BASSANO DEL GRAPPA – GIARDINO PAROLINI – BIOGRAFIA DI ALBERTO PAROLINI

GIARDINO PAROLINI

BIOGRAFIA di ALBERTO PAROLINI

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Alberto Parolini muore il 15 gennaio 1867. Alcuni mesi dopo il Prof. Roberto de Visiani (a dx), amico e conoscitore del Parolini,legge la sottostantecommemorazione pubblicata negli “Atti del Regio Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti”. Ho voluto trasferirla nella sua pressochè totale interezza (comprese le annotazioni segnalate con (*) in quanto bene delinea le caratteristiche umane e culturali del Parolini, tra le quali la passione, l’ardore con cui questo grande concittadino nei decenni ha realizzato quel suo Giardino, che ahimé i bassanesi non sono riusciti a conservarlo!

Da “ADUNANZA DEL GIORNO 24 LUGLIO 1867

Il m. e. prof. Roberto de Visiani legge questa commemorazione

“Della vita scientifica del Cav. Alberto Parolini.”

Di vite operose, utili e nel tempo stesso modeste, che paghe al ben fare, non ne cercarono mai come compenso debito o come ultimo scopo la mercede sollecita o la facile rinomanza, non fu mai troppa la copia; e per ciò in ogni tempo rari e commendati gli esempii…Ed ora d’altro amico … mio, che in campo più largo diede opera quasi agli stessi studii, e la scienza coltivando per lo solo amore di essa, lasciò ad altri il giovarsi del molto frutto da lui raccoltone, mi piglio volonterosamente il triste ma dol cissimo carico di parlare.

Questo ufficio, che legano tacitamente quelli che partono a coloro che sopravivono, i quali per la lunga consuetudine con essi avuta sono i più acconci a conoscerne e ritrarne la vita intima, gli sforzi fatti, gli ostacoli superati, non dovrebbe essere senza sospetto d’ingiustizia o d’ingratitudine ricusato nemmen da quelli, che si stimassero a ciò o per iscarso ingegno o per poche lettere men che opportuni.  E ciò non foss’altro per questo, che alla povertà dell’uno o dell’ altre può sempre meritar scusa l’ affetto, onde son mossi a parlare ; il quale, ove sia dentro a’giusti limiti contenuto dal religioso culto del vero, può sempre in questa timorosa gara del cuor colla mente fare assegnamento sulla indulgente benevolenza degli animi nobili e generosi. 

Alla quale io pure affidandomi, e considerando, come per avere io primo fatto conoscere al nostro Istituto  le scoperte del Parolini quand’egli nel 1842 era ancora nella vigoria della vita, mi corra quasi il debito di compierne la narrazione ora che la stessa piena d’anni e cresciuta di benemerenze si spense, mi farò a dire di questo nostro collega, tolto ai 15 del passato gennajo a’ suoi cari, alla natia Bassano, ed a que’ tanti che ne amavano e pregiavano la vecchia ed or rara gentilezza dei modi, la schietta e ferma lealtà del carattere, la molta e varia coltura. (* Tutto quanto verrà detto in questo scritto attinente alla vita, ai viaggi ed alle osservazioni scientifiche fatte dal Parolini si dichiara ricavate da’ suoi Giornali di viaggi, e da due manoscritti da lui dettati col titolo di “Cenni intorno al cav. Filippo Barker Webb, inglese, ed al suo viaggio nella Grecia fatto in compagnia di Alberto Parolini” e di “Menorie” , che si trovano presso gli eredi).

Nacque egli nella detta città,  di begli ingegni nelle scienze, nelle lettere e nelle arti feracissima sempre, il giorno 24 giugno 1788 dai coniugi Francesco Parolini di Bassano ed Elisabetta Savioni di Venezia; ma questa amorosa e prima sua istitutrice in quegli studi, che si addicono alla più tenera età, ebbe egli la sventura di perdere appena quinquenne.

Frequentava allora per sorte in sua casa il concittadino suo e già chiaro per qualche fama Giovanni Battista Brocchi: il quale dedicandosi di que’ dì alla botanica, più che alle altre scienze, nelle quali segnalossi in appresso, pubblicato aveva per nozze un trattatello sulle più belle piante da coltivarsi (Trattato delle piante odorifere e di bella vista da coltivarsi ne’ giardini del sig. G.B.B. Bassano 1796,8°). Questa opericciuola venuta alle mani del fanciulletto, che toccava appena gli otto anni, destò in esso la scintilla prima di quell’amore alle piante, che gli fruttò poscia e conforti dolcissimi e fama onorevole.

Partito il Brocchi per imprendere l’insegnamento delle scienze naturali nel liceo di Brescia, in cui glien’ era affidata la cattedra, e più tardi chiamato a Milano quale Ispettore delle miniere del Regno, e perciò restato privo il Parolini di sì utile guida nel nuovo studio, non rimise per questo dall’attendere con ardore giovanile alla ricerca di quelle piante, che sulle altre si vantaggiano o per la vaghezza dei fiori o per la bontà del profumo, raccogliendole e coltivandole nell’orticello domestico. Erano questi i primi indizii di quella inclinazione che accese poscia il gentile animo suo per la coltura delle belle piante e dei fiori. Nella quale inclinazione secondandolo il padre, lasciollo arbitro di piantare e governare  a suo senno una parte dell’ orto stesso, nel quale egli  poneva per primo alberi esotici fino allora sconosciuti nel suo suo paese, e vi disegnava il principio di quelle stufe, che ampliate poscia a ricoverarvi larga copia di specie rare tuttor vi sussistono. Si fu questo il principio di quel Giardino, che sorse alcuni anni dopo sott’altra e più nuova forma, e fu noto ai botanici, con cui scambiava il catalogo de’ propri semi, col nome di Hortus Parolinianus. Né a ciò ristrettasi  la condiscenza del padre, consentiva ancora al ben promettente figlio di trasferirsi a Padova, ove frequentar potesse, oltre l’orto botanico, le lezioni dell’amena scienza, che allor se teneva in quella Università il prof. G. A. Bonato. Nella quale città recatosi l’anno 1805, vale a dire diciassettenne, attese con amore a procacciarsi le cognizioni che in siffatti studii gli abbisognavano.

Viveva a quel tempo in Padova una donna coltissima, la sig. Enrichetta Treves de’ Bonfili, la quale, accogliendo cortesemente in sua casa l’eletta schiera degli uomini più chiari che nelle scienze e nelle lettere allor vi fiorissero, né rifiutandosi accorvi pure alcuni giovani che le   venivano raccomandati, offeriva ad essi non sol que’ vantaggi, che dalla dotta sua società potevano lor derivare, ma ben anco col consiglio e coll’ apprestar loro oggetti e libri scientifici favoriva e promoveva in essi l’amor dello studio in genere e specialmente quello della botanica. Il Parolini non tardò guari ad essere uno di questi.Quindici anni dopo toccò a me pure la stessa sorte: nè io posso tenermi dal rammentare anche adesso con profondo senso di gratitudine i conforti avuti da quella rara vecchietta per insistere in quella scienza, in cui essa piacevasi di chiamarmi suo allievo. Il quale studio se in processo di tempo mi fu largo di dolcissime compiacenze, non fu l’ultima certamente di queste l’aver potuto rimeritare delle cortesie ricevute l’ egregia donna, coll’ intitolare al suo nome una bella pianta delle lndie che da lei dissi e che tuttor si chiama, Trevesia

In quel torno di tempo che il Parolini studiava le piante in Padova, avvenne che vi passasse, dopo fatta una corsa mineralogica nella Val di Fassa in Tirolo, il suo Brocchi, portando seco una ricca messe di minerali e di rocce da lui trovate in quei luoghi tanto noti e cari ai geologi. La vista di questi oggetti, che il Brocchi gli fe’ poi conoscere ed ammirare in Bassano, scosse l’animo del giovinetto, sempre aperto alle naturali bellezze, ne svegliò la curiosità, gli sviluppò infine l’amore allo studio loro, non meno prontamente e potentemente, che avesse in lui fatto poc’anni prima il libricciuolo del Brocchi stesso per lo studio de’ vegetabili.

