BASSANO DEL GRAPPA – I PILASTRONI E LA PESTE

I PILASTRONI E LA PESTE a Bassano

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I  pilastroni non sono un monumento vero e proprio nel senso comune della parola, ma tuttavia sono dei veri monumenti per la storia di Bassano.
Si trovano all’inizio della Via Beata Giovanna, che diparte da Viale XI Febbraio, come da immagine: alla fine si vede la porta Dieda.

“ Che sono due piramidi poste su due basamenti. Infieriva nel 1578 la peste nei contorni di Bassano; ma in città essa non fece il danno che aveva fatto altre volte perché non  vi morirono che circa 70 persone. Grandi precauzioni per tenere lontano il morbo erano state prese dal podestà Michele Querini, il quale, cessata la peste, fece innalzare queste due piramidi coi basamenti, sui quali si leggono due iscrizioni, e dette poi in seguito _internet_-_cardini_preenti_nei_pilatroni_DSCN9930Pilastroni.  Fra essi si solevano, in tempi di peste, porre i Restelli della Sanità, dei quali si vedono ancora i cardini.” (Brentari,1885). Del Brentari ho trascritto il capitolo sulla Peste a Bassano, assai importante per comprendere che cosa succedeva a Bassano in quelle situazioni assai critiche per tutti.

Sono costituiti – come possiamo ancora vedere oggi – da due colonne bugnate , sormontate da piramidi in pietra

La PESTE (leggere più avanti)  rappresentava un vero terrore per gli abitanti di qualsiasi città in  qualsiasi epoca fino a quella moderna, in quanto non vi erano mezzi per curarla.  Per le autorità sanitarie dell’epoca del Querini nel Veneto (Magistratura della Sanità, Provveditori di Sanità) si doveva in tutti i modi cercare che persone e merci in entrata non fossero portatori di contagio.
In questo contesto un dei primi interventi dei Provveditori di Sanità fu l’istituzione di questi RESTELLI DI SANITA’ non solo nelle città, ma anche nei passi di confine della Repubblica Veneta.
Il Boerio (1829) nel suo dizionario descrive il “ RESTELO DEI ZARDINI , Cancello o Rastrello, Porta  fatta di stecconi  che si mette alla porta de’ giardini perché passi la vista.  E dicesi  – prosegue – Cancello  altresì all’aperto dell’uscio  che ha cancello” Spiega pois “Stecconi  sono que’ legni o que’ ferri  messi in qualche distanza un dall’altro  che formano le imposte del cancello.”
Quindi si trattava come  di un cancello nell’accezione attuale.
Tale cancello era vigilato e chiunque, per superarlo, doveva sottoporsi ad un accurato controllo.

LA PESTE

La peste, dall’antichità  fino al 19° secolo, era considerata la “morte” per definizione e per eccellenza, il “male sommo”.  Il chirurgo francese Ambroise Paré (1517-1590) scrisse: «La peste è malattia furiosa, tempestosa, mostruosa, spaventosa, orrenda, terribile, feroce, traditrice… Quando le si sfugge è cosa più divina che umana».
Si sapeva che il malanno veniva dall’Oriente viaggiando attraverso le rotte commerciali, soprattutto attraverso navi infette. Ma il nemico era sconosciuto, era capace di sottrarsi a qualunque investigazione e non si sapeva quali fossero i suoi criteri di scelta delle sue vittime perché attaccava vecchi e bambini, ricchi e poveri, robusti e malaticci, uomini e donne; non dimostrava alcuna preferenza fra palazzi e tuguri di paglia, perché ammazzava nei lazzaretti nobili e plebei.  Il fatto poi misterioso che nell’ambito di un quartiere o di una stessa famiglia risparmiasse qualcuno, lasciandolo  misteriosamente indenne, accentuava lo smarrimento e l’angoscia.
Alcuni morivano a qualche giorno dall’attacco col corpo piagato, puzzolente, orribile, disfatto e con lo spirito demolito e brutalizzato; altri morivano improvvisamente, magari per le strade, senza apparenti segni di danno esteriore.
La peste rappresentava un killer misterioso e inafferrabile che consumava il corpo e bruciava la mente senza lasciare, talvolta, indizi neppure minimi, che valessero, se non a scoprirne la natura, almeno ad approntare qualche meccanismo di difesa.

