MAZZOCHIN ZACCARIA E LA SUA VIA CRUCIS POPOLARE

MAZZOCHIN ZACCARIA


E


LA SUA VIA CRUCIS POPOLARE


a cura di Vasco Bordignon

 

Zaccaria Mazzochin nato a Cartigliano (VI) il 25/11/1952 abita a Tezze Sul Brenta (VI), pittore e scultore, da molti anni svolge attività artistiche nel territorio bassanese.

Così mi scrive della sua opera “ Eseguendo questo lavoro pensavo alle mie origini, quando ho cominciato ad amare l’arte. Osservavo affreschi dipinti su vecchi muri, chissà da quali persone per ex voto ai “capitei” sparsi per i campi. Mi ha sempre colpito l’espressività di quelle figure, di quei santi dalle mani enormi e forti come quelle dei contadini, che con forza nelle erogazioni cantavano davanti a quei dipinti: “Libera nos Domine da tutto ciò che è male e morte”.

La mia Via Crucis non è una rappresentazione vittimistica della morte. L’ultima stazione lo dice esplicitamente attraverso il dito dell’angelo che punta verso il cielo, le idee d’amore e fratellanza non muoiono anche se ostacolate, esse risorgono sempre a nuova e più splendente vita, come dopo ogni notte, il sole rinasce con la sua luminosità”.

 

Per meglio comprendere, alcuni elementi di approfondimento

* la presentazione dell’opera da parte del Prof. Giovanni Gocci:

“Il ciclo scultoreo di Zaccaria Mazzochin colpisce per le forme fisiche dei protagonisti, in particolare il Cristo crocifisso. Quest’opera ci porta alla mente l’immagine di due famosi crocefissi del Cimabue (Basilica di Santa Croce, Firenze 1272; Chiesa di San Domenico, Arezzo 1268).

Osservando il Cristo di Cimabue ci colpisce il corpo con le sue forme viscerali piene di pathos e di dolore, in particolar modo la testa reclinata, scarna, l’addome incavato la cui forma diventa irregolare, caratteristiche che svelano la dimensione dell’Uomo Cristo che ha vissuto tutta la sofferenza dell’accettazione del suo destino di figlio di Dio (ricordiamo nell’orto del Getsemani, dove Gesù, più volte chiede al Padre di allontanare da lui quel calice e solo infine dirà “Sia fatta la tua volontà”).

Tutta questa drammatica sofferenza del corpo umano che riconosce ed accetta i suo destino, si ritrova nella crocefissione della stazione XII di Zaccaria Mazzocchin, la cui ceramica pone in risalto la stessa potente plasticità che si ritrova nei crocefissi di Firenze e di Arezzo.

Nelle ceramiche sacre si va quasi sempre alla ricerca di morbidi colori e di forme Robbiane (Bottega Della Robbia, Firenze 1400-1530) e ci dimentichiamo delle forme e dei colori intensi nei bassorilievi medievali. L’artista è come se avesse varcato le porte del tempo e si fosse ritrovato in una bottega di un ceramista del XII-XIII secolo; i colori, le forme e la plasticità sono le stesse e toccano intensamente le emozioni sanguigne dell’umanità.

La sua via crucis è il racconto di un percorso individuale dell’uomo mortale verso una morte-rinascita che lo eleverà al Padre. E’ inoltre, un percorso, simile a quello che facevano gli alchimisti medievale, dove attraverso l’elaborazione della prima materia, la nigredo, attraverso una serie di cotture e lavaggi, arrivavano alla “Citrinitas” ovverossia alla pietra filosofale, che altro non era che l’incontro con il divino portatore del sommo bene per l’umanità.  Potremmo aggiungere che l’artista vive e proietta, attraverso la sua opera, la sua via crucis, che appartiene a tutti gli esseri umani, di fronte alla Crux, crocevia in cui deve avvenire la scelta consapevole della direzione da pendere per incontrare l’altro tu dentro di noi per la realizzazione e per il compimento del proprio destino.”

