MUSSOLENTE – 08 – LA CHIESA DI CASONI

LA CHIESA DI CASONI

di Vasco Bordignon

CASONI, provenienza del nome secondo il Brentari

“Quando furono tagliati i boschi, ed i terreni messi a campi o prati, sorsero su questi case, o casoni, che servivano dapprima per i pastori e per le mandre come rifugio nella notte, e che poi, cresciuti di numero e solidità, si cambiarono in paesi, conservando qualche volta il nome di case o casoni dato loro dagli abitanti. Tale è la origine etimologica del nome dei Casoni di Mussolente, come pure degli omonimi villaggi che si trovano nella provincie di Alessandria, di Ascoli, Bologna e Modena.(pagg. 154 di Storia di Bassano e del suo territorio di Ottone Brentari, Bassano, Stabilimento Tipografico Sante Pozzato, 1884)

BREVE STORIA DELLA CHIESA

Leggendo la “Storia di Bassano” di Ottone Brentari del 1884 e lo scritto di Gabriele Farronato “Cenni sull’origine della benedettina chiesa di Casoni” presente nel libro “MUSSOLENTE CASONI TERRA DI MISQUILE “ del 1982 si può, con ragionevole certezza, pensare che l’attuale chiesa sia sorta nella campagna misquilese nel lontano 1085 quando i nobili di allora tali Ermiza figlia di Berengario, Ezelo figlio di Arpone e India con Tiso e Gerardo donarono numerose masserie, cioè terreni con casa e lavoratori, a varie istituzioni religiose come la chiesa di San Daniele presente nella campagna di Mussolente.

Di San Daniele non abbiamo dati sicuri. Si presume che sia stato un diacono che morì probabilmente durante le persecuzioni di Diocleziano nel IV secolo. Le sue spoglie si trovavano assieme a molte altre nel sottosuolo della Basilica benedettina di Santa Giustina di Padova perché erano state occultate durante le incursioni barbariche. Poi non si ebbero più notizie e questo santo venne dimenticato. Una leggenda racconta come il santo apparve ad un cieco della Tucsia (Etruria) dicendogli di andare a pregare nell’oratorio di San Prosdocimo a Padova, dove vi erano le sue spoglie e qui avrebbe riavuto la vista. Il miracolo avvenne e così i padovani dopo varie ricerche trovarono l’arca dove il sanato era stato nascosto. Nel 1076 il vescovo Ulderico decise di erigere una chiesa in suo onore e successivamente gli furono dedicati altri luoghi di preghiera, tra i quali quello di Casoni.

Tale chiesetta viene citata anche nel 1575, sotto la diocesi di Belluno e dipendente da Sant’Eufemia. Si ha pure notizia che in quegli anni venne cambiato il santo protettore: da San Daniele a San Rocco, venuto in auge come liberatore della peste già causa di innumerevoli morti fin dalla fine del 14° secolo. Nei 1603 questa chiesa diventò sede curaziale.  Nel 1676 la chiesa fu ingrandita. Nel 1796 fu rifabbricata dalle fondamenta. Non si conosce il nome dell’architetto. Nel 1802 venne consacrata dal vescovo di Belluno Sebastiano Alcaini. Nel 1818 passò sotto la diocesi di Treviso. Verso la metà dell’800 si raggiunse l’attuale conformazione planimetrica e volumetrica. Nel 1930: costruzione del primo altare a sinistra, affiancato da un battistero; e nel 1940: costruzione dell’altare a destra.  Anni 1942-1943. Tra il 10 e il 11 settembre 1942 rovinò una parte dell’affresco presente sul soffitto della navata a causa di una scarsa adesione della malta alle stecche di supporto. I lavori di ripristino furono seguiti dall’arch. Fausto Scudo di Crespano; mentre il restauro fu eseguito inizio 1943 dal prof. Giovanni Bastianello. Nel decennio 1950-1960 importanti lavori di restauro sull’intera chiesa: la decorazione di pareti e soffitti furono progettate dal prof. Angelo Gatto; le basi delle murature e delle pareti interne furono rivestite di marmo; gli infissi furono rinnovati con altri in ferro e cristallo; la facciata e le parei esterne furono anch’esse restaurate. Nel 1987 si effettuarono lavori di ristrutturazione della copertura della navata, come pure quella dei locali accessori (sacrestia, cappella e nicchie). Nel 1988 si eseguirono lavori di manutenzione straordinaria riferiti a impianti, tinteggiature, intonaci e stucchi sia all’interno che all’esterno dell’edificio. Vennero inoltre realizzati i servizi igienici in un angolo della cappellina invernale. Nel 2000 venne eseguito restauro di parte dell’affresco lesionato per infiltrazioni d’acqua. A causa dell’umidità di risalita su alcune murature perimetrali venne deciso di rimuovere lo strato di intonaco alla base delle murature stesse.

L’ ESTERNO

La chiesa attuale rappresenta il raggiungimento definitivo dei vari interventi succedutesi nei secoli, e per questo si vedono differenze sui quattro lati della chiesa, chiesa che è costruita secondo l’asse est-ovest.

LATO EST LATO OVEST con campanile LATO SUDLATO NORDLATO NORD, DETTAGLIO

LA FACCIATA

La facciata, intonacata e dipinta di bianco, è caratterizzata da un ordine gigante di quattro semi-colonne con capitello corinzio, sovrastate da un timpano triangolare all’interno del quale vi è un rosone con foglie di acanto. Inferiormente le colonne poggiano su alti basamenti che includono tre lapidi commemorative sia a destra che a sinistra dell’ingresso. Sulla sommità della facciata vi sono tre statue acroteriali, cioè poste ai lati e al centro: raffiguranti la Madonna a sinistra, San Rocco al centro e San Giacomo a destra.la facciata nel suo insieme – immagine 2021la facciata nel suo insieme – immagine 2022il rosone al centro del timpano triangolare e più in alto le tre statue acroterialila Madonna a sinistra San Rocco in centroSan Giacomo a destra

LE LAPIDI, come detto, sono sei, tre a destra e tre a sinistra. Di ogni gruppo due lapidi sono addossate al basamento e una lapideè adossato alla parete della facciata. Le loro immagini vanno da destra a sinistra, dalla prima alla sesta  e sono accompagnate dagli scritti presenti. La seconda lapide è molto rovinata e quanto rilevato potrebbe essere non corretto: in questo caso trroverete  accanto un punto di domanda.