Non conoscendone la causa, l’uomo la identificò soprattutto come una punizione divina. Infatti secondo una mentalità sia pagana che cristiana la peste fu accostata ad una vendetta divina perché stanca di eretici, ladri, simoniaci, sodomiti, adulteri, ed altro. Ma  altri ne videro l’opera del demonio che disseppelliva dai suoi infernali antri le varie sostanze pestifere che poi spargeva col proposito di distruggere l’umanità. Chi razionalmente disquisiva sulla natura della peste propendeva  per “miasmi” non meglio identificati o per “contagio”, vagamente indicatore di un “quid”,  di un qualcosa che l’aria o i contatti umani potevano trasportare da un luogo all’altro.

Ai Governi non restava che imporre la quarantena alle navi e vigilare con severità per impedire spostamenti di persone e cose da luogo a luogo. Durante l’epidemia le autorità vietavano assembramenti, balli, feste, viaggi; per limitare il contagio si erigevano agli ingressi della città sbarramenti di vario tipo (come i restelli della sanità)  per consentire l’ingresso solo ai possessori del certificato di sanità, si organizzavano pulizie straordinarie per le strade e nei pozzi neri, era prevista la quarantena o addirittura il rogo per le navi arrivate da luoghi sospetti. Tra le misure precauzionali vi era l’allontanamento dei mendicanti forestieri e il controllo delle case insalubri, sporche e dei poveri, considerati possibili veicoli di contagio. Se vi erano casi sospetti, la casa veniva immediatamente sprangata con gli abitanti dentro; l’isolamento era interrotto solamente da personale autorizzato che prima di toccare oggetti appartenenti agli infetti, lo immergevano nell’aceto per disinfettarlo.
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I medici, durante le loro visite ai malati, indossavano una specie di toga lunga e incerata, una maschera dotata di occhiali e di un lungo becco con spezie all’interno che rendeva più difficile il contagio.[ VEDI Immagine del 1656: Habito con il quale vanno i medici per Roma a medicare per difesa del mal contagioso. La veste è di tella incerata, il volto ordinario, gli occhiali di cristallo, il naso del volto pieno di profumi contro l’infetione, la verga in mano per vedere e dimostrare le loro operationi. (da Piva, op.cit.)

Ai ricchi era concesso di farsi curare a casa, risparmiandosi così il trasferimento e le cure gratuite nel lazzaretto. Peraltro le famiglie del malato rimaste isolate, se erano povere, ricevevano gratuitamente il vitto. Dopo la morte del malato, tutta la sua biancheria veniva bruciata e si punivano severamente gli atti di sciacallaggio.
Inutile dire che a quei tempi abbondavano i ciarlatani convinti di aver inventato gli antidoti, quali macerazioni nel vino di varie sostanze naturali (aglio, salvia, ruta, pepe, noce, ecc.), profumi, unguenti, e fumi di mirra, incenso, suggerendo i più impensabili rimedi: ma nei registri dei morti apparvero anche i nomi di coloro che vendevano — clandestina¬mente o meno e a carissimo prezzo – “antidoti di sicuro effetto contro la peste”.

Gli effetti della peste risultavano poi incalcolabili. Basti pensare che in Europa, ad esempio, dal 1346 al 1350 scomparve circa un terzo della sua popolazione e la Spagna, in tre pestilenze (dal 1582 al 1685) annoverò circa un milione di morti, tragico spopolamento che non fu innocente sull tramonto della sua potenza militare, marittima e, quindi, economica); basti ricordare ancora  che la Repubblica Veneta, durante la pestilenza del 1630-31, perdette quasi settecentomila abitanti, con conseguente spopolamento delle campagne e di insufficienti raccolti, conseguente riduzione dei commerci, dell’artigianato, dei trasporti da cui era difficile risollevarsi, mentre altri Stati si trovavano ai confini in situazioni di maggior solidità e di maggior competitività.