Prof. Giovanni Gocci, Università di Pisa

 Nato ad Arezzo nel 1940, psicanalista Junghiano, esperto in simbologia, antropologia, arte, psicologia sociale, tiene conferenze su differenti temi sociali utilizzando la simbologia dell’arte antica, moderna e contemporanea. Presidente dell’Associazione culturale “Atelier dell’Anima” un centro studi per la psicologia del profondo. www.aterlierdellanima.com

** le parole chiave secondo Emanuela Pasin

La via Crucis

La “Via della Croce” (Via Crucis in latino) è il percorso che il cristiano compie nella sua vita per salvare la propria anima.

Come il libro dei morti degli antichi Egizi, le cui figure venivano rappresentate nella tomba dei faraoni, è la raffigurazione del percorso necessario affinché l’anima del defunto possa salvarsi, così la via crucis è il nostro libro dipinto che indica la strada per la salvezza.

La via della croce contiene tutti i segreti di una vita vera, profonda, piena di significato, d’amore, di accettazione. Essa insegna, a chi guarda, qual è il percorso per raggiungere questo stato amorevole dell’anima, non risparmia le fatiche e le sofferenze, ma anzi le celebra come passaggi necessari per la riuscita e la vittoria dell’anima sull’ombra oscura che tutti possediamo in quanto esseri umani.

Parlare con le mani

L’artista in quest’opera si immerge profondamente nelle sue origini, nelle immagini che i suoi occhi da bambino videro negli antichi affreschi popolari, nelle statue dei “capitei” che parlavano con le mani e con i volti. Nella memoria dell’artista si scolpirono quelle mani dei santi di un tempo, enormi, forti, nodose come quelle dei contadini, la loro magnetica espressione che trapelava solo dal gesto mimico, come dal corpo trapela l’intensità dell’emozione. Immagini capaci di scuotere l’anima dal profondo, immagini che risvegliavano le coscienze, che incutono quel sacro timor di Dio e quella inevitabile prudenza nei confronti dell’essere umano e della sua natura.

L’artista ci invita a ritrovare quella potenza dei gesti antichi, quella autenticità dell’anima, ci stimola rivedere la vita nella sua drammaticità e nella sua possibilità di risorgere all’amore e alla fratellanza, ci ricorda, con la forza dei corpi, come le mani parlanti dei personaggi, con i color intensi delle vesti e della carne, che il male esiste. Tuttavia se il male esiste, la cattiveria non paga e solo l’amore può continuare a mutare le strade dell’uomo.

Il drappo bianco

Le stazioni della via Crucis sono intrise di simboli in cui spicca un elemento pervasivo di delicatezza che rende possibile accettare tutto il male che sentiamo rivivendo la passione di Cristo: è quella specie di drappo bianco, quasi una vecchia coperta ai piedi di ogni scena. Una di quelle coperte ricamate a mano di un tempo che si passavano in dote da madre in figlia e che accoglievano le vicissitudini di ogni generazione. Essa accoglie tutto il dolore che gocciola su di essa, assorbe amorevolmente ogni drammatica emozione della nostra anima quando viene a contatto con la brutale realtà della natura umana. Tutta l’opera di Zaccaria Mazzochin è pervasa da forza e da tenerezza allo stesso tempo, è un grido di salvezza, è un potente “Libera nos a malo, Domine”.

Le donne

Le donne sono l’unico elemento dalle forme tonde, dai colori vivaci e vitali, con le loro vesti che le avvolgono come mantelli fecondi di grazia, le loro mani accoglienti, gli occhi e il petto rigonfi di dolore. Nelle donne scolpite da Zaccaria, sembra sia nascosto il seme della salvezza dell’umanità, nel loro sentimento, nella loro instancabile ricerca del bene, fino alla tomba, nella loro autentica perseveranza, nel cercare l’amore nonostante il male, sono loro le eredi di Cristo e del suo messaggio, sono loro l’arca dell’alleanza tra Dio e l’uomo.