prima lapide: ALLA / CARA MEMORIA /DI / D. GIROLAMO MICHIELI / PER TRE LUSTRI / PARROCO DI CASONI / PER ZELO INSTANCABILE / PER GRANDEZZA DI CUORE / COMMENDATISSIMO / A 65 ANNI TOLTO ALL’AMORE DEI SUOI FIGLI / IL 2 SETTENBRE 1884 / PRIMO ANNIVERSARIO DI SUA PREZIOSA MORTE / I FABBRICIERI E PARROCCHIANI RICONOSCENTI /QUESTO MONUMENTO/ POSEROseconda lapide (molto rovinata) : A / CARLO DE ROTTEE / PRIMO TENENTE DEL ?? REGGIMENTO / DI FANTERIA AUSTRUACA / AI CASONI NEL GIORNO 30 DI OTTOBRE 1813  / UCCISO IN EROICA DIFESA / CONTRO LE TRUPPE DEL VICERE’ EUGENIO BEAUAHARNAIS / IL FIGLIO EDOARDO I.R. COLONELLO E COMANDANTE / QUESTA LAPIDE P.(OSE) / L‘ANNO 1853.

terza lapide: A PERENNE RICORDANZA / DEI LAGRIMATI GENITORI /ANTONIO MICHIELI D’A.(anni) 71 / E MADDALENA DINDO D’A(nni) 72 / MORTI AMBEDUE IN 12 GIORNI / NEL DECIMO A. 1853 / E ALLA CARA MEMORIA / DI CATERINA MICHIELI D. A.(nni) 24 / MORTA PUERPERA IL 24 AG0. 1854 / E DI APPOLLONIA MICHIELI / CHE NUBILE D. ANNI 28 MORIVA / IL 7 7B (settenbre)  (settenbre) 1840 / E DI MARGARITA CUCCAROLLO D. A. 44 / MOGLIE A FELICE MICHIELI / REPENTINAMENTE TOLTA / IL 20 9B  (novenbre) 1847 / E DI ANGELA SANDRO D. A. 17 / MOGLIE A LUIGI MICHIELI / PER CHOLERA RAPITA NEL 1855 / IL SAC. D. GIROLAMO CON FRATELLI / DOLENTI quarta lapide: ETERNA PACE / ALL’ANIMA BENEDETTA / DI D. GIUSEPPE FAVERO PARROCO / PER CARITA’ VERSO I POVERI / PER DOTTRINA ERUDIZIONE FECONDA / PRESTANTISSIMO / NELLA BENEDIZIONE DEL SUO POPOLO / CHE RESSE PER ANNI VENTI / D’ANNI 67 MORIVA / IL 26 7BRE (settenbre)  1833 / LASCIANDO ALLA CHIESA / MOLTI ARREDI SACRI / E UN PREZIOSISSIMO CALICE / I POPOLANI RICONOSCENTI / A PEGNO DI VERACE AFFETTO/ QUESTO MONUMENTO / A TANTO PASTORE / P. (osero)quinta lapide: A / VINCENZO ALLEGRI / D’ONESTI E RELIGIOSI COSTUMI / D’INGEGNO PREVIDENTE E SOLERTE / AMATISSIMO BENEFICENTISSIMO DE SUO / CHE IL GIORNO XVI LUGLIO MDCCCXXX / LA SUA LUNGA E SEMPRE OPEROSA CARRIERA / D’ANNI LXXXVII COMPI’ / QUESTO PEGNO DI GRATA E AFFETTUOSA / RICONOSCENZA / DOMENICO FIGLIO P. (ose)sesta lapide: A / D. PIETRO ZANARDI / SACERDOTE TRIVIGIANO / PASTORE DI QUESTA CURA 33 ANNI / PER MITEZZA PRUDENZA AMABILITA’ / CARO AGLI AMICI / LODATO DA BUONI ONORATO DA TUTTI / NEL DI’ 28 GENNAIO 1868 / INCOMPIUTI TREDICI LUSTRI / MANCO’ QUASI D’IMPROVVISO / A DOLORE E PIANTO / DEI POPOLANI.

IL CAMPANILE

Il campanile è una struttura autonoma, posta a sud-ovest della chiesa, in muratura a vista, a pianta quadrata. Fu costruito tra il 1766 e il 1813. Le campane provengono dalla famosa fonderia Colbacchini di Bassano. Nel 1978 sono state rifuse. Le attuali campane sono in numero di sei e hanno i seguenti nomi: Santa Maria, San Rocco, San Liberale, Sant’Anna e San Gabriele.

Quanto è alto? Dal piano fino alla cella campanaria sono stati misurati 50 metri; quindi possiamo pensare che sia alto comprendendo la cella camanaria e la parte finale tra i 60 e i 65 metri.Campanile visto dal termine della piazza Campanile visto da est la cella campanaria e parte terminale

L’INTERNO

VISIONI D’INSIEME

Entriando nella chiesa possiamo vedere l’insieme del suo interno, caratterizzato da un’unica navata che prosegue, mediante tre gradini,  nel presbiterio e da una stretta abside. Ogni lato della navata accoglie tre nicchie ,  delimitate  da paraste o lesene provviste di capitello e separate tra di loro da spazi  che nella parte sueriore  sono arricchiti da stucchi figurativi o  simbolici, mentre nei quadranti inferiori da stucchi lineari. Talora i suddetti quadranti inferiori sono occupati da strutture per la  climatizzazione  o per la presenza di lapidi cammemorative o da porte.

il presbiterio e l’abside visto dall’entratalato sinistro della navala lato destro della navata cantoria ed organo da presbiterio

LE DECORAZONI A STUCCO TRA LE PARASTE O LESENE

A SINISTRA DA INIZIO A FINE NAVATA

decorazione a stucco di strumenti musicali, seguono rami con fiori e frutti

decorazione a stucco con strumenti musicali nella parte più alta, segue la  lapide marmorea della consacrazione della chiesa

decorazione a stucco di vari elementi musicali – a seguire più in basso la griglia di climatizzazione

A DESTRA DA INZIO A FINE NAVATA

in alto decorazioni a stucco con strumenti musicali, seguono rami con fiori e frutti

in alto decorazione a stucco con strumenti musicali e più sotto la lapide della consacrazione del vescovo Cuccarollo

In altri decorazioni a stucco (di che cosa?) , quindi rami con fiori e frutti e in basso una campanella