Nei quali studj accorgendosi il Parolini com’ egli andasse a rilento perché mancante di quella regolare istituzione nelle scienze affini, che sono iniziatrici indispensabili alle naturali, nè potendo sperare in queste senza di quelle un solido avanzamento, deliberò di recarsi a Pavia, onde seguire in quella fiorente Università corsi regolari di fisica, di chimica, d’anatomia comparata ed umana, e di quante sono le parti della storia della natura.  Locchè ottenuto dal padre per l’autorevole mediazione del Brocchi, lasciò Bassano nel 1810, e dal Brocchi stesso accompagnato a Milano, vi conobbe e frequentò fra’ più altri i celebri naturalisti Ermenegildo Pino e Scipione Breislak. Di là andato a Pavia ed amorevolmente accoltovi dal valente chimico il prof Brugnatelli, si strinse in amicizia cogli illustri colleghi di quello in diverse scienze, quali il Marianini, il Tamburdini, il Fattori, il Jacopi, il Configliachi, il Nocca, il Mangili, dei quali coltivò la corrispondenza anche poscia; ed assistette ad un corso di eudiometria del celeberrimo Volta, che appunto in quell’anno 1810 facea suonare nella sala di fisica della Ticinese Università l’ultime sue parole, intrattenendo l’affollato uditorio sulle proprietà fisiche dei gas.

Frattanto la frequente compagnia del Brocchi, prima e preziosa guida del Parolini, aveva già insinuato nell’ animo del giovane naturalista la bramosia del viaggiare: ond’ è che il primo, quasi per assaggiare le costui forze e provarne la tenacità dei propositi, lo trasse seco in Piemonte. Colà postosi ad esplorare particolarmente le colline dell’Astigiano, ne portò il novello raccoglitore buon numero di conchiglie fossili del terreno terziario subapennino. Questa prima prova ben riuscita decise immediatamente il Brocchi , che già meditava da tempo una perlustrazione geologica della penisola, ad associarsi in questa il suo giovane allievo. Perlochè partiti dalla comune patria addì 24 luglio del 1811 e passata Modena, cominciarono dal visitare le Salse di Sassuolo. Ivi Io svolgimento di copiosi vapori solforosi dà origine ad una forte eruzione di acqua fangosa, che foggiandosi a colonna grigia irregolare, ritrae, così indigrosso, le apparenze di una eruzione vulcanica, ma senza fuoco, senza fusione e senza lava. La massa eruttata componesi per intero di una poltiglia semifluida di terra argillosa, che inalzatasi un cotal poco, s’accascia ben presto sopra sè stessa e ricade nella pozzanghera, donde i gas erompenti la sollevarono. Di là recatisi a vedere i fuochi di Barigozzo [o Barigazzo] alimentati pure dai gas, s’apprestarono i due compagni a salire e percorrere la somma cresta degli Apennini che sorgono tra Modena e Pistoia. Dalla vetta del monte Amone, il più alto della catena, l’occhio abbraccia e domina il   Mediterraneo, l’Adriatico e l’ampia e ricca valle del Po, che somigliante ad altro mare non meno vasto, lascia scorgere rilevanti dalla pianura a guisa d’isole schierate in fila le miti e verdeggianti colline Euganee. Più oltre e sul lontano fondo dell’ immenso orizzonte grandeggia, qual macchia azzurra, quel monte Baldo, cui la vivente flora e le copiose reliquie del mondo antico diedero grande e giusta celebrità. Ad occidente sorge la lunga catena dell’Apennino, che dalle falde dell’ Amone protendesi fino a raggiungere le montagne del Parmigiano e quelle della Liguria. Al sud-ovest l’occhio affascinato dalla grandiosità di tanto spettacolo segue la costiera amenissima del Golfo della Spezia, che coi marmorei monti di Massa e Carrara prolungasi fin verso Pisa. Più innanzi nel mare distingue esso l’isola d’Elba illustrata dal più memorando esiglio moderno, si delizia nel moltiforme aspetto del paese vaghissimo di Toscana, e da ultimo quasi stanco di tante e cosi varie vedute e delle solenni memorie ch’esse risvegliano, riposasi sulle lontane vette di Santa Fiora, e dell’ Amiata di verso Siena. Ed è pure da quell’ eminente cocuzzolo dell’ Amone, che tutto scoprendosi il largo specchio dell’Adriatico, vi si distinguono nettamente e le pescose valli di Comacchio, e le limacciose bocche del Po. Qual meraviglia che il giovanile animo del Parolini, a questo nuovo ed imponente quadro di monti o d’isole fosse potentemente scosso ed infiammato quel più ad indagarne il composto, a divinarne le origini, i mutamenti; a studiarne con osservazioni avvedute i minuti particolari, e dalle reliquie superstiti argomentare eziandio gli esseri organici che ne furono i primissimi abitatori? Nè il godimento di quelle nobili compiacenze, che da tal vista gli pioveano nell’ animo, era punto scemato in lui da disagi e pericoli d’ogni fatta, che in questo laborioso viaggio durati, avrebbero fatto tentennare qual altra volontà men ferma che lo sua non si fosse. Che anzi il rinfrancavano e l’agguerrivano a sostenerne di ben più gravi, quali si furon quelli che lo attendevano in altro suolo, sott’ altro cielo, e fra popoli di civiltà ben diversa.

Attraversato l’ Apennino in mezzo ad una vegetazione quasi meridionale di Fillirèe, di Mirti, di Corbezzoli e di Lentischi, ed accompagnatisi nella gentile e dotta Firenze a quei valenti naturalisti che allor vi fiorivano, il cav. Bardi, il prof. Nesti e il prof. Ottaviano Targioni Tozzetti, visitò il Parolini or coll’uno or coll’ altro di essi i terreni della Serpentina, del Granitone, dei Diaspri; i lagoni del Sanese e del Volterrano; le formazioni di gesso coi preziosi depositi d’alabastro presso Volterra; non dimenticando pur di ammirarvi coll’illustre prof. Inghirami i famosi monumenti etruschi che rendono si cospicua quella città. Da Volterra pel monte Miemo, ove raccolsero saggi origianrii di Micenite o carbonato di calce magnesifero, e poscia pel monte Nero, raggiunsero Livorno e Pisa. Le colline di Empoli e Pontedera fornirono ai bassanesi naturalisti di molte conchiglie fossili racchiuse entro la marna turchina che ricopre buona parte delle falde dell’ Apennino. Di queste conchiglie faceva il Brocchi diligente incetta dovunque, per giovarsene poscia nell’ opera da lui ideata sulla conchiologia fossile d’Italia, che con tanta sua lode pubblicò egli pochi anni dopo a Milano. Né minor cura poneavi il Parolini per arricchirne quel museo proprio, che fin d’allora ei proponevasi d’istituire in sua casa.