Le vesti rosse

Le vesti rosse sono fin dall’antichità attribuite ad Afrodite, la Dea dalle vesti rosse, essa incarna l’amore in tutte le sue forme. L’amore che perpetua la vita sulla terra, che dà anima a tutte le cose, a tutte le relazioni, dà intensità ad ogni nostro gesto, senza amore nulla può esistere. Cristo si veste come Afrodite: d’amore, questo è il suo messaggio e la sua religione.

Emanuela Pasin psicoterapeuta e scrittrice

Nasce a Bassano del Grappa nel 1972, appassionata d’arte, analizza l’arte su un piano simbolico psicologico, tiene conferenze e fa terapia utilizzando le opere d’arte; scrive testi poetici o analitici per artisti conteporanei.  Suoi sono i commenti “poetici” alle varie stazioni della via Crucis di Mazzochin.

www.emanuelapasin.com


VIA CRUCIS – LA VIA DELLA CROCE

di ZACCARIA MAZZOCHIN 


I^ STAZIONE – IL GIUDIZIO E LA CONDANNA

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Ho fatto del mio meglio / in questi pochi anni della mia vita,/ ho avuto una parola buona per ogni momento difficile, / ho fatto una carezza a tutti, / ho lavorato tanto, fin troppo, / ho pagato i miei debiti e anche le tasse, / ho sopportato silenzioso tante assurdità, / ho fatto del mio meglio, davvero, in questa misera vita, / eppure ora sono qui con questi sapientoni / che mi accusano senza conoscermi, / mi additano come un sovversivo, / quando sanno bene che non valgo nulla, se non amore, / parlano nella loro arroganza senza alcuna prova / e infine mi affidano al potere / che naturalmente, / se ne lava le mani. 


II^ STAZIONE – LO CARICANO DELLA CROCE 

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Mi caricano della mia croce, / ognuno ha la sua, è vero, / ma cerco di fare del mio meglio: / umiliato per nulla, / frustrato a sangue, / sfinito come un animale esangue, / condannato dalla mia stessa stirpe, / m’incammino ascoltando / il mio profondo dolore, / la sofferenza di essere rifiutato / nonoostante tutto il bene che ho dato. / E’ più facile rimanere con quelle brutte facce / piene d’odio e di smania / piuttosto che fare una carezza e un sorriso . / Si godono nel bastonarmi, / invece di una parola d’affetto, / m’insultano, / come se non sapessero / che la loro anima s’imbruttisce, / e la mia piange sangue di fallimento.


III^ STAZIONE –  CADE LA PRIMA VOLTA 

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Cado! / Cado come cadiamo in tanti / quando non ce la facciamo, / quando sbagliamo, / quando siamo sfiniti e confusi dal dolore, / quando siamo fuori di testa dalla rabbia. / Avrei voluto che qualcuno mi aiutasse ad / alzarmi, / sarebbe stato bello sentire una mano benevola / che prende la mia dandomi la sua forza / quando a me manca. / Invece si adirano, mi insultano / mi strattonano, / e senza capire che non ce la posso più fare, / mi ricordano la mia croce: / il peso enorme dell’amore sulle mie membra. 


IV^ STAZIONE – INCONTRA LA MADRE 

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Mamma, sei bellissima anche quando piangi, / sei colei che mi ha amato con coraggio, / sei la mia vita e la mia anima. / Attraverso il tuo cuore e il tuo grembo / io posso esistere. / Non perdere la tua dignità. / Se tuo figlio è ridotto così male, / tu lo sai bene chi sono, mamma, / tu sei colei che può sentire il dolore che provo, / sei l’unica che conosce l’infinita sofferenza / che comporta l’amore, / sei colei che apre le porte al divenire / stammi accanto, / il tuo volto è l’ultimo sguardo su cui riposerà il mio spirito.