LE NICCHIE di SINISTRA e di DESTRA

dall’entrata al presbiterio

A sinistra, entrando,  vi è la zona battesimale (chiusa da un cancelletto in ferro battuto recante una serie di lettere che  unite recitano “EFFVNDAM SVPER VOS AQUAM MVNDAM (= EFFONDI SU DI NOI L’ACQUA PURIFICATRICE) . Superato il cancelletto, vi è, rialzata dalla base, la struttura  del catino battesimale racchiuso entro un guscio metallico, le cui ante sono arricchite da due palme lussureggianti.  Sopra e sotto troviamo rispettivamente  questo scritto :” IVSTI FLOREBVNT” e “DE FONTIBUS SALVATORIS”  significanto “I GIUSTI FIORIRANNO DALLA FONTE DEL SALVATORE”.  La struttura battesimale termina con una grande opera statuaria dello scultore Francesco Rebesco raffigurante il battesimo di Gesù eseguito da San Giovanni Battista.  All’interno della zona battesimale troviamo a sinistra una statua di Sant’Anna e a destra una statua lignea di San Rocco con un cane, un bassotto.ì, opera firmata di Ferdinando Demetz. (1842 – 1902)

l’altare nel suo insiemel’opera di Francesco Rebesco dettaglio del precedenteil battistero chiuso dalle ante metalliche  con le scritte sopra e sotto e con le due palme decorative a sbalzo le palme decorativel’interno nella sua essenzialità l’antica statua lignea di san Roccodettaglioil cane (un bassotto) che porta del cibo al Santola statua moderna di Sant’Annala chiusura in ferro battuto con l’iscrizione “EFFVNDAM SVPER VOS AQUAM MVNDAM (= EFFONDI SU DI NOI L’ACQUA PURIFICATRICE)

A destra , entrando,  un altare dedicato a Sant’Anna. Vi è infatti una grande pala con Maria e sua madre Anna. La madre sta insegnando alla figlia Maria a leggere le pagine della  Bibbia. E’ opera, olio su tela, di circa 250×100 cm, del 1992, del pittore bulgaro Ivan Uzonov. Il paliotto dell’altare è di semplice fattura con segmenti marmorei orizzonatali , che centralmente diventano  verticali, dai quali spicca centralmente una croce  con un giglio fiorito sia a destra che a sinistra. A metà circa di questa immagine si trova una scritta ” VIRGA IESSE”, ricordando che da questo albero (genealogico) discese Re David e  anche Gesù.l’altare nella sua totalità, attorniato da libri religiosi e altroil paliottoparticolare della pala

NOTA  – I successivi  altari, due a destra e due a sinistra, sono impregnati di barocco, quindi con grande dovizia di forme, di creazioni, di colori, ecc. per rendere il tutto stupefacente, sbalorditivo.  Questi quattro altari  sono abbastanza simili. Alla base vi sono due gradini, l’ultimo chiamato anche predella, a volte con “rimessi” di marmi (vedi oltre), cui segue un altare con  un paliotto marmoreo. Dall’altare fa seguito la pala  relativa a Santi e/o alla Madonna.  Questo insieme centrale è fin dalla base accompagnato verso l’alto da quattro colonne (due a destra e due a sinistra)  che, al loro termine,  realizzano un timpano, all’interno del quale vi sono altre strutture decorative che rappresentano la parte più elevata o fastigio. Questa complessa struttura  utilizza una grande varietà di marmi, che per esaltare ulteriormente la scenografia, vengono abbelliti e/o arricchiti da  una serie di tarsie marmoree realizzate con la tecnica dei “rimessi”, permettendo così un risparmio notevole sui costi.  Per comprendere meglio  la  tecnica  dei “rimessi” e le sue motivazioni,  aggiungo parte di uno scritto dell’architetto bassanese Fabio Sbordone: ” . . .Nell’esecuzione di grandi elementi monolitici (come le colonne) con i costosissimi marmi colorati di lontana provenienza era economicamente preclusa alla normale committenza locale; non restava quindi che ricorrere alle pietre policrome di pregio (anche se locali) utilizzandone solo frammenti di minor dimensione. Segandoli faticosamente a mano in lastre di spessore anche vicino al centimetro, si ricavavano da quelli i rimessi marmorei che, inseriti (o incassati) e appropriatamente sagomati nelle sedi (le casse) predisposte a intaglio nelle parti strutturali e poi accuratamente stuccati e lucidati, avrebbero formato i pannelli policromi (le macchie) di piedistalli e antipendi, ma avrebbero anche rivestito le complesse superfici curve di colonne, fregi e modanature”.

Proseguendo a sinistra vi è un altare, eretto tra il 1734 e il 1735, dedicato a tre santi raffigurati nella grande pala,  olio su tela, firmata  Paolo Piazza (1557 – 1621): al centro San Francesco di Paola che stringe una lunga pertica indicante  la  scritta ” carità,”  in colore rosso nella parte sommitale della pala;  a sinistra un vecchio San Giuseppe con un ramo fiorito, e a destra un giovane, baffuto,   Sant’Antonio di Padova che tiene in mano un giglio in fiore. l’altare nel suo insieme la parte sommitale Il paliotto marmoreo con putti, cuore centrale con ampie volute laterali e  due pilastrini decorati sfasati in avanti.la pala nel suo insiemela scritta CHARITAS San Giuseppe San  Francesco di Paola Sant’Antonio di Padova

A destra vi è l’altare di Cristo Crocefisso con un dipinto, olio su tela, di autore ignoto. Il dipinto manifesta tutta la  sua sofferenza del Cristo a causa  delle membra allungate e straziate  dai chiodi della crocifissione. Misura 250×85 cm e eseguito tra il 1700 e il 1724 .altare nella sua grandezzaparte superiore con angeli l’altare nel suo insieme il crocefissoil crocefisso,  dettaglioil paliotto simile a quello precedente