In questo mondo della pestilenza, non solo nel campo della medicina la condotta umana presentò comportamenti particolari, inusitati, bizzarri, incomprensibili, spesso al dì fuori di parametri logici. Gli atti dei Provveditori, dei Medici, dei Commissari, degli Ecclesiastici, dei Giudici e di quanti operarono attivamente nel meccanismo sociale evidenziarono eroismi e miserie di particolare singolarità; fra questi due estremi apparvero testimonianze che denunciarono quasi al completo la gamma dei sentimenti umani: quelli nobili o vili, religiosi o blasfemi, caritatevoli o meschini e poi la generosità, la pusillanimità, la vigliaccheria, il tradimento, l’ingordigia, l’inganno, il fanatismo, la superstizione, il sospetto, l’ignoranza e tante altre tristezze.

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Poi con Alessandre Yersin la storia della peste iniziò a cambiare. Questo medico e batteriologo svizzero identificò l’agente causale della peste nel 1894 durante la peste di Hong Kong, suggerendo come la peste dell’uomo seguisse quella del topo. Contemporaneamente operò la stessa scoperta il batteriologo giapponese Kitasato, pur non lavorando assieme a Yersin. Quattro anni dopo, Simond scoprì il ruolo della pulce nella propagazione della peste. Lasciò scritto: «Quel giorno, il 2 luglio 1898, io provai un’emozione indescrivibile al pensiero che stessi per violare un segreto che aveva angosciato l’umanità dall’apparizione della peste nel mondo».
Patria naturale  di questo bacillo sono le steppe dell’Asia centrale e alcune zone africane dell’Uganda. In Asia vivono roditori e ratti che costituiscono il vivaio ideale del bacillo: questi animali sono insensibili alla “Yersinia pestis” o “Pasteurella pestis” (così viene chiamato, scientificamente, il bacillo); ma i topi possono essere infettati dalle pulci ospitate precedentemente dai roditori delle steppe e possono viaggiare tranquillamente sulle navi dell’uomo o con le carovane dei cammellieri.
Il topo è uno dei più grandi nemici dell’uomo: in particolare il topo grigio (Rattus norvegicus), il topo nero (Rattus rattus) e il topo domestico (Mus musculus).
A salire sulle navi dirette verso l’occidente è stato il topo nero col suo micidiale carico di pulci infette. I topi morti di peste avrebbero messo in circolazione decine di migliaia di pulci che a loro volta avrebbero trasmesso il contagio secondo una proporzione geometrica.

L’uomo veicolò la peste principalmente con le sue navi cariche di grano e di merci varie e fra queste viaggiava sempre  il ratto nero.
internet_xenopsylla_cheopis_-_pulce_dei_rattiGli uomini, ipotetici portatori del “quid” appestante, rimanevano sulle navi, ma i topi potevano abbandonarle e dopo una breve nuotatina erano già in terraferma  e poco dopo si potevano trovare al  buio e  nella tranquillità di magazzini, cantine e fogne.  Quando i topi avvertivano qualche segno di malattia, affioravano in superficie e morivano  a centinaia, costringendo le loro pulci a trovare un nuovo ospite in altri topi e, quando la catena si era esaurita, in un altro ospite, l’uomo. Cani e gatti furono ammazzati a migliaia in tutta Europa, e qualcuno suggerì anche di ammazzare tutti i colombi di Venezia: ma dei topi non fu per nulla sospettato.

Il quadro pestilenziale si presenta con tre principali varietà.
Peste bubbonica: è la forma caratterizzata dall’ingrossamento delle linfoghiandole inguinali, ascellari e parotidee. Viene così chiamata per la presenza di una determinata manifestazione clinica – il bubbone – cioè  della tumefazione di linfonodi infetti. La trasmissione avviene direttamente tramite puntura delle pulci. Questa è la forma più comune. Dopo circa otto giorni il bubbone assume un aspetto pseudoflemmonoso, rosso vinoso e diviene molle e fluttuante. Possono sopravvenire esantemi maculo-vescicolosi, si possono notare pustole e croste pestose e manifestazioni emorragiche; non raramente insorgono complicazioni nervose che determinano una grave compromissione psichica con manifestazioni deliranti e maniacali. Viene inoltre compromesso l’apparato respiratorio e… si giunge a complicazioni circolatorie, al coma e alla morte improvvisa per sincope.
Peste polmonare. La trasmissione avviene  per via aerogena da aliti, colpi di tosse o starnuti. Nell’arco di 24 ore dall’esordio, il quadro clinico comprende: bronchite, oppressione retrosternale, respirazione frequente e superficiale, broncopolmonite emorragica con tosse insistente ed espettorato schiumoso e roseo, diffusa cianosi. La malattia, lasciata a sé, conduce alla morte in 2-4 giorni per edema polmonare acuto o per collasso cardiovascolare.
Peste setticemica: si manifesta nell’acme delle epidemie. È piuttosto rara e consiste in una rapida diffusione dei bacilli in tutto l’organismo con compromissione delle condizioni generali e con frequenti emorragie. Caratteristico è lo stato di profondo torpore psichico che raggiunge l’ammalato dopo un periodo di agitazione e di delirio. Talvolta l’ammalato si trova in uno stato comatoso fin dal principio della malattia. Tale forma (detta “peste fulminante”) porta solitamente alla morte in 2 o 3 giorni.

