MAROSTICA CITTA’ VENETA DELLA CULTURA 2002
OPERA DI LUIGI CARRON
di Vasco Bordignon
Riprendo da “Cultura Marostica n.56, agosto 2003” quanto ha scritto Mario Guderzo a presentazione di questa opera di Luigi Carron.
“Artista a 360 gradi, nel disegno la sua linea aggrovigliata che attraverso un movimento, a volte vorticoso, riesce a rappresentare il soggetto pensato è lo stesso segno, l’impronta che attraverso le sue mani si riversa sull’argilla per trarne le forme del suo pensiero.
Si può dire che Carron realizza nelle sculture l’espressione artistica più coerente per rappresentare la realtà, sia quando il modello in argilla viene cotto, sia quando la terracotta diventa metallo, il bronzo appunto, per dar vita a quelle figure che che rappresentano il suo viaggio sentimentale alla ricerca di estatiche rappresentazioni e di un mondo di fantasia che riaffiora e si sviluppa in noi permettendoci di rivivere i più felici momenti dell’esistenza.
Le sue figure parlano , non sono immobili, anzi quasi si muovono, la luce le attraversa e la rappresentazione delle forme ci permette di entrare in simbiosi con la figura stessa. Tutto si muove , vive e anche noi partecipiamo della vita delle sue forme.
Fin dalla sua prima formazione Carron ha scelto la rappresentazione della realtà e della natura, non l’astrazione. E’ molto difficile rappresentare la natura, scolpirla, dipingerla, quando si è appena chiuso il secolo che, in seguito allo sviluppo della Avanguardie, non l’ha quasi mai considerata e si è speso tanto a sottovalutarla, anche se il suo racconto più vero è stato affidato a straordinari artisti e poeti, pochi, a dir la verità.
Ma l’importante per un artista non è seguire le “mode” o le “correnti”, bensì assimilare gli insegnamenti dei maestri per esprimere una personale visione del mondo. Luigi Carron si può dire che sia diventato a sua volta un maestro che assomiglia soprattutto a se stesso.
L’OPERA
Il pannello a bassorilievo è stato realizzato in bronzo, con una tecnica particolare della a cera persa, usata spesso per la creazione di oggetti preziosi. Tecnica antichissima che nel Rinascimento ebbe una ripresa dopo essere stata abbandonata nel Medioevo.
La scultura, realizzata con il metallo, permetteva una maggiore coesione e le opere potevano essere posizionate nello spazio in modo più libero, senza timore di rotture e rispondendo alle esigenze di maggiore naturalezza. Un’anima di argilla armata veniva ricoperta da cera e su questa era adagiato un ulteriore strato di argilla. Il modello cotto al forno faceva sciogliere la cera e rimaneva così una intercapedine nella quale veniva “gettata” la lega fusa.
Questa la tecnica con cui Carron realizza un vero e proprio racconto, una storia che si svolge all’interno di una struttura tripartita, che richiama una torre, in cui è rappresentato lo stemma di Marostica: il leone rampante sul colle con la rocca turrita sulla cima [quasi circondata da un festone di foglie e di frutti di olivo, simbolo di pace)]. Il leone ha la bocca aperta, la lingua sventolante, la coda ripiegata verso la schiena e la testa è vista di profilo. Esso rappresenta il coraggio, il potere, la regalità con gli attributi della forza ma anche della giustizia e della nobiltà d’animo.
Il Castello [ripreso anche nella parte superiore di mezzo, immagine sottostante a sx] sta poi a simboleggiare il governo di una signoria, l’antica nobiltà, e il dominio; il colore rosso della torre è lo stesso simbolo di forza, di potenza e di coraggio, mentre il color oro del leone simboleggia la fede, la giustizia, la carità, lo splendore e la gloria. Accanto è rappresentato lo stemma di Venezia, il leone con il libro aperto, simbolo di San Marco Evangelista [stemma che appare galleggiare sulle placide onde del mare con le sue creature d’acqua].
Vi appare anche la figura di Omero [immagine sovrastante], che nell’antichità era la figura simbolica del poeta epico provvisto di una intuizione divina, cieco per la banale vita quotidiana, ma ispisrato dalle Muse. L’antico vegliardo, seduto, suona la cetra, canta i versi del suo poema. E’ stato scelto perché nessuno più di lui può rappresentare la cultura per eccellenza, il vate, nel vero senso della parola. L’Omero di Carron è una figura monumentale, di grande imponenza che porta sul volto i segni del temnpo, quasi una caratterizzazione alla Magnasco. Nel modellarla l’artista è riuscito a farlo cantare: il suono, come l’ombra ha la capacità di percorrerei tratti del volto di Omero, la sua fisicità. L’intensità e la commozione che riesce a suscitare sono notevoli: in questo uomo antico, scorgiamo tutta una vita, la vita dell’artista, la sua esperienza, la sua spiritualità. Accanto ad Omero, appare un gufo, un animale pensoso, meditabondo, dotato di uno sguardo saggiamente guardingo così come della capacità di vedere anche al buio. Uccello popolarmente poco amato, viene idealmente associato ai soldati impegnati nella guardia e a quelli che si applicano agli studi. Simboleggia infatti il sapere e la scienza che squarcia l’oscurità.
Ma c’è anche un araldo che avverte con il suo strumento ciò che sta per accadere nell’eterno avvenire delle cose dell’uomo.
Questo pannello scultoreo ricalca quindi volentieri i sentieri segreti del simbolismo, sentieri che scendono dentro di noi, fino alle profondità dell’insconsio, a quei sedimenti di memorie perdute, che sono gli strati di una più antica coscienza, la nostra preistoria, l’orizzonte ultimo della nostra storia… “in una buona scultura non è la figura che prende vita, ma la materia attraverso la figura”. Se la materia è innazitutto storia, storia è anche lo spirito umano che opera in quella materia e la trasforma, la reca a un grado più alto di aggregazione, di “organicità”, di plasticità.”