Proseguendo a sinistra vi è l’altare della Madonna del Rosario. E’ un’opera lignea posta all’interno di una teca. Viene portata in processione ogni anno a novembre . Ai lati della nicchia vi sono due statue marmoree: a sinistra San Domenico di Guzman e a destra Santa Rosa da Lima, considerati i paladini del Santo Rosario. Nella parte sommitale vi sono 5 angioletti. E’ del 1796-1802. Interessante il paliotto ad intarsio. Secondo alcuni questo altare è del Tabacco, pare certo per il paliotto. L’altare è privilegiato fin dal 1703.L’altare nel suo insieme – Al centro vi è una nera fascia che ricorda il vecchio tabernacolo, succcessivamente poi murato.la parte sommitale con angeli e al centro la scritta sottostantealtare privilegiatola nicchia con la statua della Madonna e il bambino Gesù con ai lati i Santi del Santo Rosariola staua della Madonna nella nicchia la staua di Santa Rosa da Lima la statua di san Domenico di Guzmanil Paliotto con numerorissime tessere marmoreela Madonna al centro  e ai lati  due santi (sono gli stessi?)un santo l’altro santo

la statua della Madonna esposta in chiesa, sotto a maggior dettaglio

Quindi a destra vi è l’altare del Sacro Cuore per la presenza di un grande dipinto (300×170 cm) con l’immagine di Gesù che offre i suo cuore per la nostra salvezza. Viene datato fine ottocento. Il dipinto è firmato M. Barberis di Roma.l’altare nel suo insiemela parte sommitalela pala dettagliopaliotto dettaglio della figura centrale

La cantoria e l’organo

Giunti ai piedi del presbiterio, ci giriamo e vediamo verso la fine della navata la struttura in legno della cantoria all’interno della quale si trova funzionante un pregevole organo della ditta “Premiata Fabbrica Organari Moderni e riparazione Pianoforti dei fratelli Giacobbi Maggiotto”, portato a termine nel 1852. E’ dotato di 105o canne tra piccole medie e grandi. Il recente restauro è stato realizzato dalla “Premiata Fabbrica Organi, Cav. Francesco Zanin di Codroipo (UD”.  La cantoria è arricchita dalle composizioni lignee di Aristide Stefani (Angarano 21 maggio 1869 – Bassano del Grappa 13 dicenbre 1953).cantoria ed organo visto dala fine dell’aulamodiglioni di sostegno della cantoria, presenti a destra e a sinistra decoro ligneo centralealtro decoro ligneoaltro decoro ligneol’organo restaurato dei fratelli Giacobbi Maggiotto

Il soffitto

Poi alziamo poi gli occhi per ammirare il grande affresco di Giambattista Canal che rappresenta i Santi Rocco e Sebastiano portati in cielo al cospetto della SS. Trinità (vi è il Padre Eterno, Gesù con la Croce e lo Spirito Santo in forma di colomba, e attorniati da nugoli di santi. L’autore è Giambattista Canal (Venezia 10 settembre 1745 – Venezia 5 dicembre 1825).

la pala vista in senso verticalela pala vista in senso orizzontale dettaglio: ascesa al cielo di San Rocco e San Sebastiano  dettaglio: la Colomba, Gesù con la Croce e il Padre Eternol

LA VIA CRUCIS

le pareti della navata sono impreziosite da una  intensa e commovente Via Crucis ideata e disegnata tra il 1795 e il 1801 dall’artista Luigi Sabatelli (Firenze 21 febbraio 1772 – Milano 29 gennaio 1850).Prima stazione – Gesù condannato a morteSeconda stazione – Gesù riceve la croce sopra le spalleTerza stazione – Gesù cade la prima volta sotto la croceQuarta stazione – Gesù incontra la sua santissima MadreQuinta stazione – Gesù aiutato dal CireneoSesta stazione – Gesù asciugato dalla VeronicaSettima stazione – Gesù cade la seconda volta sotto la CroceOttava stazione – Gesù consola le donne di GerusalemmeNona stazione – Gesù cade la terza volta sotto la CroceDecima stazione – Gesù spogliato e abbeverato di fieleUndicesima stazione – Gesù inchiodato in CroceDodicesima stazione – Gesù innalzato e morto in CroceTredicesima stazione – Gesù deposto dalla CroceQuattordicesima stazione – Gesù posto nel Sacro Sepolto

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Prima di salire in presbiterio absidato, vi sono due porte: quella di sinistra apre ad una cappella cosiddetta invernale, quella di destra apre alla sacrestia. Al di sopra di queste porte vi sono due dipinti che non hanno paternità nè data.

questo è il dipintio di sinistra nel quale in alto vi è la Madonna nell’atto di accogliere un moribondo (probabilmente un santo) accompagnato da due angeli.questo è il dipinto di destra. Qui la lettura è evidente: un angelo è sceso dal cielo per guarire la ferita di San Rocco. L’autore e la data sono sconosciute.

IL PRESBITERIO ABSIDATO

Visione d’insieme della zona presbiteriale. Nella zona anteriore vi è l’altare conciliare con il quale il sacerdote, durante la celebrazione della Santa Messa,  si pone davantii ai fedeli.

Segue il grande  altare sacramentale in marmo con al centro un luminoso  tabernacolo, che a sua volta, sia a destra che a sinistra,  è accompagnato da uno sviluppo architettonico, a forma di tempietto per le parti esterne, e a forma di nicchia per le parti adiacenti al tabernacolo.  Nei tempietti sono allocati a destra San Rocco e  a sinistra San Sebastiano, nelle nicchie due angel oranti. Tale altare venne progettato dal pittore architetto Antonio Beni  (1866-1941) e realizzato dallo scultore Vincenzo Cadorin (1854-1925).   Venne inaugurato nel

dettaglio del tabernacolo

Il taberacolo è posizionato all’interno di una alta nicchia che accoglie  un crocefisso.  Al di sopra  prosegue con una copertura ovale al centro della quale si erge un ulteriore crocefisso marmoreo. Tale sviiluppo  va a ricoprire la Pala dei Santi Rocco e San Giacomo: per questo motivo la sua visione è parziale. Il dipinto è del Volpato Giovanni Battista.la pala, cm 260×130,  come si dovrebbe vedere. (questa immagine è tratta dal libro di Elia Bordignon Favero)

PALIOTTO

Il paliotto nella sua interezza  e sotto la parte centrale

dipinti ai lati dell’altare

Ai lati dell’altare vi sono due ovali pittorici che richiamano a sinistra  la Crocifissione e a destra  la Resurrezione di Gesù, opere di Ivan Uzonov.

IL BALDACCHINOsull’archivolto, al di sopra della presa del baldacchino, vi è questa frase in latino: COMEDITE PANEM MEUM che significa “Mangia il mio Pane”.In alto, sopra l’altare, dall’archivolto delimitante l’abside, pende il baldacchino, di cui sopra vediamo le decorazioni con una colomba stilizzata e successivamente la decorazione interna.