A tutto questo  l’umanità  era sgomenta, atterrita e impotente e spesso disperata. La disperazione alimentò  talvolta violenze, furti, assassini, tradimenti, suicidi, bestialità.
L’ignoranza poi indusse l’uomo ad incolpare astri e pianeti, fuochi e miasmi, venti e nebbie, carestie e demoni. Quando questa sposò il fanatismo, creò perfino la figura degli untori come propagatori di morte, e su quel mare di dolori scovò l’ultimo tratto disponibile per erigere un patibolo assurdo per torturarli colpevolmente e martirizzarli.

LA   PESTE  A   BASSANO

di Ottone Brentari

… La peste desolò Bassano con tremenda frequenza nei secoli XV e XVI; e nella prima metà del XVII la rovinò, come vedremo, in modo spaventoso. Consultando gli Atti del Consiglio fa veramente orrore il sentir parlare in  ogni momento del terribile morbo,  ed il vedere i padri  della patria occupati nel combatterlo. Per accennare qualche esempio noteremo che li 8 Agosto 1406 vien presa la parte di ridurre il numero dei con¬siglieri da 28 a 24, e ciò perché mancavano persone adatte a quella carica, poiché  la pestilenza ne aveva fatto perire un grande numero; lì 28 Settembre 1420 il consigliere Marco Molino propone ed il Consiglio accetta di concedere  al podestà Antonio Veniero il permesso di ritirarsi in qualche luogo fuori di Bassano, per isfuggire il contagio che qui infieriva. Nel 1465 fu deciso di fabbricare presso il Brenta il Lazzaretto per gli  appestati ; e nel 1478 ritornò fierissima la moria,  come si riconosce dagli Atti del Consiglio di quello e del seguente anno. Li 23 Maggio 1478 vengono elette cinque persone,  le quali dovessero escogitare i mezzi atti  ad ovviare i pericoli della peste che andava avvicinandosi; e li  29 dello stesso mese si parla già della grande strage di abitanti fatte dalla pestilenza che aveva invasa Bassano: e li 24 Giugno vengono presi provvedimenti per diminuire i danni dei male, e per cercare un rimedio ai continui latrocini che una turba di furfanti commetteva in quei tristi giorni. Un’altra prova della gravità del morbo si è il  vedere  che  in   tutti   i   mesi   seguenti di quell’ anno i consiglieri non si riadunarono più;   ma l’ultimo giorno del Gennaio 1479 essi approvarono la distribuzione di sussidi pecuniari a coloro  qui haberunt morbum epidemialem come pure varie altre decisioni prese nel tempo del contagio;  e porsero ringraziamenti a coloro che si erano, in quelle meste circostanze,   resi benemeriti  della  patria,  fra  i quali in modo speciale viene nominato Basilio Negri.
Il  Consiglio nella stessa seduta prese provvedimenti per far  cessare il fetore che tramandavono i molti cadaveri sepolti durante la pestilenza nei cimiteri  di San Giovanni Battista,  di San Francesco e di Santa Maria ab ospitali (ora Beata Giovanna), come pure nell’orto attiguo a questa chiesa. Nel Maggio del 1482  la peste imbrattò nuovamente Bassano, e vi si diffuse più fiera che mai, venendovi da Venezia,   dove era  stata  portata  dai   soldati   che avevano combattuto contro Ferrara, quando la peste orientale fu sparsa per  gran parte d’Italia dai Turchi che avevano presa Otranto. II giorno 27 di quel mese il Consiglio elesse due provveditori con piena libertà ed autorità di tentar  ogni mezzo per limitare l’estendersi del contagio, e decise  di soccorrere con danaro gli infelici attaccati dal morbo. Il primo Aprile del 1483, scoppiata di nuovo la peste, fu eletta una commissione (composta di Francesco Campesano. Paolo Novello, Michele Stecchini, Matteo Forcatura ed Alessandro Campesano) coll’ incarico di prendere i soliti provvedimenti. Il  morbo si manifestò a Bassano