 A queste escursioni non contenti, altre ne fecero pure per lo stesso scopo geologico all’ Impruneta per studiarvi il terreno della Serpentina; a Figline per riconoscere i grandi depositi di Macigno e Psammite, che nessuno allora sospettava appartenessero alla formazione terziaria;  a Valdarno di Sopra verso Arezzo per osservarvi la giacitura dei celebri carcami fossili di Elefanti, di Rinoceronti, di Cervi,  di Mastodonti e d’altri mammiferi, che in remotissimi tempi abitavano il nostro clima. Grandissima n’ è la copia nelle sabbie gialle sovrapposte all’argilla turchina conchiglifera in certe colline sorgenti non molto lungi da un  paesetto che chiamasi Figline al pari dell’ altro testè indicato, ma diverso dal primo che trovasi a quattro miglia al nord di Firenze. Sono siffatte ossa sì leggermente coperte dalla sabbia anzidetta, che i villici vi danno dentro col vomere nell’ aratura de’ campi, e di là traendone quelle di maggior mole, ne formano le chiudende degli orti attigui ai loro poveri casolari alla stessa guisa come costumano altrove di fare coi grossi massi gli abitatori de’monti. Abbattutisi i nostri viaggiatori a vederne uno di tali scheletri poco dopo diseppellito, poterono acquistarne di belle zanne elefantine e denti fossili d’altra specie, che si conservano nel Museo Parolini. 

Da Firenze avviatisi a Siena ebbero opportunità d’accrescere d’altre conchiglie fossili le loro raccolte, e di là recaronsi ad osservare le roccie vulcaniche di Radicofani, che son le prime che si affaccino al viaggiatore, il quale dalla valle del Po dirigasi verso Roma. La grande varietà di quei prodotti, che dai basalti più duri passano alle lave scoriacee e spugnose del Vesuvio per ogni gradazione di compattezza e di tinta ferma l’ attenzione del geologo, che vi si abbatta la prima volta e ne destano la sorpresa. Per avviso del Parolini le lave leucitiche di Acquapendente, e i basalti e i tufi dei contorni del Lago di Bolsena offrono ancor vasto e fecondo campo di osservazioni alla curiosità dei geologi. 

Fermatisi alcun tempo in Roma per dar assetto ed ordine alle raccolte fatte di piante, di fossili, di minerali e di rocce, impresero i due compagni la esplorazione scientifica delle cave di Travertino, del Lago delle Isole natanti, dei monti di Albano e del Lazio, delle macchie d’Ostia, delle miniere d’Albume della Tolfa, delle correnti di lava che il lago circondano di Bracciano. Ivi il Parolini scoperse nel tufo vulcanico di Anguillara una specie d’Idocrasia in cristalli verdognoli, che presentata più tardi all’ illustre Hauy a Parigi, fu da questo descritta negli Annali di storia naturale sotto il nome di Fassaite (* La Fassaite, secondo il Brocchi nella sua Memoria sulla valle di Fassa non è che una varietà verde-gialliccia di Pirosseno. Quella qui accennata colle parole stesse che leggonsi nelle citate Memorie del Parolini, pare possa essere la stessa dominata dal Brocchi nel suo Catalogo ragionato di una raccolta di roccia disposte con ordine geografico per servire alla geognosia dell’Italia. Milano, 1917, pag.119, n°19, come trovata presso Anguillara al par di questa).

 Rallegratisi per qualche giorno colla vista di quella  orgogliosa vegetazione meridionale che ammanta di verdura perpetua i colli di Roma; gradevolmente sorpresi all’ aspetto d’una pianta femminea di Dattero, che sorgeva sul Palatino con uno stipite d’oltre venti metri d’altezza, da cui pendevano lunghi e dorati grappoli di frutta bellissime, sebbene non abbonite, s’avviarono a Napoli. Visitate nel viaggio Velletri e Terracina, ammirati a Fondi i boschi odoriferi d’Allori, di Carubbi, di Cedri, di Limoni, di Aranci, e sulle rupi marittime di Gaeta la maestosa palma a ventaglio (Chamaerops humilis L.), sola specie di questa grande famiglia che ancor cresca spontaneamente in Italia, studiarono il terreno vulcanico del paese e specialmente quello della Rocca Mònfina sapientemente illustrata dal Breislock; e sempre raggranellando tutto che loro incontrasse d’istruttivo e di singolare, per Capua arrivarono alla ridente e popolosa Partenope. L’attenta indagine di quei luoghi più importanti per un geologo, che circondano la immensa città, si fu nel verno la principale occupazione del Parolini che salì ripetutamente il Vesuvio sino alla vetta; esplorò il semicerchio del monte Somma, le valli e le falde di quel  vulcano sino agli sbocchi delle varie correnti di lava lungo la spiaggia, e quindi Portici, Ercolano, Pompeja, Salerno,  Pesto; poi le isole del golfo di Napoli, e fra queste specialmente l’isola di Ischia, che percorse in ogni verso  per otto giorni. Al nord-ovest studiò egli il suolo de’ famosi campi  Flegrei, esaminandone la Baja di Cuma, il Lago Fusaro, la Solfatara, la Grotta del Cane, il tempio di Giove Serapide.

 Veduta nel gennajo del 1812 una forte eruzione del Vesuvio, visitarono i due compagni nel successivo mese Benevento, ed attraversato il paese sino a Barletta, si recarono nelle Puglie che tramezzarono da Bari a Lecce. Nel marzo rifecero la via di Roma, e proseguendo per Civitavecchia, per la Tolfa ed il Lago di Bracciano, ed erborizzando sulle rive del Mediterraneo come avevano fatto prima in Puglia per le piante marittime dell’ Adriatico, ripassato l’Apennino, giunsero per Macerata e per Loreto in Ancona. Passando poscia ad Urbino e Pesaro, salutata lo repubblica di S. Marino, accuratamente esplorate le cave di zolfo alla Perticara presso Cesena, ed a Sogliano quelle di carbon fossile, per Ravenna e Bologna  rimpatriarono, ricchi di larga messe d’oggetti naturali e di osservazioni proprie e locali, preziosissime gli uni e le altre alla conoscenza particolarizzata e sicura della storia naturale d’Italia. 

Tornato il Parolini in Bassano non istette guari a separare, studiare ed ordinare le numerose raccolte fatte, fondando con queste le prime basi del suo museo, come colle piante secche o vive, o coi loro semi da lui raccolti nel detto viaggio, poneva pure quelle delle sue collezioni botaniche, quali erano il giardino e l’erbario. 

Ma questo viaggio da lui fatto per buona parte della penisola non aveva in esso satolla o spenta la brama insaziabile dell’ apprendere e del vedere; onde venne, che dopo avere in quel primo adempiuto al debito del buon cittadino che apprezzi veramente la patria sua, di cominciar da questa i suoi studii per recarsi poscia a conoscere straniere contrade, il Parolini, non più bisognoso di guida, messe le proprie penne ed addestratosi a maggior volo, disposesi a perlustrare le altre parti d’Europa. Laonde nel 1816 viaggiò egli per la Baviera; indi lungo i paesi posti sul Reno; poscia cercò l’ Olanda. Nel 1817 corse buona parte dell’Inghilterra e della Francia, trattenendosi lungamente a Londra e a Parigi. Di là tornato in patria, e posatovisi appena quel tanto che bastava a deporvi le ricche prede accumulate nel viaggio e a rinfrancarsi le forze, si apparecchiò a fatiche di maggior lena ed a viaggi di maggior corso. 