Sulla parete ovest dell’abside si trova la succitata pala di San Rocco e di San Giacomo, la cui visione è limitata.  –

Dipinti presenti sulle pareti nord e sud del presbiterio

Dipinto, olio su tela, attribuito alla scuola dei Dal Pointe: viene raffigurata la Madonna col Bambino e  ai lati San Rocco e San Sebastiano. Vi è anche in basso un volto forse del donatore .A  destra il dipinto di Ivan Uzonov che ricorda la parabola del Figliol Prodigo

il soffitto del presbiterio

Ai quattro lati si scorgono decorazioni a stucco, decorazioni che si staccano dal tondo centrale affrescato da Giambattista Canal, lo stesso artista dell’affresco del soffitto della navata.

questo affresco rappresenta le tre virtù teologali: la Fede, al centro, vestita di  bianco con la fiaccola  della luce divina,  a lato e più sotto vediamo la Speranza che tiene al petto l’ancora della Salvezza, e più sotto e verso sinistra la Carità indicata di color rosso mentre sta allattando un neonato come una madre.

Dai bordi dell’affresco partono degli stucchi colorati che si allungno verso i quattro angoli della struttura reazliando quattro stucchi  significativele tavole della Leggela croce da portare come ha fatto Gesùla Chiesa e l’Eucarestiala porta del Paradiso (?)

fonti bibliografiche

Alla scoperta della Chiesa di Casoni, Grafiche Novesi, 2002

Antonio Beni 1865 – 1941 – Pittore Architetto. Edizioni Stilus, 2013

CEI – Conferenza Episcopale Italiana – Servizio Informatico – Ufficio per i Beni cultirali Ecclesiastici e l’edilizia di culto – Diocesi di Treviso – Inventario dei beni culturali immobili – Chiesa di San Rocco – Casoni , Mussolente. Data ultima modifica: 17-01-2020

Gli Stefani: una famiglia di intagliatori fra Ottocento e Novecento, in ARTE IN ANGARANO. Quaderni di San Giorgio alle Acque, 3. Comitato di San Giorgio alle Acque, aprile 2022.

Giovanni Battista Volpato critico e pittore, di Elia Bordignon Favero, De’ Longhi S.p.A., 1994

La bottega Cadorin. Una dinastia di artisti Veneziani. Antiga edizioni, 2016

Mussolente Casoni Terra di Misquiie, Autori Vari. Tipografia Minchio, 1982

 

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BREVI NOTE SUGLI AUTORI

BARBERIS MARIO – Mario Barberis nacque a Roma il 27 giugno 1893. Svolse gli studi classici presso il liceo Torquato Tasso della capitale. Esordì con una esposizione alla Amatori e Cultori delle Belle Arti di Roma e, contrariamente ai progetti del padre che lo voleva laureato in Giurisprudenza, approfittò dell’ospitalità di uno zio paterno e fece domanda di ammissione all’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino. La Prima Guerra Mondiale lo costrinse però a interrompere gli studi. Soldato semplice fino al 1918 nel reparto Genio Aerostieri, documentò scene ed episodi di guerra, tra cui la ritirata di Caporetto. Eseguì in questo periodo bellico anche i disegni di navi e di aerei militari e numerose cartoline propagandistiche di ispirazione liberty. A guerra finita, tornò a Roma e realizzò manifesti e bozzetti di scena per il mondo dell’editoria e della nascente industria cinematografica. Nonostante la prevalenza dei motivi religiosi, si segnala anche la sua produzione di illustratore per il regime sebbene Barberis – a dispetto dell’amicizia che lo legò a Giuseppe Bottai dai tempi del liceo Tasso – non ebbe mai la tessera del partito. Fuori dagli stretti vincoli delle commissioni, le sue opere hanno connotazioni divisioniste e cubo-futuriste. Eseguì anche lavori soprattutto a pastello, spesso recanti un monogramma – Mario Antonio Barberis – accompagnato dalla svastica buddista iscritta all’interno di un cerchi, tra i quali: I solchiLa porta schiusaLa ruota dei secoliLo specchio dell’iride. Gli anni Trenta lo videro ancora impegnato sia come illustratore per opuscoli e altro materiale a carattere devozionale, sia come autore di più significativi dipinti a tema religioso. Nel secondo dopoguerra, Barberis riprese studi e sperimentazioni astratte e terminò una serie di tele di non grandi dimensioni, con spunti paesaggistici, geometrici e figurativi, in cui racchiuse esperienze antiche e prove più attuali. Nella primavera del 1949 tale raccolta venne esposta con il nome di “Essenzialità cromatiche” presso la Galleria Giosi di via del Babuino a Roma. Nel corso del 1954 ultimò dodici tavole di devozione mariana per La Donna vestita di sole presso il convento cappuccino di Perugia, e realizzò a carboncino su cartone una serie dedicata alle stazioni della Passione spirituale di N. S. Gesù Cristo, frutto di una meditazione sul tema della sofferenza. Affranto dalla morte dell’amatissima moglie, Barberis si concentrò su una raccolta di immagini a lei dedicate su fogli da disegno. Mario Barberis morì a Roma dopo una lunga malattia il 24 gennaio del 1960 all’età di 66 anni.

BENI ANTONIO – Nacque a San Giacomo di Musestrelle (Comune di Carbonera, Treviso) il 19 gennaio 1866, figlio di Felice e di Antonia Ricci. Ben presto, spinto dallo zio parroco di Scaltenigo, frequentò a Padova i primi tre anni di Ginnasio, quindi – spinto sempre dallo zio – frequentò la Scuola di Disegno Industriale di Mirano. Nonostante la morte dello zio prete nel novembre del 1882, il Beni, con grandi sacrifici, riuscì a proseguire e a completare gli studi intrapresi. Inoltre poi si iscrisse al Regio Istituto di Belle Arti di Venezia e negli anni ricevette vari premi. Negli anni 1886-1888 seguì anche gli insegnamenti di ingegneria e architettura. Successivamente partecipò a vari corsi di disegno di figura, come pure corsi di “ornato”. Nel 1901 iniziò la sua attività professionale come architetto (progettazione di ampliamento di chiese, di nuovi altari, realizzazione di cappelle o di restauri delle stesse o di coperture lesionate dalle guerre, ecc.; come pittore realizzò in ambito religioso pale d’altare, restauri di affreschi lesionati, tele di Santi o di Gesù Crocefisso, ecc. come pure in ambito pittorico ambientale ad es. uomini, bimbi, ambienti, paesaggi ecc. Numerosi i suoi disegni. Il 30 dicembre 1941 morì nella sua casa di Dosson (frazione del Comune di Casier, Treviso).