anche nel 1488; e nel 1494 si propagò in Angarano : ed il Consiglio elesse due cittadini a vegliare che esso non entrasse in Bassano, e proibì il passaggio del porto col quale, in  mancanza del ponte, si transitava il Brenta . Nel 1495, a sorvegliare che non entrasse il morbo a Bassano, furono eletti Baldassare de’ Maggi e Giovanni Uguccioni, e furono poi prese  anche altre misure, perché  la peste spopolava il  Bassanese ,   infierendo specialmente a Cartigliano. Il   morbo  continuò  a diffondersi per circa due anni,  e solo li 17 Dicembre del 1497 si potè fare la fiera solita a  tenersi  nel giorno di San Martino, e che era sino allora  stata sospesa  appunto  in causa della peste.   Questa  nel   1501 si manifestò alle  Nove; ed   il   nostro   Consiglio incaricò Pietro Stecchini e Giovanni Francesco Bonapresio  a vegliare contro essa.  Il morbo si avvicinò anche nel 1503 e nel 1509; ma i  Bassanesi  in quegli anni se la cavarono colla sola paura.   Ma non furono tanto fortunati nel 1510;  chè nel Gennaio  di  quell’anno morì nelle vicinanze  della città uno col  sospetto di peste;   e perciò il  Consiglio  aggiunse,   ai soliti provveditori, due altri straordinari, e mandò Zardono Cestaro, custode del  Lazzaretto,  ad assumere informazioni su quella morte. Ma intanto la pestilenza portata dai Tedeschi di  Massimiliano, invase la città; ed i Bassanesi, visti inefficaci  i provvedimenti terreni, si rivolsero al cielo, e fecero solenne voto ai  Santi Sebastiano e Rocco perché intercedessero da Dio la liberazione dalla peste,   promettendo di fare annualmente, nel giorno di San Sebastiano, una processione sino alla chiesa di questo partendo da quella dì San Bernardino [ nota il Brentari: ora distrutta, stava nel giardino posto a mezzodì della piazzetta di San Francesco], coll’intervento di tutti i consiglieri, … e di tutti i religiosi e confraternite. Il morbo, ch’ era andato diminuendo nell’ inverno,  sì diffuse più fiero nel 1511; ed allora il Consiglio prese, fra altri provvedimenti, anche quello di salariare a spese pubbliche due persone che assistessero gli  appestati;  e sul principio dell’ anno seguente ne elesse altri tre, i quali dovevano vegliare alle tre porte principali  di Bassano perché non entrassero persone o robe infette.  Per qualche anno si respirò ;  ma nuovi timori sorsero nel 1523, 1527 e 1533, quando la peste spopolava le città vicine, ed i paesi del territorio, come pure nei 1545, 1546, 1551, 1562, e 1567, nel quale anno venne sospesa anche la fiera . La peste scoppiò poi a Bassano nel 1570, e di nuovo nel 1575. uccidendovi settanta persone. Nel Settembre dell’ anno seguente il Consiglio prese la parte di porre in un’ urna i nomi di tutti i consiglieri, ed estrarre ogni giorno quello di uno, il quale da mattina a sera alla porta del borgo Leon, per impedire  che entrasse a Bassano qualche causa di peste ;   ma  i  signori non poterono impedire che nel 1577 il morbo invadesse nuo¬vamente la città. Anche nel I578 la peste entrò a Bassano, dove non morirono però che settanta persone. Era allora podestà Michele Querini, che prese grandi precauzioni dapprima per tener lontano il morbo, ed indi perché questo si estendesse il meno possibile; e cessata la moria, il Querini fece innalzare, in memoria delle sue INTERNET__pilastroni_nel_2004cure, in fondo al Borgo Leone quelle due piramidi con basamento dette comunemente Pilastroni ,  fra cui negli anni posteriori si solevano porre i restelli della sanità,  dei quali si vedono anche al presente i cardini.
