CISMON DEL GRAPPA – 2012 – BREVE STORIA DEL CIRCOLO ROSSO … CISMON DEL GRAPPA 1920-1923

BREVE STORIA DEL CIRCOLO ROSSO

e di quello che accadde l’anno dopo

CISMON DEL GRAPPA 1920 – 1923

di

Daniela Caenaro e Ildebrando Tollio

attiliofraccaroeditore, Bassano del Grappa, 2012. € 22,00

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INDICE  

   Prefazione, pag. 1

   Presentazione, pag. 5

   Capitolo 1. Il confine, la ferrovia e la Grande Guerra, pag. 9

Capitolo 2. Il profugato, pag. 37

 Capitolo 3. Breve storia del Circolo Rosso, pag. 49

Capitolo 4. Relazione Tollio, pag. 59

Capitolo 5. Testimonianze, pag. 135

Documenti, pag. 155

Bibliografia cismonese, pag. 215

Prefazione di Paolo Pozzato

A chi passa per Valle di Cadore, lungo la strada che da Taj conduce a Cortina d’Ampezzo, può capitare di notare il monumento ai caduti del paese. Se l’occhiata è anche solo meno che distratta rivelerà una caratteristica a dir poco singolare di quest’opera rispetto alle migliaia di simili, presenti pressoché in ogni altra cittadina, soprattutto ma non solo del Veneto. Su una scalinata che sale ad un’anonima ara votiva, sormontata a sua volta da una fiamma perenne, trova posto una strana figura in bronzo. Si tratta di una donna, non dell’immagine stilizzata e quasi asessuata della Patria, ma di una e propria popolana di Valle, nel costume che era comune negli anni dello scoppio del primo conflitto mondiale. La donna, che si allontana piangente, porta in braccio un bambinetto nudo che con la mano alzata invoca chiaramente la presenza di qualcuno che non tornerà più. E difficile immaginare che il piccolo invochi l’ara del sacrificio, verso cui oggi inequivocabilmente si rivolge. Ed in effetti in origine non era così. Il gruppo bronzeo della madre e del piccolo era stato voluto dall’amministrazione socialista di Valle che, nel primo dopoguerra, lo aveva immaginato quale nucleo centrale di un monumento non di ricordo, ma di esplicita denuncia della guerra che si era appena conclusa e dei dolori che essa si era lasciata alle spalle. Il piccolo tendeva la mano disperato verso il corpo ormai senza vita del padre.
Il successivo avvento del fascismo mutò drasticamente il destino dell’opera, togliendole ogni velleità di denuncia di un conflitto in cui lo stesso fascismo affermava di affondare le proprie radici, cercando il sostegno e proponendosi come punto di riferimento di ogni movimento di reduci. Nemmeno la nuova amministrazione poté però sbarazzarsi del gruppo bronzeo, già fuso da un importante scultore veneziano oltretutto utilizzando come materia prima i cannoni austriaci di preda bellica. Dovette quindi riciclarlo, con un’operazione tutt’altro che facile e non completamente riuscita, cercando invano di cancellare dal ricordo degli abitanti del paese cadorino l’amministrazione “rossa” che l’aveva ideato e tenacemente voluto.
A Cismon nessuno pensò di erigere negli anni ’20 un monumento del genere, o se lo fece non ebbe il tempo e la ventura di realizzarne una componente altrettanto importante ed “ingombrante”. Troppe e di ben altro genere erano le preoccupazioni che assillavano allora l’amministrazione di un paese distrutto nella quasi totalità delle sue abitazioni, privo anche delle poche ricchezze disponibili prima della guerra. Ciò nonostante nemmeno in Val Brenta è stato possibile cancellare del tutto la memoria di un’esperienza politica, quella socialista e poi comunista, che governò il paese dall’ottobre del 1920 all’agosto del 1922, quando il fascismo metterà fine, qui come altrove, alla sua avventura istituzionale.
Si trattava di un’amministrazione “giovane”, per i canoni dell’Italia post-risorgimentale, se non addirittura “giovanissima”: il sindaco Giuseppe Fiorese aveva solo 25 anni e poteva contare soltanto sul diploma di terza elementare. Fu un’esperienza nata sullo sfondo delle esperienze di “socialismo di guerra” imposte dalle necessità belliche e radicata nelle secolari difficoltà economiche, oltre che nelle ingiustizie sociali, della vallata, che la guerra certo non aveva contribuito a risolvere o attenuare. Si sviluppò, spesso in modo tumultuoso, sull’onda dell’entusiasmo – inevitabilmente ingenuo – per le conquiste della lontana rivoluzione bolscevica. Si distinse per il suo carattere quasi eroico, con le riunioni del Consiglio Comunale fatte rigorosamente a tarda sera, perché prima i membri dovevano tutti lavorare, o cercare lavoro, per poter “sbarcare il lunario”.
 Giunse a coniare delle proprie monete, che finirono col sostituire quelle regie, scomparse  per proprio conto a causa dell’inflazione. I suoi componenti non mancarono di gesti inconsulti – nel clima del dopoguerra peraltro molto comuni – come l’attentato al parroco, o meglio alla canonica, fatta bersaglio di diversi colpi di fucile, che portarono in carcere addirittura due consiglieri comunali. La sua fine fu quella di un disastro economico del resto inevitabile, visto il crollo delle risorse comunali, la stretta creditizia imposta dalle banche ed i problemi economici in cui si dibatteva il comune, stretto fra le necessità delle ricostruzione ed il numero abnorme di disoccupati cui far quotidianamente fronte.
 Comunque la si valuti oggi, dopo la fine del secolo delle ideologie, non si può negare che essa sia stata il frutto di un’esigenza imprescindibile di giustizia e di equità sociale. Così come è difficile non subire la suggestione delle speranze e delle illusioni che la animarono.
 È certamente vero che oggi gli stessi abitanti di Cismon parlano mal volentieri di quel biennio, che piuttosto che contestualizzare e comprendere questa parte della loro storia preferiscono una buona dose di rassicurante oblio, quasi si trattasse di “panni sporchi”, che vanno necessariamente “lavati in famiglia”. A noi però piace pensare che questa esperienza, come quelle successive del fascismo e poi della Resistenza e della repubblica sono componenti storicamente ineludibili di quel tessuto umano e sociale che rappresenta la realtà veneta. Sono dimensioni che, volenti o nolenti, appartengono al nostro passato, quindi alle nostre radici, e che finiscono comunque col condizionare il nostro essere oggi. Rileggere le vicende della “Repubblica Rossa” di Cismon ci fa ancora dire, col vecchio Oscar Wilde, che un mappamondo che non contenga almeno un piccolo spazio per l’isola di Utopia non merita, in fondo, nemmeno uno sguardo distratto.
Paolo Pozzato

