesa” (ibid., p. 114). Questo ci fa capire quale doveva essere la situazione familiare del pittore.
Il D. morì a Venezia il 15 aprile del 1622 e fu sepolto in S. Salvatore con le insegne di cavaliere (ibid., p. 106 n. 2).
Fonti e Bibl.: Per le fonti edite e la bibliografia sino al 1909 si veda G. Gerola, Bassano L. in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, III, Leipzig 1909, pp. 7 s., che dà un’ampia trattazione alla dei Bassano (pp. 1-8). Ma vedi in particolare: C. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte [1648], a cura di D. v. Hadeln, II, Berlin 1924, pp. 165-71; G. B. Verci, Notizie intorno alla vita e alle opere de’ pittori… di Bassano, Venezia 1775, pp. 91-102, e specialmente 182-206; P. Saccardo, Les mosaiques de Saint–Marc à Venise, Venezia 1896, p. 315; G. d. B. [Gerola], I testamenti di Francesco il Giovane e di Gerolamo da Ponte, in Boll. d. Museo civico di Bassano, II (1905), pp. 103-14; L. Chiarelli, Iconografia bassanese, ibid., VI (1909), p. 86; G. Gerola, Bassano, Bergamo 1910, pp. 119 ss.; A. Venturi, Storia d. arte ital., IX, 4, Milano 1929, pp. 1300 ss.; E. Arslan, I Bassano, Milano 1960, pp. 233-75 (con ulteriore bibl. a pp. 254 ss.); A. Ballarin, Osservazioni sui dipinti venez. del Cinquecento nella Galleria del Castello di Praga, in Arte veneta, XIX (1965), pp. 67-70; Id., La vecchiaia di Iacopo Bassano: le fonti e la critica, in Atti d. Istituto veneto di sc., lett. ed arti, CXXIX (1966-67), pp. 151-93 passim; W. R. Rearick, Jacopo Bassano’s last Painting: The Baptism of Christ, in Arte veneta, XXI (1967), pp. 102, 104; C. Donzelli-G. M. Pilo, I pittori del Seicento veneto, Firenze 1967, pp. 74-80 (con relativa bibl.); R. Burgess, A Nativity by L. Bassano at the Wellcome Institute, in Gazette des Beaux–Arts, CXIII (1971), pp. 177 s.; I. Smimova, Due serie delle “stagioni” bassanesche e alcune considerazioni sulla genesi del quadro di genere nella bottega di Jacopo da Ponte, in Studi di storia d. arte in on. di A. Morassi, Venezia 1971, pp. 129-37; J. Michalkowa, Gli acquisti venez. di Stanislav Kostka Potocki, ibid., pp. 399-407; G. Gamulin, Opere ined. del Rinascimento, in Arte veneta, XXVII (1973), p. 269; P. L. Fantelli, L. Lanzi e il suo taccuino di viaggio, 2, in Padova, n. s., XXIII (1977), 6, pp. 17-26; L. Magagnato-B. Passamani, Il Museo civico di Bassano del Grappa (catal.), Venezia 1978, pp. 32-38; F. Rigon, Taccuino bassanesco, in Arte veneta, XXXII (1978), pp. 178-81; E. Merkel, Il rifacimento ex–novo dei mosaici marciani quale metodo di “restauro” in un esempio del Seicento tra Aliense e L. Bassano, ibid., pp. 305 ss.; L. Alberton Vinco da Sesso-F. Signori, Il testamento di Jacopo Bassano, ibid., XXXII (1979), pp. 161-64 passim; W. R. Rearick, The portraits of Jacopo Bassano, in Artibus et historiae, I (1980), pp. 99-114; B. Boucher, A statuette by Girolamo Campagna and a portrait by L. Bassano, in Arte veneta, XXXIV (1980), pp. 159-64; T. Fomiciova, I dipinti di J. Bassano e dei suoi figli Francesco e Leandro nella collezione dell’Ermitage, ibid., XXXV (1981), pp. 92 ss.; R. Pallucchini, La Pittura venez. del Seicento, Milano 1981, pp. 28 s.; M. Muraro, Pittura e società: il Libro dei conti e la bottega dei Bassano, Univ. di Padova, fac. di magistero, a. a. 1982-83, dispense ciclostilati.