Nel 1620 e nel 1623 la peste vagolò nei dintorni di Bassano, senza però entrarvi ; e nel 1630 (che  fu anche anno di somma carestia, e che vide morire molti poveri di fame ) essa si avvicinava sempre di più. I Tedeschi, calati in Italia al tempo della guerra per la successione di Mantova, avevano cominciato a spargerla nella Valtellina, donde essa si dilatò poi a Lodi, Cremona, Modena e Milano : e, all’aprirsi della stagione,  essa sì diffuse sempre più, sotto forma di febbri acute e perniciose, accompagnate da grande calore agli  occhi, intensa doglia al capo ed alla schiena, nerissime macchie per tutto i! corpo, o sozzi bubboni alle anguinaie [=inguine]e sotto le ascelle.
A causa dell’accalcarsi degli eserciti sotto le mura di Mantova, dalla convivenza dei sani cogli ammalali, della malaria delle paludi ed arsura estiva, della sporcizia  e delle crapule dei Tedeschi lurchi [=mangioni e beoni], quella tremenda lue [=nel senso di contagio] si propagò spaventosamente ,  si estese per ogni dove , e ben presto involse in una rete di morte più che mezza Italia.
In vista del pericolo straordinario il Consiglio di Bassano, d’accordo anche con altri Comuni, abbondò nel prendere provvedimenti per tener  lontano il morbo crudele; e quantunque quella volta ogni sforzo riuscisse vano, pure non sono meno da ammirare i Bassanesi per il valore mostrato nello strenuo combattimento sostenuto contro il mostro che si avvicinava sempre più, stringeva a poco a poco Bassano in un cerchio di ferro, la avvolse nelle sue spire, e la desolò.
Il  primo che nel 1631venne colpito a Bassano di peste fu, secondo il Libro dei morti, certo Gerolamo figlio di G.B. Coloroni, il quale veniva da Verona, passò per Vicenza ed alloggio all’ osteria del Falcone ove erano morti molti di contagio, e venuto a Bassano fu preso dal morbo, e morì il giorno 22 Maggio;  e secondo il Montini fu invece certo Gabriele Orio  detto Fermo, fabbro nel castello inferiore. Costui morì li 24 Maggio ; e quantunque sul principio si sperasse che la di lui morte non fosse stata cagionata dal contagio,  pure, quando si vide che varie persone che abitavano con lui,  o che  con lui avevano avuto contatto, erano state assalite da vomiti, dolori al capo, e da altri mali che erano indizi sicuri di peste, non si dubitò più che si trattasse di  quel terribile male. Li 9 Giugno infatti morirono la moglie e la figlia dell’Orio, ed Angelo Nardello che con lui aveva avuto affari;  li 11 la suocera dell’Orio,  li 13 Angela di Mattio Compostella, li 17 una figlia di costei, li 21 Francesco figlio dell’Orio ed un figlio del Nardello.
Dopo questo giorno la peste andò propagandosi con celerità; e perciò il podestà, che era allora Domenico Tron,  ed i provveditori alla sanità,  che erano G.B, Brocchi, Paolo Fossa e Bardelino Como, per opporsi all’estendersi del male posero il sequestro a molte case, e fecero trasportare molti ammalati al Lazzaretto, provvedendo questo di medici, medicine, vino e cibi,  sopperendo alle spese in gran parie colle offerte della pubblica carità, che in tempi di pestilenze o rivoluzioni è meno scarsa del solito.
 A capo del Lazzaretto venne eletto dal Consiglio Girolamo Provai, che per il corso di tre mesi esercitò il suo ufficio, rendendosi meritevolissimo di lode per la sua diligenza e abnegazione ; e come flebotomo fu assunto Giacomo Zanchetta, il quale servì per circa cinque mesi..
Sul principio, per le molte cautele avute, e per la bontà della stagione e dell’aria, il male fece  pochi progressi: ed in tutto il mese di Giugno non morirono che 27 persone; ma tuttavia fuggirono da Bassano molti ricchi, che si recarono nelle loro ville, come pure molti artigiani, che andavano a cercare lavoro in luoghi meno pericolosi.