Aveva egli fino dal 1815 conosciuto a Venezia presso il console inglese sig. Hoppner un giovane e già chiaro naturalista inglese Filippo Barker Webb. La conformità degli studii, l’analogia delle inclinazioni, la indipendenza di carattere e di posizione comune ad entrambi, fecero dei due conoscenti due amici fin dal principio, e questo nobile sentimento non fece che ristringersi e raffermarsi col tempo e con quella intima intrinsechezza che si stabilisce nei viaggi, i quali prestano il più certo modo e le più opportune occasioni a provarne la tenacità e la schiettezza. Scontratisi più tardi a Londra, il Webb potè quivi ricambiare con pari cordialità la ospitalità portagli dal Parolini in Bassano, e farglisi introduttore autorevole presso i più illustri botanici e geologi di quella grande nazione, fra’ quali il Banks, il Brovvn, il Pentland, il Wollaston. 

Ma lasciando Londra non senza novelli acquisti di piante, minerali e rocce per arricchirne il museo suo di Bassano, non rinunziava per questo il Parolini alla cupidità d’altri viaggi, che anzi alimentava sempre in cuor suo la speranza di poter fra non molto adempiere un desiderio comune ancora al suo Webb, quello cioè di cercare e vedere uniti quel tesoro inesausto di ricchezze naturali ed artistiche, di rimembranze storiche, letterarie e scientifiche, che si è la Grecia. Per lo qual viaggio avvedendosi bene il Parolini di qual soccorso a lui sarebbero gli studi classici e la conoscenza delle lingue antiche che a lui mancavano, faceva giusto assegnamento sulla compagnia del Webb, che n’era riccamente fornito. Né tardò molto a compiersi questo voto, chè nel settembre del 1818 i due amici, vedutisi di bel nuovo a Milano, fermarono il disegno del nuovo viaggio, e nella primavera del 1819 si ricongiunsero in Napoli per eseguirlo. Non erano siffatte peregrinazioni lontane agevolate com’ oggi dalla navigazione a vapore, per cui e lungo e indeterminato tempo chiedevasi ad attuarle, e di molti apprestamenti e previdenze e commendatizie era d’uopo, non solo per cansare il continuo e svariato pericolo di doverne troncare il corso, si ancora per compierle col maggior profitto possibile. 

Di questi necessarii  aiuti provveduti a dovizia, cominciarono eglino dal traversare le Puglie, già visitate nel 1812 dal Parolini col Brocchi: e da Otranto, lasciata la costa d’Italia, dirizzarono per Corfù ove approdarono in maggio. Trovavasi allora in quell’isola Sir Thomas Maitland che governava l’isole Ionie per l’ Inghilterra, nonché il futuro presidente della Grecia ed allora ministro russo a Costantinopoli il Conte Giovanni Capodistria, dalla cortesia dei quali si ebbero i due viaggiatori que’ maggiori aiuti che potevano prestar loro i consoli delle due potenti nazioni, e i comandanti delle navi britanniche che stanziavano di quel tempo in que’ mari. Visitata Prevesa, l’isola di S. Maura e in essa lo scoglio celebre per  la disperata fine di Saffo, l’isola d’ Itaca colle rovine ciclopiche del castello d’ Ulisse, quella della cosi detta Scuola d’ Omero ed altri luoghi non meno classici e rinomati ; poi l’isola del Zante o l’antica Zacinto, Patrasso nella Morea, lo stretto di Lepanto co’ fortilizii musulmani che lo proteggono, e la spiaggia di Missolongi; indi traversato l’Istmo di Corinto, s’imbarcarono nuovamente a Keuchries, e per lo golfo di Mirto volsero verso Atene. Quivi trattenutisi a lungo ebbero agio e di ammirare le grandiose reliquie di quella insigne capitale dell’ Attica, e di esplorare, approdandovi su piccioli palischermi, le varie isole dell’ Arcipelago greco, fra cui prima quella di Egina colle rovine appena riconoscibili del tempio di Giove Panellenio, donde Lord Elgin rapì le famose mètope rappresentanti le guerre de’ Centauri co’ Lapiti. Di là passarono nell’ isola di Paros, ove a poca distanza dal porto e verso il nord, tra le altre osservazioni geologiche colà fatte, fermò l’attenzione del Parolini una cospicua corrente di lava trachitica, le di cui fenditure verticali la farebbero apparire composta di prismi basaltici sovrapposti ad un grande deposito di tufo basaltico stratificato; il quale essendo molto analogo al Peperino, contiene frammenti di calcaria bianca cristallizzata, di Schisto e di Serpentino, in modo da potersi prendere per una breccia (* Su tale proposito scrisse il Parolini una lettera all’ Illustre geologo vicentino il conte Marzari-Pencati, che ne pubblicò le notizie nella Biblioteca italiana nello stesso anno 1819).  Ivi pure, presso i depositi di trachite, sorgono scogli di calcaria antica. Sulla vicina costa della Morea riconobbe il Parolini gli schisti e i gneiss di cui essa componesi, i quali da lui conservati nel suo museo fra le raccolte mineralogiche della Grecia meritarono d’essere illustrati da rinomati geologi, quali prima il De Buch e poscia il Bouè (* Veggasi: L. di Buch, Sur la nature du phénoménès vulcaniques de la Grèce nelle Memorie della società Linneana, II, 1, Parigi 1829 ; nonchè A. Bouè,  Sur la Turquie européenne  et sur l’Asie mineure, 1828). Una parte delle annotazioni geologiche del Parolini  in questo viaggio fu inserita nelle Osservazioni intorno allo stato antico e presente del regno Trojano stampate da Webb a Milano nel 1821 e più estesamente nella sua Topografia della Troade pubblicata a Parigi nel 1844.