CADORIN  ViNCENZO  – Nacque a Venezia nel 1854 da Fabiano e Paolina Giustila. La famiglia, originaria del Cadore, vantava un’antica tradizione di architetti e scultori. La sua formazione iniziò presso lo studio veneziano del Benvenuti e si compì con la frequenza dei corsi dell’Accademia. Il primo successo il Cadorin lo conseguì esponendo lavori in bronzo e legno ad una mostra collettiva, a Roma, nel 1883. L’anno seguente (1884) all’Esposizione di Torino vinse la medaglia doro con Flora, statua raffigurante un delicato nudo femminile in atto di spiccare il volo. Nel 1886 ricevette l’incarico di eseguire le boiseries per lo scalone d’onore della villa di Strehlen (presso Dresda) da parte della regina di Sassonia (l’opera è andata distrutta nel corso della seconda guerra mondiale). A Venezia, all’Esposizione del 1887, presentò ancora lavori di intaglio che gli valsero l’attenzione della critica e del pubblico. Da questo momento nella carriera del B. le commissioni, anche prestigiose, non vennero mai meno. Nel 1888 la regina d’Italia Margherita gli commissionò una Madonna in avorio. La stessa committente ebbe ad avvalersi spesso in seguito delle sue prestazioni, sia per la decorazione della propria cappella privata a Roma sia per altre minori incombenze. Intorno al 1895 lavorò al trono in legno dorato che, in occasione delle maggiori feste liturgiche, serve a completare l’altare donatelliano nella basilica di S. Antonio a Padova. Negli stessi anni, per la sua consumata abilità, venne chiamato (insieme con G. Michieli, addetto alle figure) a modellare le ornamentazioni per le porte bronzee della basilica del Santo, su disegno del Boito. Alla Biennale del 1899 (III) presentò la scultura Primavera (bassorilievo in gesso bronzato) che, esposta in seguito a Monaco (1901), gli ottenne vivo successo e l’acquisto dell’opera da parte della regina Margherita. Espose ancora alle biennali del 1905 (VI), del 1907 (VII), del 1912 (X) e del 1914 (XI). Particolare risonanza ottennero l’arredo decorativo e il mobilio da lui realizzati per la sala internazionale all’Esposizione veneziana del 1901. Nel 1906 espose ancora a Milano. Al 1908 risale l’opera più nota del Cadorin: il trono in legno dorato donato dai Veneziani a Pio X in occasione del suo giubileo sacerdotale (firmato e datato, ora in S. Maria della Salute a Venezia). Nel 1914 iniziò la costruzione in marmo del nuovo altare di Casoni progettato dall’amico pittore e architetto Antonio Beni. Il Cadorin  morì a Venezia il 27 novembre del 1925.

CANAL GIAMBATTISTA  (Venezia 10 settenre 1745- Venezia 5 dicembre 1825) figlio del pittore Fabio Canal. Giambattista era noto per la sua abilitò di “frescante”, detto anche l’ultimo dei “fa presto” per la sua incredibikle velocità nell’affrescare anche superfici molto estese. Ricevette i primi rudimenti pittorici dal padre, poi Giambattista studiò all’Accademia di Venezia, dove insegnò dal 1783 al1807. Nell’ultimo periodo della sua vita divenne quasi cieco e nonosrtante questo, a caua delle difficoltò economiche,  continuò a dipingere. Numerosissime sono le sue opere in tutto il territorio veneto e nel territorio circostante.

DEMETZ FERDINANDO -Nasce a Ortisei il 4 gennaio 18452 e muore a Ortisei il 4 marzo 1902. E’ uno scultore della Val Gardena, dapprima apprendista dal padre Jan e poi studente all’Accademia di Belle Arti a Vienna. Nel 1873 fonda la Scuola Tecnica di Ortisei dove si formarono diversi scultori della zona.

PIAZZA PAOLO (poi Cosimo da Castelfranco) – Nacque a Castelfranco  Veneto nel 1560 circa e morì a  Venezia il 20 dicembre 1620. Si formò a Venezia, probabilmente tra il 1575  e il 1581  presso Palma il Giovane, Paolo  Veronese, e i Bassano. Tornò più tardi nel paese natale e nel Duomo  lasciò diverse opere di cui rimangono alcune opere. Attorno al 1588 affrescò la villa Corner di Treville, ma di questo imponente lavoro sono rimaste solo tre volte dipinte. Tra il 1594 e il 1596 fece parte della fraglia  dei pittori veneziani, segno che doveva essere tornato nella città lagunare da qualche tempo. Alcune opere presenti nella Chiesa di San Polo possono risalire a questo periodo.  Al Piazza viene attribuito il monocromo realizzato attorno al monumento funebre di Marcantonio Bragadin (1596) nella basilica di San Giovanni e Paolo. Nel 1596 completò il dipinto centrale, collocato sul soffitto dell’oratorio della Santissima Trinità di Chioggia.  Nel maggio dello stesso anno, in occasione dell’incoronazione della dogaressaMorosina Morosoni, moglieMarino Grimani  allestì un teatro galleggiante sul Canal Grande.  Il 27 settembre1598 si fece cappuccino con il nome di Cosimo da Castelfranco. A lui si deve una delle ultime opere realizzate per il Palazzo dei Conservatori (oggi Musei Capitolini ),   denominata La deposizione e realizzata ne l1614.  Sue opere sono attestate anche in Sicilia, tra le quali la pala d’altare presente nella chiesa di S. Maria delle Grazie del convento dei Cappuccini a Piazza Armerina, databile tra il 1612 e il 1613, nella quale è la più antica rappresentazione della città oggi conosciuta.