 

Presentazione di Angelo Chemin

Questo lavoro nasce attorno ad un importante nucleo documentario costituito dalla «Relazione del Commissario Prefettizio Tollio Ildebrando letto al ricostituito Consiglio Comunale di Cismon nella tornata del 6 aprile 1923».
È un documento fondamentale per comprendere la fortunosa storia di Cismon del Grappa tra il 1920 e il 1923.
L’edizione di questo documento è lo scopo primario di questa pubblicazione.
La metodologia storica seguita è stata quella di collocarlo nel contesto della storia cismonese di quegli anni. Storia caratterizzata dal ritorno dal profugato, dalla ricostruzione sia materiale che sociale del paese; queste si pongono dentro la circolazione di idee nuove che attraversavano tutta l’Europa sull’onda della rivoluzione russa e dei cambiamenti epocali e dello sconvolgimento europeo al seguito della Grande Guerra.
Cismon, come gli altri paesi del Canale di Brenta, era terra di emigranti. Questi avevano percorsa l’Europa e parecchi di loro erano inseriti nei movimenti operai e politici di quegli anni cruciali.
Ciò che accadde a Cismon, accuratamente messo a tacere negli anni successivi al 1923, è un episodio saliente e non secondario di questo clima; ecco il perché sono state edite alcune testimonianze, indispensabili per rendersi conto di come erano quegli anni nello specifico contesto cismonese.
La breve storia del “Circolo Rosso” è emblematica di quel momento, considerando anche che ci sono state altre esperienze riconducibili a questo contesto, ma ancora ignorate o non sufficientemente studiate. Rimanendo nel Canale di Brenta, per fare un esempio, sarebbe interessante capire la storia della nascita dei quello che poi sarà il Consorzio Tabacchicultori, ampiamente normalizzato in epoca fascista, ma che dalle testimonianze orali nacque come vero e proprio atto di ribellione della base popolare dei coltivatori verso il monopolio di stato.
Questo mette in rilievo l’importanza che si inizi un’analisi attraverso i documenti d’archivio e la registrazione della storia vissuta, ancora presente della memoria delle famiglie che ne hanno avuta l’esperienza.
Naturalmente interpretazioni e ricordi sono molteplici e diversi. Di qui la necessità di una indagine storica che si riferisca a documenti oltre che ad una analisi antropologica del contesto.
Per la storia cismonese di quegli anni  la Relazione Tollio è un punto di partenza. È interessante che questo documento provvenga dai documenti privati di una famiglia. Da questo inizio si potrà partire e aggiungere altra documentazione esplorando ulteriori fonti e facendo emergere anche testimonianze e ricordi, di ogni genere, conservati nei cassetti di famiglia.
Il presente lavoro non ha pretese di esaustività ma è un inizio per gettare ulteriormente luce su un periodo importante non solo per la storia di Cismon.
La documentazione riportata, oltre alla Relazione Tollio, riguarda alcuni aspetti della Grande Guerra, com’era il paese prima della distruzione, il Profugato, le vicende di alcuni personaggi significativi di quegli anni e altri documenti che testimoniano il clima di quel periodo storico. La documentazione fotografica si è attenuta a questo criterio restituendo, anche visivamente, la situazione e le vicende di quegli anni.
Angelo Chemin

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