Dalle coste della Morea tragittarono all’isola di Idra, centro a que’ dì della marina greca, e di là volendo recarsi a Costantinopoli, ne furono allontanati da violenta burrasca che li forzò a trattenersi per varii giorni nelle isole di Renia, Delo, Micone e Scio. Ma questo indugio non fu infruttuoso alla scienza. La struttura delle tre prime, ora deserte, esplorata dal Parolini si trovò tutta di Gneiss, accompagnato e talor anco sostituito da un vago Granito rosso, ch’ è colorato dal Quarzo e più particolarmente da una quantità di Zirconi rossi. Sino a questo gruppo d’isole prolungasi la grande catena di Gneiss e Micaschisto, che dalla Tessaglia traversa Negroponte, e passando per Andro e Tino va a finire a Micone. Visitarono in Delo gl’ informi avanzi in marmo Pario del famoso tempio d’Apollo, indi raccogliendo per tutto e piante e conchiglie, e rivoltisi al nord-est, lasciarono a diritta la detta isola di Micone, a destra quella di Tino, ed approdarono a Scio. Quivi ammirata la estesa coltivazione dei Pistacchi, che formano una delle principali produzioni dell’ isola, e colte qui pure roccie di Schisto e piante, proseguirono verso il nord, e lasciando Lesbo a destra, toccato per breve ora il porto di Tenedo, salutata lo spiaggia d’Abido, e quella infiorata un giorno dai ridenti orti di Lampsaco, e da Gallipoli entrati nel Mar di Marmara il dì 21 luglio del 1819, in cui cadeva appunto la vigilia del Bairam, si trovarono improvvisamente in cospetto di quanto offre di più imponente la singolare metropoli musulmana. Nella quale guardatisi dall’entrare, come quella che travagliava per pestilenza, fermarono loro stanza a Bujuk-deré sulla riva del Bosforo, e vi soggiornarono per due mesi. Da questo luogo, accomodato  a perlustrare si la riva europea di quel mare che la prossima dell’Asia minore, impresero a continuare laboriose corse botaniche e geologiche. Fu colà che il Parolini, sopra l’Atlante che accompagna l’opera del conte Andreossy ambasciatore di Francia a Costantinopoli, ed intitolata Voyage à l’embouchure de la Mer-Noire; Paris chez Planchez 1818, segnò a colori le differenti rocce osservate sulle due rive; lavoro che non tentato prima da altri, ed importantissimo alla conoscenza geognostica di que’ luoghi, si conserva nel Giornale suo di quel viaggio, e meriterebbe d’ essere pubblicato. ln questa carta sono esattamente indicati i limiti delle formazioni diverse, dallo Schisto fondamentale, su cui è fabbricata Costantinopoli, sino al Rostanie-son, torrentello vicino a Sarijeri sulla costa europea, ove cominciano ad apparire i conglomerati vulcanici, che si stendono sino alle isole Cianèe. Sulla costa asiatica segnò il Parolini su quella carta la calcaria della Montagna del Gigante sovrapposta allo Schisto, ed i Tufi basaltici, le Amigdaloidi, ed i filoni basaltici colà frequenti sulla costa medesima verso il Mar Nero. Più tardi, diffusasi la pestilenza ed imperversando pure a Bujuk-deré, i due viaggiatori credettero miglior partito di recarsi alla capitale, ove la generosa ospitalità offerta loro dall’ ambasciatore inglese sir Robert Liston, e dall’ internunzio austriaco Co. di Lutzow, assicurava ad essi quei comodi e quelle opportunità, che avrebbero potuto meglio proteggerne la incolumità ed aiutare gli studii.  Difatti vi trovarono essi nelle istruzioni e nelle commendatizie avute da que’ signori, e sopra tutto nella biblioteca dell’ ambascieria britannica, i sussidii più efficaci e desiderabili per compiere col minor disagio e col maggior frutto il divisato viaggio nella Troade e nell’ Oriente.

 Al quale avviandosi, lasciarono Costantinopoli il 22 settembre, e costeggiata l’isola di Marmara, donde ritraesi in maggior copia di marmo per le costruzioni della immensa città, giunsero al castello de’ Dardanelli sulle coste della Troade, donde incominciarono le peregrinazioni loro per l’agro Trojano. Trovandosi a quel tempo indisposto l’amico suo, il Parolini si occupò da solo delle rettificazioni alla carta topografìca della Troade (*Così leggesi nel mss del Parolini intitolato: Cenni ecc.).  Le ricerche diligenti, i raffronti fatti sul luogo e le conclusioni dedottene intorno alla situazione dei monumenti antichi di questa illustre regione, resa classica e memorabile in tutti i tempi e per tutti i popoli, meno dagli avvenimenti eroici e guerreschi di cui fu scena, che dagl’ immortali versi di quel grande “D’occhi cieco e divin raggio di mente”, che gli cantò, le osservazioni geologiche sulla catena dell’Ida, e quelle fatte nel successivo viaggio ad Assos, Pergamo e Smirne furono poi descritte minutamente dal Webb in quel dotto libro sull’ agro Trojano già nominato, e che publicatosi l’anno 1821 nella biblioteca italiana, si ristampò con nuove giunte a Parigi (* Osservazioni intorno all’agro Trojano del signor F. Barker-Webb. Milano 1821, 8°, pag 91 e seg. – Topographie de la Troade ancienne et moderne par F.Webb, Paris 1844. Altre osservazioni geologiche in questa parte del suo viaggio nell’Asia minore trovansi inedite in quel Giornale del Parolini che vi riferisce).

 Compiuta con successo la penosa esplorazione della Troade, passarono i viaggiatori dal teatro dell’ Iliade alla maggiore delle città, che i natali contendonsi dell’ immortal suo poeta: ma arrivati a Smirne, dopo fatiche, disagi, patimenti e pericoli d’ogni fatta, la salute loro scomposta e le affrante forze li obbligarono a smettere l’anteriore disegno di recarsi per Gerusalemme in Egitto. Di che, dato un qualche assetto alle ricche raccolte fatte, da Smirne fecer vela per Malta, nel qual tragitto corser  nuovo pericolo d’essere spogliati e colati a fondo da tre barche di pirati che all’ altezza di Scio gli assalirono, e con cui fu forza combattere e vincere per salvarsi. Usciti indenni da tal rischio, e più tardi d’ altro simile che li colse presso le coste della Morea, e superato quello più istantaneo e non meno grave d’una tempesta fierissima che gli attendeva  poco lungi da Malta, approdarono a questa nel novembre del 1819 e vi stettero fino al 20 marzo del successivo anno in un agiato riposo, che pur era spesso e fruttuosamente interrotto dalla scientifica esplorazione dell’isola. Da Malta sciolsero per la Sicilia, giunsero a Siracusa, e scontata fa contumacia allor prescritta a chi venia di Levante, si posero a cercarne attentamente le rare piante. Assisteva non già alla raccolta, sì invece al disseccamento loro un siciliano, l’abate Luigi Bongiovanni, il quale cogliendo quella propizia opportunità di trascrivere i nomi di quelle piante, ne compilò un elenco, che dopo la partenza dei due naturalisti dall’isola pubblicò col titolo ben diseguale di Flora Siracusana (* Aggiunta alla Guida per le antichità di Siracusa dell’Ab. Luigi Bongiovanni. In Siracusa 1810 in 12°. Flora Siracusana per servire d’aggiunta alla Guida, ecc. dello stesso. In Messina 1821 in 12°). Questo semplice e assai meschino catalogo, e le osservazioni leggere che lo accompagnano, benché vi si dicano lasciati all’editore dal Webb e dal Parolini, non furono da essi riconosciuti per proprii, nè furono eglino consultati prima di publicarli. Da Siracusa percorsero in varii sensi l’isola intera raccogliendovi rocce, piante ed avanzi di antichità sino al 20 giugno del 1820, in cui recaronsi a Napoli. Lo scoppio del grave rivolgimento politico colà avvenuto il di 7 luglio accelerò la partenza del Parolini, il quale, ripassando da solo per Roma e Firenze, ritornò a Bassano nel 9 aprile, ricco e quasi impacciato del bottino scientifico accumulato avidamente in viaggio lungo, favorito da molte opportunità, ed in regioni ai naturalisti propizie, ma fino allora raramente ed imperfettamente esplorate. Quivi riunitosi poco stante al compagno, ospitatolo con quella cortesia squisita e cordiale che adoperava sempre il Parolini per fin cogl’ ignoti, fatte delle raccolte le giuste parti con esso, passò col Webb alla capitale lombarda, ove i due socii, affratellatisi più che mai coi molteplici legami della stima, dell’amicizia e della lunga ed intima convivenza, si separarono al principio del 1821.

Il Parolini ripatriato diedesi tosto a tutt’uomo a studiare, disporre e collocare gli oggetti naturali da lui raccolti ne’ varii viaggi, dopo compiuti i quali può dirsi essere stata questa la principale e continua occupazione della residua sua vita. Non è già che non imprendesse egli poscia altri viaggi ed altre esplorazioni scientifiche, ma questi di più breve corso. Tali si furono quelli da lui fatti per assistere a più congressi degli scienziati italiani, ne’ quali potè far bella mostra delle sue cognizioni e distinguersi, particolarmente a Torino, Firenze, Genova, Milano, Padova e Venezia, in alcuno de’ quali tenne anzi carico di secretario. 