REBESCO FRANCESCO – Francesco Rebesco nacque a San Zenone degli Ezzelini il 29 maggio 1897. E’ figlio di Antonio, un modesto artigiano, e di Maria Perizzolo, dai quali ricevette una profonda educazione cristiana. Frequentando la scuola elementare fu il suo maestro Giovanni Battista Boaro a segnalare al padre la grande capacità nel disegno del figlio. Dopo alcuni anni Francesco iniziò a frequentare a Bassano  la scuola di disegno e di scultura tenuta dai professori Lorenzoni (pittore di un certo talento) e Fabris (modellatore di preziose ceramiche).  Qui conobbe altri alunni tra i quali Fausto Scudo di Crespano (poi noto architetto) e il rossanese Luigi Bizzotto (noto affrescatore e autore di vetrate artistiche, specie d’arte sacra). Non solo, nella adolescenza di Francesco ebbe un grande rilievo la figura del noto pittore Noè Bordignon che aveva la sua residenza a poca distanza dai Rebesco. Nello studio del grande pittore, Francesco conobbe altri noti pittori come Luigi Nono e Alessandro Milesi, come pure iniziò una grande amicizia umana e artistica col pittore Teodoro Wolf Ferrari. Nel 1912 Francesco conobbe lo scultore padovano Ramazzotti che nei mesi estivi si trasferiva a San Zenone: nel suo laboratorio imparò i segreti dell’arte scultorea e a sentire per questa arte una profonda attrazione, tanto che già a 16 anni si cimentava nella realizzazione dei busti dei genitori. 1916, prima guerra mondiale: Francesco venne chiamato alle armi. Destinato a Busto Arsizio adibito a costruire strutture per aerei da combattimento, ben presto prese un’altra decisione quella di diventare pilota della nascente aviazione seguendo i corsi a Passignano sul Trasimeno. L’Italia alla fine del1917 subì il tracollo del fronte orientale. Francesco dopo la disfatta di Caporetto venne destinato al campo di aviazione di Gazzo Padovano e prenderà parte a numerose ardite operazioni aeree essendo vicino il fronte tra il Grappa e il Piave. Verso la fine del conflitto venne a far parte della nota “squadriglia degli assi” di Francesco Baracca. Finita la guerra prestò servizio ancora in aeronautica a Muggia, presso Trieste. Ma la vita da militare non lo soddisfaceva, per cui ottenne il congedo e rientrò a San Zenone, dove l’arciprete don Carlo Bernardi lo spinse a fare la scuola media inferiore per poter accedere all’Accademia delle Belle Arti. Nel 1922 a Milano frequentò l’Accademia di arte sacra “Beato Angelico”. Verso quest’arte  Rebesco continuava a sentire una particolare e intensa attrazione. Nel 1925 tornò a San Zenone per intraprendere la professione di scultore e raggiunta una discreta tranquillità economica nel 1932 sposò  Elisabetta Stona di Montebelluna già dal 1923 in corrispondenza affettuosa, dalla quale avrà sette figli, tra i quali mi piace ricordare Piergiorgio, che verso il 1960 inizierà a collaborare e poi a proseguire l’arte del padre. Verso la fine degli anni ’30 riapparve lo spettro della guerra e Francesco venne chiamato alle armi di nuovo, ma non svolgerà il servizio per una legge che concedeva il congedo a chi fosse padre di quattro figli. Nonostante l’intenso lavoro scultoreo, Rebesco sentì il dovere di impegnarsi civilmente ed entrò come assessore nell’amministrazione del Comune di San Zenone  dal 1946 al 1960, diventando un punto di riferimento della comunità. Nel 1961 venne colpito da leggera paralisi che gli permetterà tuttavia di proseguire comunque la sua attività fino ai 70 anni circa. Il 24 dicembre 1985 alle sei del mattino di Natale Francesco Rebesco morì attorniato dai suoi famigliari, lasciandoci tantissimi lavori, molti di grande bellezza.

SABATELLI  LUIGI –  Nacque a Firenze il 21 febbraio 1772, figlio di Francesco, domestico presso la famiglia del marchese Pier Roberto Capponi, e di Francesca Falleri.  Ancora giovanissimo frequentò Benedetto Eredi, un incisore tra i più attivi sulla piazza fiorentina, che lo avvicinò in maniera decisiva alla grafica. Successivamente frequentò l’Accademia di belle arti di Firenze che gli permise di mettere in mostra la propria abilità di disegnatore, conseguendo il primo premio per il disegno e il premio per il nudo. Il rapporto con la famiglia Capponi fu sempre particolare ed esclusivo tanto che il marchese Pier Roberto, intuendo le potenzialità del giovane, sovvenzionò i suoi primi studi nonché il suo trasferimento a Roma (1788), perché raggiungesse una formazione completa confrontandosi con i pittori italiani ed esteri e con gli intellettuali ed eruditi presenti. Dopo quattro anni Sabatelli ritornò a Firenze; e nel 1794 ripartì alla volta di Venezia sovvenzionato ancora dal marchese Capponi. La permanenza in laguna fu inframezzata da escursioni in terraferma, specialmente a Padova, come rivela lo studio derivato dal rilievo bronzeo con il Miracolo del cuore dell’avaro eseguito da Donatello per l’Altare del Santo. Con l’arrivo dei francesi a Venezia, Sabatelli fu costretto a riparare rapidamente a Firenze; qui iniziò un decennio fecondo (1795-1808), imponendosi progressivamente sia come interprete di opere a soggetto religioso per le chiese di Firenze e della provincia, sia come pittore profano di soggetti mitologici e allegorici per le decorazioni dei palazzi privati. Negli stessi anni Sabatelli intensificò la produzione grafica, seguendo un doppio registro; alla pratica disegnativa, che ne fece uno dei più autorevoli e raffinati ritrattisti della sua epoca, affiancò una prolifica attività di incisore, tanto da conseguire presso i contemporanei una fama consolidata. Tra il 1795 e il 1801 Sabatelli ideò le quattordici acqueforti dedicate alla Via Crucis, una serie che ebbe una notevole diffusione in Toscana e anche in altre regioni. Inoltre produsse anche una nutrita serie di tavole a soggetto dantesco. Il successo riscosso con le incisioni e con altri dipinti attirò l’attenzione di Leopoldo Cicognani, allora incaricato di seguire la politica artistica del neonato Regno d’Italia: suggerì, fin dal gennaio del 1807, al viceré Eugenio di Beauharnais di chiamare Sabatelli come professore di pittura nelle Accademie di Bologna o Venezia, riconoscendo il valore europeo della sua arte. Ma Sabatelli rinunciò all’incarico per subentrare all’Accademia di Brera, nel giugno del 1808, al posto dell’anziano Giuliano Traballesi. Il secondo decennio dell’Ottocento, quasi esclusivamente consacrato all’insegnamento accademico, vide poche commissioni dall’ambiente milanese. Solamente verso la fine di questo decennio Sabatelli iniziò a imporsi anche presso le principali famiglie di Milano con varie decorazioni, che valsero al Sabatelli la chiamata a Cremona, dove concepì i grandiosi affreschi mitologici (Giove allattato dalla capra Amaltea e Prometeo che rapisce il fuoco dal carro del Sole, 1820 circa) per due sale del palazzo Mina-Bolzesi. Seguirono anche lavori in ambito fiorentino e toscano. Il terzo decennio si chiuse con un gran dipinto a olio, incentrato su un soggetto di particolare valenza storica e civica: Pier Capponi che straccia i capitoli davanti a Carlo VIII (1830), oggi noto solamente attraverso incisioni, e acquistato dal marchese Gino Capponi. Il marchese, figlio dell’antico mecenate, proseguì la vocazione del genitore: alla sua collezione appartennero un piccolo dipinto di Sabatelli raffigurante il Duello fra Arunte e Bruto e il bozzetto della Difesa di Volterra fatta da Ferruccio (1840). Fino alla fine della sua carriera Sabatelli alternò ai numerosi impegni artistici non solo a Milano ma anche a Firenze, l’attività di insegnante di pittura all’Accademia, avvalendosi di Francesco Hayez come sostituto durante i periodi di assenza. Gli ultimi anni furono improntati all’esecuzione di piccoli quadri da cavalletto, con l’eccezione di varie decorazioni a Firenze con l’aiuto dei figli Giuseppe, Luigi junior e Gaetano.Sabatelli si dedicò anche a vari restauri come a Pistoia e a Mantova.Morì a Milano il 29 gennaio 1850.