V^ STAZIONE – IL CIRENEO LO AIUTA 

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Anche in questo penoso calvario / la vita non smette mai di incantarmi. / Ecco, quest’uomo la cui pelle è nera / come nostra madre terra / rifiutato, smarrito, scappato, ferito, cacciato, / senza lavoro, senza casa, senza nulla, / il primo uomo da cui siamo originati, / ora è l’ultimo. / Ecco quest’uomo sente sulle sue ossa / il mio dolore perchè è il suo, / vede nei loro occhi l’ingiustizia, / perchè ne porta i segni nelle cicatrici, / respira il mio bisogno d’amore, / perché questo è il respiro di ogni uomo. 


VI^ STAZIONE – VERONICA GLI ASCIUGA LA FACCIA

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Donna, tu che hai un gesto di grazia per ogni sofferenza / tu che hai il coraggio di fare un passo in più / senza chiedere niente in cambio / Donna, tu che sai ascoltare il tuo cuore, / che sai accarezzare, sai donare la vita in tutte le sue forme, / tu che hai una parola buona per ogni occasione / promettimi di non farti sottrarre la tua delicatezza, / promettimi di non rinunciare al tuo tenereo sguardo, / promettimi di non farti crucifiggere dal tuo uomo / perchè così sarete in due a morire, / promettimi di avere sempre un abbraccio in più / per questo mondo strampalato e cattivo, / ti prego, non arrenderti, tu sei la carne dell’amore, / sei la mia effige di passione per la vita / non rinunciarvi mai. 


VII^ STAZIONE – CADE PER LA SECONDA VOLTA

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Sono più morto che vivo / ma porto tutto l’amore che possiedo ancora dentro di me, / nessuno ne lo può togliere / neanche a forza di botte. / Sono più morto che vivo / eppure godono ubriachi di questo spettacolo pietoso, / godono del dolore degli indifesi, / godono a uccidere fratelli pagani, ebrei, mussulmani, cristiani, / godono a bruciare poveri esseri innocenti / e per farlo li chiamano streghe, eretici o demoni, /godono a massacrare indigeni del nuovo mondo / godono a infilare nei forni a gas una moltitudine di esseri umani, / godono a fare le cose più orribili che si possa concepire, / ma non godono dell’amore che portano nel cuore. / Lasciatemi a terra, che io possa tornare da colei che mi brama.


VIII^ STAZIONE – INCONTRA LE DONNE

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Mi accorgo della mia misera condizione / posando per caso l’occhio sul vostro volto, donne, / posso vedere il vostro dramma, posso toccare / le vostre anime, / ora che sono devastato dalla fatica, posso / vedere meglio con gli occhi del cuore, / posso sentire come un’onda dal profondo / e, se non posso far cessare questa carneficina / di sangue umano sul mondo, / almeno che possa farlo su di te, o donna, / che tu possa smettere di sanguinare, / perchè il sangue è vita e ti servirà per amare.


IX^ STAZIONE – CADE PER LA TERZA VOLTA

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Vedo una densa nebbia macchiata di sangue, / la morte mi sta leccando, / ma la mia croce è ancora pesante e mi schiaccia / come il coperchio della mia bara / non mi fa respirare / vi prego, basta / avete provato il vostro odio, /ora datemi prova della vostra misericordia. / Tra la nebbia di dolore sento il peso che si solleva: / un fanciullo e una donna, / come angeli venuti dal nulla, / per un istante alleggeriscono il mio carico, / mi dicono di non temere, / mi porgono la loro mano di luce, / pura come la mano del demiurgo che creò il mondo / e che mandò me, credendo invano, / che nel mio piccolo lo potessi redimere. 