Tali sue cognizioni in tutte le scienze naturali, e particolarmente nella geognosia, mineralogia, e paleontologia, la ricchezza del suo museo, le rare piante del suo giardino gli procacciarono bella fama anche fra gli stranieri, e corrispondenze onorevoli, e aggregazioni accademiche delle più illustri. Fino all’anno 1819, cioè dopo il suo soggiorno a Londra, il Parolini fu nominato membro di quella Società geologica che allora sorgeva, e di cui anzi fu uno de’ fondatori. Nel 1822 la Società geologica di Francia lo ascrisse pure tra’ suoi, e nel 1850 lo fregiò d’egual titolo quella de’ naturalisti in Milano. Nel 1823 fu socio corrispondente della Società orticola di Londra; nel 1825 lo fu dell’ Ateneo di Venezia; nel 1837 dell’ Accademia d’agricoltura orti e commercio in Verona; nel 1846 fu eletto alla Olimpica di Vicenza, e fu socio onorario del patrio Ateneo. La reale Accademia delle scienze in Torino se lo associò qual corrispondente nel 1842, l’ Istituto Veneto e l’Accademia di Padova nel 1843. Nel 1847 fu ascritto a quella di Udine, nel 1857 all’ Istituto geologico di Vienna.

Buon cittadino e della sua patria amantissimo, non si rifiutò il Parolini agli svariati uffizii da quella impostigli per rappresentarla e proteggerne gl’ interessi, e ciò per lo lungo corso di trentasette anni, e lo fece con quella probità coscienziosa, e con quella attività infaticabile ch’ egli soleva porre in ogni cosa che si assumesse, e che non gli vennero meno fino all’estremo termine della vita. Dei quali suoi servigi alla patria l’ultimo di tempo, ma forse il primo per futura importanza, si fu la proposta per esso fatta e caldamente propugnata di una ferrovia nuova, che da Mestre passando per Bassano congiungesse Venezia al Brenner; linea ch’ egli con dimostrazioni di fatto provò essere la più breve, la più facile e la meno costosa per unire il Veneto alla Germania; e la dimostrazione ne fu sì piena da meritarle la preferenza sulle altre linee proposte.

Queste sue civiche benemerenze e la fama scientifica che ne accompagnava il nome, gli valsero e grado cospicuo di nobiltà, ed ordini cavallereschi, e meglio che ciò, l’amore e la gratitudine del suo paese manifestatigli da questo colle significazioni più unanimi e più sincere nell’ ultimo omaggio resogli al suo trapasso.

Due scienze aveva egli principalmente coltivate nella lunga ed operosa sua vita, e due raccolte avea fatte che a queste scienze si riferiscono, la Botanica cioè col giardino e l’erbario; la Geologia, Mineralogia e Paleontologìa col museo. Quanto alla prima conoscevasene il Parolini più che mezzanamente, sapeva nomi, caratteri, patria e cultura di molte piante. Il suo giardino fu forse il primo nel Veneto che allontanandosi nella disposizione del suolo e delle piantagioni dalla regolarità troppo artificiale e monotona  comune agli altri d’allora, si facesse a ritornare fra noi l’antica foggia costumata in più giardini d’ Italia sin oltre il seicento; la quale ricreata poscia in Inghilterra dal Kent e allargatasi ed abbellitasi, vi pigliò il nuovo ed or comune nome d’inglese. Tostochè il Parolini tornò d’ Inghilterra fin dal 1817 fu tutto in disporre il giardinetto domestico a quella nuova maniera; ma avendone ampliata l’estensione, e mutato l’ordine delle piante, e introdottevene assai di rare e di nuove, ne dispose una parte a modo di giardino botanico, quale appunto si conveniva ad uomo in questo scienza versato. Ond’ è, che allestiti poscia i cataloghi delle piante e dei semi in quello allevati, prese ad offerir l’une e gli altri a’ più cospicui giardini botanici, nonché d’Italia, di Germania e di Francia, che con quello del Parolini tennero sempre attiva corrispondenza. Tai cataloghi publicati più volte contenevano non meno di 2000 a 2500 specie. Vi si allevavano piante da pien’aria, da stanzone e da stufa, ed anche oggidì vi si veggono belle raccolte di Cactee, di Euforbiacee, di Semprevivi, di Stapelie, d’Aloe, di Felci, di piante alpine, e di Conifere in rare specie cd in grandiosi esemplari.Fra queste ultime vuolsi notare per insolite dimensioni un Cupressus macrocarpa e C. Udheana, un pinus Sabiniana, un Salisburia  adiantfolia; e Deodara, e Libocedrus e rare specie di Thuja.Ma sopra tutto arresta lo sguardo e sveglia l’ ammirazione di chi visita quel giardino un superbo e colossale cedro del Libano, che colla perfetta regolarità della forma, la freschezza e il vigore della vegetazione, ed il continuo succedersi delle sue pine che sorgendo ritte sui distesi rami che le sorreggono, quasi invitano a coglierle la mano del riguardante, è senza dubbio il più bel saggio che fra noi cresca di questo celeberrimo albero scritturale. Né fra le Conifere del giardino ricco di rare piante raccolte dal Parolini e portatevi dai suoi viaggi, e d’altre ancora che scomparse dagli altri quivi tuttor si conservano, posso io tacere di un nuovo Pino da lui scoperto nella sommità dell’ Ida  bitinico, e da me descritto e denominato per ricordare il viaggiator benemerito, che prima attrasse l’ attenzionee de’ botanici, su questa pianta sfuggita agli altri che innanzi ad essa visitarono quel monte famoso (* Veggasi la Illustrazione delle piante nuove e rare dell’orto botanico di Padova. Memoria III del prof. R. de Visiani, estratta dal vol. VI delle Memorie dell’Istituto Veneto. Ven.1856, ove alla pag.7 e seg. è descritto il Pinus Parolinii e figurato nella tav. I).

Nè si fu questo il solo giardino, in cui spiegasse il Parolini la sua perizia e il suo gusto, chè altri pure ne pose egli nella nuova maniera. Parecchi del Bassanese furono, almeno in parte, sua opera o suo consiglio: fra’ quali piacemi di ricordare più ch’ altri quello vaghissimo dei conti Dolfin alla Rosà, compiuto poi dal Bagnara, ed altro poco lungi da questo in luogo detto I Cusinati ed appartenente al Parolini stesso, ove già sorgono a bell’ altezza rari alberi sempreverdi. Possessore egli delle celebri grotte, dalla maggior delle quali esce cheto e trasparente l’Oliero, pose ogni curo a renderla tale da richiamarvi quanti sono i cercatori di siffatto genere di naturali curiosità. Perciò, sgombrati rottami e massi che ne sbarravano il varco, si fece il primo ad entrarvi nel 1832 aprendola ai futuri visitatori, che penetrandovi in agile palischermo potessero ammirarvi, schiarate da fiaccole, l’ampie sotterranee volte panneggiate di stalattiti bizzarramente stagliate a frangie, sfilate a trine, spianate in veli, sospese a tende, a cortine specchiantisi e per poco lavantisi nelle cristalline acque del fiume.  Né di ciò pago, sul monte sovrapposto alle grotte piantò macchie di arboscelli stranieri, l’uniforme vegetazione ne dispajò per guisa e con tale arte da non addarsene fuorché il fino conoscitore, e vi segnò sentieri e viottoli mollemente inerpicantisi e flessuosi; passeggio ombroso e gradito a chi si piace di cercar tutto il solitario recesso e cogliere i varii punti e le multiformi vedute che inaspettatamente da quelli gli si discoprono. E queste grotte ispirarono di belle pagine alla melanconica musa di Giorgio Sand: ned avvi anima un po’ inclinata ad una dolce mestizia o ad un pensoso raccoglimento, che non vi si trovi quasi in suo nido, che non senta la seduzione ed il fascino di quegli antri cupi e goccianti, di que’ verdi freschi, di quelle acque gementi, di quel silenzio, di quella pace, non lieta ma profonda ed inalterabile. 