STEFANI ARISTIDE – Nacque a Bassano il 21 maggio 1869, figlio di Marco e di Angela Zanna. Il padre era di professione orafo. Aristide si sposò a 27 anni con Pistorello Giovanna, con la quale ebbe un figlio il 27 febbraio 1908 dandogli anche a lui il nome di Aristide. Stefani ebbe da giovane la fortuna di essere allievo del professor Giuseppe Lorenzoni (1843-1924) pittore, intagliatore e ceramista; era anche direttore delle Scuole Comunali di Disegno. Stefani ricevette un premio speciale di disegno per il settore plastico. Stefani iniziò a lavorare ben presto come intagliatore nella falegnameria di un certo Vittorio Ferraro, il quale, non si sa per quale motivo, lasciò la sua bottega allo Stefani che viveva in Via Volpato, e qui trasferì il laboratorio del Ferraro, che si trovava entro le mura del Castello degli Ezzelini. Aveva una grande raccolta di gessi (putti, cavalli, medaglioni, frutta, busti, ecc.) che utilizzava come modelli per i suoi lavori. Aveva, per le sue sculture, una predilezione per il cirmolo, un legno che non aveva nodi e venature. Numerose sono le sue opere soprattutto in ambito bassanese e dintorni, e anche oltre questo territorio. Stefani morì il 13 dicembre 1953.

UZUNOV IVAN – Nasce a Plovdiv in Bulgaria nel 1968. Nel 1987 termina gli studi presso Tznko Lavrenov High Scool of Fine Art in Plovdiv;  prosegue gli studi nel 1994 nell’Università San Cirillo e Metodio della città di Veliko Turunova, Bulgaria. Nel 1995 diviene menbro  dell’Unione degli Artisti di Plovdiv.  Dal 1994 ad oggi partecipa a manifestazioni locali e internazionali alternando con esposizioni personali. Suoi lavori sono presenti in Bulgaria, Germania, Polomia, Austria, inghiltera, Turchia e Stati Unibit, oltre che in Italia.

VOLPATO GIOVANNI BATTISTA – Nacque a Bassano nel 1633. Non solo fu pittore ma anche matematico e scrittore d’arte. Abbandonato l’abito religioso impostogli dal padre, decise di seguire la vocazione pittorica e presto divenne un convinto e abile seguace di Jacopo Bassano. Dopo aver operato ad Asolo (1670) per conto del mecenate Cornelio Beltramini, si stabilì a Feltre intorno al 1671, rendendosi amico del vescovo Bartolomeo Gera, del podestà Antonio Boldù e di Francesco Angeli, uno dei cittadini più illustri e influenti. L’appassionata, ma non disinteressata adesione all’opera di Jacopo, lo indusse non solo a ricavarne delle copie, ma anche a sottrarre, non senza la complicità dello stesso vescovo Gera, due tele di Jacopo dalle chiese dei villaggi di Tomo e Rasai, sostituendole, all’insaputa dei paesani, con copie di sua esecuzione, riconosciute solamente qualche anno dopo. Le due tele furono imitate in un laboratorio messo a disposizione da Francesco Angeli e non fecero più ritorno nelle sedi originarie (oggi si conservano all’Alte Pinakothek di Monaco di Baviera). Nel 1685 fu scoperto l’imbroglio e il Volpato venne processato e bandito per dieci anni da Feltre. Un testimone del processo riferì che il pittore aveva ammesso di aver “havuto quelle Palle dai Preti havendogli datto tanta Pittura per esse palle”. Il Volpato comunque non si curò molto della condanna, continuando a lavorare a Cassola nella casa di campagna dei nobili veneziani Cappello. Più tardi ritornò a Bassano nella casa del nobile Giust’Antonio Bellegno, del quale era già stato ospite a Venezia ai Santi Apostoli. Nonostante tutto, la pittura del Volpato riscosse nel territorio feltrino un certo successo che gli garantì nel 1671 la commissione della tela celebrativa del Podestà Antonio Boldù con i sindaci, realizzata per la chiesa di Santa Maria del Prato. Fra il 1683 ed il 1689 completò, a Bassano, la decorazione di Santa Maria in Colle con l’Assunta e Trinità, il Martirio di san Clemente e San Bassiano; dipinse inoltre con la Caduta dei giganti il soffitto di Ca’ Rezzonico.  Fu, come detto, anche scrittore d’arte. I suoi testi, Il vagante corriero, La verità pittoresca, La Natura pittrice, Modo da tener nel dipinger, per buona parte inediti, sono ricchi di interessanti osservazioni. Tuttora valida è soprattutto la sua definizione delle “quattro maniere” di Jacopo Bassano. Giovan Battista Volpato morì a Bassano nel 1706.

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pubblicato l’11 maggio 2022

NB. Sono grato a chi trova errori di scrittura o che ha argomenti che possono migliorare questo mio lavoro (VB)

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