X^ STAZIONE – VIENE SPOGLIATO DALLE VESTI

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Toglietemi le vesti con cui mi avete deriso come un Re demente, / toglietemi di dosso la vostra ipocrisia, / toglietemi di torno la vostra malvagità, / la vostra subdola ironia, la vostra incapacità di essere pietosi, / il vostro cinismo amaro e spocchioso, / toglietemi tutte le vesti che mi metteste per gioco, / per imbrogliare, ferire, uccidere chi potreste amare; / toglietemi gli abiti della ricchezza, della perfidia, / toglietemi le vesti di Sacerdote, di Vescovo, di Papa, / toglietemi tutto / che io sia nudo davanti ai vostri occhi, / che io sia il mio corpo martoriato di vecchio, di ammalato, / di pazzo, di umiliato, di prigioniero, di profugo, /che io sia lo specchio della vostra natura umana, / che io sia senza maschera, senza ruolo, senza denaro, / perchè è allora che riconoscerete il mio cuore / e il suo rosso sarà la mia nuova veste immortale. 


XI^ STAZIONE – E’ INCHIODATO ALLA CROCE

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O drappo mortale, / coperta consunta della mia prima culla umana, / odore di mia madre, / bianca come la pelle di un dio esangue, / accompagnami ancora per quest’ultimo periplo / sofferente, / asciuga il sangue che scorre / quando mi avranno inchiodato le mani alla mia croce, / asciuga le mie lacrime / perchè sono un fallito. / Fai ciò che io non sono riuscito a fare: / proteggi tutti gli esseri dal dolore che provano, / fa che tutti gli esseri siano felici, / che tutti gli esseri si parlino con gentilezza, / siano in grado di far pace quando si arrabbiano; / siano avvolti da una coperta di delicatezza, / quella stessa che ogni essere dovrebbe provare, / quando è avvolto per la prima volta / dalle braccia di sua madre. 


XII^ STAZIONE – MUORE IN CROCE

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Muoio in compagnia di due ladri, / sento solo le loro voci / e il loro dolore che è come il mio. / Sento il loro orgoglio triste, / e la loro pietà, / sento senza vedere / la loro anima che implora perdono / contrita in quei corpi nudi. / Chi siamo in fondo di fronte alla morte? / Tutto ciò per cui abbiamo lottato, / tutta la nostra astuzia, / tutta la nostra ricchezza / e tutta la nostra arroganza / scompaiono come di fronte al volto / dell’amore: / perchè dobbiamo arrivare a morire per saperlo?


XIII^ STAZIONE – E’ DEPOSTO DALLA CROCE 

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Sono di nuovo tra le tue braccia, mamma, / come un tempo, ricordi? / Nudo come nacqui dal tuo corpo, / così sono da morto. / Hai tenuto la coperta / con cui mi hai avvolto la prima volta, / ero sporco e piangevo.  / Ora quella coperta è intrisa di infinito dolore, / il tuo dolore è insopportabile, mamma, / eppure sai viverlo ancora una volta, / l’ultima. 


XIV^ STAZIONE – E’ RISORTO

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Non uomini, ma donne mi cercano ancora, / non si stancano mai, / voi figlie di mio padre, / conoscete i segreti della vita / più di qualunque creatura sulla terra, / voi donne, celate i segreti del bene sulla terra /e non vi stancate mai di cercare. / Ora smettete di cercare amore tra i morti, / l’Angelo vi guida, / cercatelo nello spirito del vostro tempo, / nel dio risorto dentro di voi / ogni giorno, in voi, / qualcosa della vostra anima muore, / perché essa possa risorgere piena di vita. 

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*** ogni stazione misura cm 45×27 ed è costituita da semirefrattario maiolicato e ingobbiato (VB) *** 

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RINGRAZIO L’ARTISTA ZACCARIA MAZZOCHIN cche mi ha consentito di comporre e allestire questo lavoro (VB)

BONETTO PAOLO – PITTORE – MOSTRA ON-LINE

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PACE MANUEL PABLO – PITTORE

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