Di tutte le piante coltivate dal Parolini nei cinquanta anni dacché fondò il suo giardino, ne fece egli cogliere e disseccare esemplari istruttivi per formarne, secondo le norme della scienza e colle avvedutezze ch’ essa prescrive per conservarle, un erbario. E questo va ricco di oltre dieci migliaja e mezzo di specie ripartite in due mila trecento e cinquanta generi. In esso, oltre le specie coltivate da lui, ve ne stanno altre moltissime da lui raccolte nei viaggi fatti, o comunicate ad esso d’altri botanici. Fra le prime di tali piante primeggiano quelle dal Parolini stesso  scoperte nella Grecia e nell’ Asia minore e di cui piacque a lui di cedermi l’onore di descriverle e pubblicarle, lo che fu fatto fin dal 1842 nelle Memorie dell’ Istituto (* Illustrazione di alcune piante della Grecia e dell’ Asia minore, del prof. Roberto de Visiani, inserita nel vol. I delle Memorie dell’Istituto Veneto di scienze, lettere e arti. Venezia 1942).

Il sapere botanico del bassanese e le sue benemerenze all’ amabile scienza gli meritarono a giusto titolo quel maggior premio, che questa può concedere a’ suoi cultori, il veder insignite del di lui nome parecchie piante. Fu perciò, che il Decandolle chiamò Centaurea Parolinii una pianta da questo scoperta nell’lda; io un Pino del monte stesso ed una Stachys di Lepanto; il Massalongo una specie di Cissus fossile ed un lichene; lo Zanardini una nuova specie d’ Hildebrandia che tappezza i sassi della grotta d’Oliero ; lo Zigno due felci fossili, cioè una Dickopteris ed una Marzaria; il Beltramini altro lichene; il cav. De Betta una conchiglia che chiamò Clausilia Paroliniana ; il compagno suo nel viaggio d’Oriente, il suo Webb, un nuovo genere di piante crocifere, che nominò Parolinia ornata, ed una conchiglia (Ackatine) viventi entrambi nelle Canarie.

L’erbario suo fu dal Parolini legato al Museo civico bassanese insieme colle sue raccolte goologiche e mineralogiche. E qui per debito di storica sincerità non posso dissimulare, come a coloro che non ignorano quanti e di qual fatta pericoli incontrino di sovente agli erbarii affidali a corpi morali anziché a persone dell’arte, avrebbe sembrato più opportuno e più giusto, che questo del Parolini fosse da lui lasciato a quel suo amabile e dotto genero, il signore Giovanni Ball, che della Botanica possiede in alto grado la conoscenza e l’amore;  sole doti che tali raccolte possano assicurare dai danni dell’incuria e del tempo.  Pure a giustificare in parte la disposizione del Parolini può essere di non lieve peso il riflettere, aver egli ciò fatto, non già per manco di fiducia o d’affetto in colui che meritava e godevasi la piena sua stima (che ciò non potrebbe ammettersi senza offenderne la memoria), si solamente nello intendimento di voler tutte unite le sue raccolte di libri, di manoscritti, di minerali e di piante, e di associarle ancora a quelle non men preziose del suo concittadino, compagno e maestro, l’illustre Brocchi, che nello stesso Museo patrio si custodiscono: e ciò perché, correndo elleno la stessa sorte di queste, fossero ancor più sicure all’ ombra autorevole di un tanto nome. Ed il Municipio bassanese, tocco dalla generosità di un atto, in cui il Parolini antepose l’amore della pubblica utilità a quello della famiglia, saprà per fermo averlo sempre nella debita riverenza, e degnamente apprezzando la nobile fidanza posta dal donatore nelle sue prudenti e costanti sollecitudini a conservarlo, non obbliare giammai come il dono del Parolini, se cede in altro a quello del Brocchi, pel sacrificio morale che gli costò, di gran lunga lo sopravanza. Sebbene nulla stampasse ei di Botanica, giovò pure a cotesta scienza e colle scoperte fatte, e colle piante introdotte nel suo giurdino, e col tenere sempre aperto e questo e l’erbario, e col comunicare liberalmente a quanti nel richiedevano le osservazioni proprie sui caratter e sulla patria e sugli usi delle specie vegetali da lui coltivate o scoperte.

 Ma lo studio prediletto del Parolini si fu la Geognosia e la Mineralogia, delle quali arse in esso più costante e vivo l’ amore istillatogli dal suo Brocchi. Questo si fu lo scopo, se non unico, certamente precipuo de’ suoi viaggi, e perciò le raccolte fattevi sono assai più ricche in questa parte che non in quella de’ vegetabili. Cominciate da lui colle  roccie italiane, la cui raccolta fu fatta contemporaneamente e insieme col Brocchi, sono preziosissime per la geologia nostra, perché illustrate da questo in quel Catalogo ragionato di esse che ne stampò a Milano nel 1817. A queste s’accompagnarono poi tutte te roccie recate di levante e d’altri luoghi dal Parolini; quelle della Siria e dell’ Egitto a lui cesse dal Brocchi, il quale ve n’aggiunse pure altre che da solo aveva scoperte in Italia, ma che non pubblicò mai, benché sopra i saggi cedutine al Parolini si trovino tuttavia i polizzini originali coi nomi ad essi imposti dal Brocchi. Le roccie italiane del museo, che il Parolini con un atto di annegazione generosa donò ancor vivente alla patria, sono disposte per ordine geografico e secondo il sopraddetto Catalogo. Perciò vi si mostrano prime quelle delle Romagne, poi del Napoletano, della Sicilia, della Toscana, di Genova, di Torino, di Lombardia, del Veneto. Succedono alle italiane alcune roccie d’ Inghilterra e d’ Irlanda, d’ Alemagna, d’Olanda, della Svizzera, del Tirolo, poi della Francia. Seguita a questa una collezione di roccie classificate secondo la nomenclatura del Werner, tra le quali è notevole quella dei Graniti d’Europa e d’Africa in quarantaquattro saggi. Tengono dietro ad esse le roccie e i minerali della Grecia, dell’ Asia minore, del Libano, della Siria, d’Egitto e della Tebaide. Alle roccie poi fanno sèguito le Conchiglie naturali e fossili denominate secondo il Lamarck, e molte ancora tuttor anonime fra quelle raccolte dal Brocchi e dal Parolini. Nè vi mancano di molti Trachelipodi, Zoofagi marini, Amorfozoi innominati e parecchie Filliti. Chiude la doviziosa raccolta una di minerali secondo il Werner, ed un’ ultima di metalli. Questa cospicua collezione novera dai 25 ai 26000 saggi, de’ quali moltissimi si distinguono per essere perfetti ed istruttivi, altri per rarità, altri ancora per la molteplicità de’ luoghi da cui provennero; la massima parte poi per la esattezza della nomenclatura scientifica e per le note del Parolini o d’altri illustri geologi, che gli accompagnano. Ma basterebbero anche sole ad attestare l’alta importanza del Museo Parolini la raccolta delle roccie italiche studiata e nominata dal Brocchi, quella fatta dal Parolini stesso nelle isole dell’ Arcipelago, nella Grecia, lungo il Bosforo e nell’ Asia minore illustrate già dal de Buch e dal Bouè, e quella delle Conchiglie fossili subapennine, che fornirono il soggetto all’ opera più cospicua del Brocchi stesso. Ora questo prezioso cumulo di tutta sorta di naturali ricchezze è il dono fatto dal Parolini alla sua diletta Bassano, che saprà trovar modo non solo di tutelarne l’immutabile integrità, sì ancora di renderlo utile a’ suoi ed alla scienza, cogliendo così il doppio scopo propostosi da entrambi i donatori nell’ offerirglielo.

Poche cose stampò il Parolini delle cose vedute nei proprii viaggi (*Tale si é una sua lettera diretta al Brocchi da Palermo li’ 5 di giugno del 1820 e stampata nella Biblioteca italiana dell’ anno stesso, che dà notizie del suo viaggio nella Grecia e nell’ Asia minore, stampò altresì una Nota sulla sospensione temporanea del corso dell’Oliero letta all’ Istituto veneto nel 1858 e pubblicata da questo nel vol. III, serie III dei proprii Atti.)  ma i suoi giornali, da cui trassi le notizie tutte che ho qui compendiate, sono ricchi di annotazioni originali ed utilissime, anche perché fatte sul luogo; le quali riguardando non solo la storia naturale, sì ancora la storia civile e politica, l’indole, le costumanze e le industrie dei paesi e dei popoli da lui visitati, rivelano in esso un’ avidità di sapere instancabile, un fino spirito di osservazione, una diligenza minuziosa, una grande aggiustatezza e  e solidità di giudizio. 

Fu egli conoscente o corrispondente di parecchi dei più illustri scienziati del nostro secolo, fra’ quali piacemi di segnalarne alcuno, quali nella botanica il Tenore a Napoli, Gaetano Savi a Pisa, Moris a Torino, Bertoloni a Bologna,  Decandolle figlio a Ginevra, Gay e Webb (* Il nuovo genere di Crocifera del Webb al suo Parolini nella magnifica opera pubblicata da lui e dal Berthelot sulla Flora delle Canarie, porta il nome di Parolinia ornata ed è rappresentata nella tavoletta qui annessa) a Parigi, Fèe a Strasburgo, Humboldt a Berlino, Jacquin a Vienna. Tra’ geologi voglionsi nominare il Breislak, il Brocchi, il Marzari, il Maraschini, il Catullo, il Pasini, il Pareto, il Pilla in Italia; il Brochant, Alessandro Brongniart, l’ Hauy, il Bouè, il Vernueille in Francia; il Pentland, il Murchison in Inghilterra ; il De Buch, l’ Ewald, l’Haidiager, l’Hauer in Germania; tra’ fisici il Brugnatelli, il Configliachi, il de Saussure; fra’ letterati il Bianchetti, il Barbieri, il Bellotti, il Monti. Di tutti questi e d’ altri molti chiari uomini serbansi presso gli eredi del Parolini gli autografi comprovanti la stima affettuosa che gli portavano. Locchè senza questo sarebbe facilmente creduto da quanti conoscevano anche mezzanamente non solo la capacità scientifica, sì e più la urbanità dei modi, e la moderazione, e la prudenza, e l’osservanza scrupolosa d’ogni sociale riguardo, ch’ erano prerogative costanti del Parolini che gli amici conservavangli, e ne disarmavano perfino i malevoli.

Della ritrosia sua nello scrivere e nel dare alle stampe soleva egli addur per iscusa la scarsa istituzione letteraria, che lamentava essere stata negletta ne’ primi anni : nel che però la sua modestia il portava a trascendere, perché anche in quel poco ch’ ei pubblicò, usò sempre un dettato semplice ma facile, chiaro, piano e corretto, qual si addice alle scritture scientifiche, e nello stesso modo sono pur anche scritti i suoi Giornali di viaggio, quantunque compilati in fretta, dettati senz’arte, e fatti solo per us0 proprio. 

Allorchè il Parolini, affranto dall’età del corpo, ma gagliardo ancor della mente, veniva a morte nell’ età di anni 79 incompiuti, aveva ancora due figlie, sole superstiti che gli lasciasse, morendo in ancor fresca età, un’amabilissima e a lui carissima moglie, Giulia Londonio. 

Ma la maggiore  di queste, varcato di poco il mezzo del cammin della vita, logora lentamente da incurabile morbo, cinque mesi dopo lo seguia nel  sepolcro. Era una forte e virtuosa donna, di mente giusta ed aperta, di modi schietti e cortesi, di molto e vario sapere. Sebbene degli studii naturali e particolarmente di quelli delle piante conoscentissima, nè di questi nè d’ altri , in cui pur valeva, faceva altr’uso ne’ convegni sociali che assai sobrio, guardingo, opportuno. L’aspetto suo, più che avvenente, simpatico; il guardo benigno, ma fermo ed osservatore ; il suon della voce molle, aggradevole ; nelle movenze parca e naturalmente aggraziata; nel discorso facile, persuasiva, vivace; il riso raro; più frequente un sorriso leggero, infiorato di non so qual mesta dolcezza, che abbellivale i lineamenti e crescevane l’ espressione. Pace alla bell’ anima d’ Elisa! Essa portò seco l’ amor costante instancabile del raro marito, dell’ affettuosa sorella, la stima e il rimpianto di quanti ebber agio di apprezzar da vicino le varie ed elette doti che l’adornavano. 

All’ altra figlia Antonietta, che stette più lungamente da presso al padre, affidò questi il prediletto giardino e l’ amenissima Oliero. Ed essa che all’ esercizio delle virtù domestiche accoppia l’amore e il culto del bello, saprà farsi della volontà del padre una legge, conservando con pia cura questi oggetti a lui tanto cari, e che a lui tutto debbono, affinché durino lungamente a segnalato lustro, nonchè del nome del Parolini, del paese che se ne tiene. Fu egli vantaggiato di forme, snello della persona, leggiadro nelle fattezze; della favella impacciato e non pertanto del conversar voglioso ed arguto e piacevole; di ingegno più considerato che rapido;  di criterio meglio sodo che acuto; più abile al fare che spedito al risolvere; più facile all’ osservar che al dedurre; cupidissimo di sapere e perciò insistente, incontentabile nell’ esaminare e nel chiedere ; non ardito ma coraggioso; delle opinioni tenace:  del bello amantissimo sotto qualsivoglia forma morale o fisica, letteraria od artistica; fermo nelle amicizie; dell’onesto, del vero propugnatore inflessibile ed incorrotto. 

Lascia egli nel suo Museo, ne’ suoi Giornali fruttuoso campo di osservazioni e di studio; lascia nel suo Giardino, negli accresciuti ornamenti della sua patria monumenti non eterni, perché nulla è tale quaggiù, ma durevoli, del suo amore alle scienze, utili al suo diletto paese; nelle testimoniaze resegli pur dopo morte lascia infine una nuova prova, come la fama intemerata, guadagnatasi cogli studii, colla operosità bene spesa, coll’ uso sapiente delle fortune, sopraviva al sepolcro, e si meriti il più nobile dei compensi, la stima, e la gratitudine de’ superstiti.

FONTE DOCUMENTALE

ATTI DEL REGIO ISTITUTO VENETO DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI. Dal Novembre 1866 all’Ottobre 1867. Venezia, presso la Segreteria dell’Istituto nel Palazzo Ducale, 1866-1867.

 

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