Verso la fine di Giugno però,  e sull’ entrare di Luglio, il male andò dapprima adagio adagio, e poi così rapidamente propagandosi, che ben presto non solo non v’era contrada in cui non vi fossero appestati, ma neppure una casa  non infetta; ed ammalarono e morirono non pochi, che da molti giorni, anzi da qualche mese, avevano sfuggito ogni contatto con qualunque persona. Col male cresceva anche,
come è ben naturale, la miseria; ed il giorno 2 Luglio furono perciò elette cinque persone, coll’incarico dì cercare aiuti non solo per gli appestati, ma anche  per i molti infelici che, o per malattia, o per sospetto di essa, erano sequestrati in casa senza mezzi di sussistenza. Siccome poi, essendo interdetto ogni commercio, e proibito il transito per la città di qualsifosse veicolo, v’era penuria estrema di vettovaglie anche per coloro che avevano il danaro per procurarsele. Furono elette, per ogni contrada, alcune probe persone a cercare  i mezzi per evitare che i salvati dal morbo morissero poi di fame. Per le cure di queste persone, e per la solerzia dei mercanti Lorenzo Reatto, Trivellini e Rossi, si sfuggì il pericolo della penuria di vettovaglie.
Domenico Bellato fornaio fece avere sempre pane fresco e sano; Gasparo Madruso mantenne la città fornita di carni; ed i farmacisti Provai, Austoni e Franchini non lasciarono mancare giammai alla città le medicine. Il doge aveva ordinato alle città vicine di fornire Bassano delle vettovaglie necessarie ; ma, tranne Asolo che fece moltissimo, gli altri non fecero nulla.
Il magistrato della sanità aveva intanto da pensare alla provvista di altre cose: cioè servi, carrette ed altri utensili per seppellire prestamente quanti morivano, e per limitare così il progresso della infezione. Sul principio i becchini si potevano trovare solo con somma difficoltà, perché dopo tre o quattro giorni di lavoro morivano tutti. Servirono dapprima Anzolo Trevisan ed un suo compagno, dei quali il primo morì, ed il secondo ammalò, e rimase impotente al lavoro; successe a costoro Girolamo Brisolin, il  quale  dopo dieci giorni venne portato via dalla peste; furono indi fatti venire doi da Primolano, i quali  non durarono alla fatica più di cinque giorni ; successero quindi Antonio dalla Riva per sette giorni, Pa¬squale Archiaro, Zentilin ed altri: ma tutti perivano dopo pochi dì.
Erano così restati molti cadaveri insepolti, quando giunsero a Bassano due monatti tedeschi [= i monatti erano persone guarite dalla peste] , che sotterrarono prima tutte le salme putrefatte, e servirono poi per circa tre mesi con soddisfazione del pubblico.
Sul principio del contagio i cadaveri si seppellivano nei cimiteri del duomo, di San Giovanni, e di Santa Maria della Misericordia (ora Beata Giovanna): ma crescendo poi i morti in numero sterminato, i soliti cimiteri, colmi di cadaveri, apparvero troppi angusti a contenerne altri; e Gerolamo Sale pensò allora di farli sotterrare nel Prato della fiera  o di Santa Caterina e, ottenuto il necessario permesso a ciò fare dal provveditore Marcello , fece ridur  quel prato a cimitero; e questo venne poi benedetto da don Bernardino Romano.
In Luglio perirono a Bassano 127 persone; ma, la peste desolò la città assai più in Agosto, nel qual mese ne morirono non meno di 610!
Anche la carità cittadina cominciava a venir meno; e quantunque molti cittadini si fossero volontariamente tassati per sovvenire i poveri, ed avessero, in più volte, dato ben 2000 ducati, pure, ciò non bastando, il Consiglio dovette trovar danari ad interesse, per fare fronte alle spese che dovevano incontrare i provveditori alla sanità , e per soccorrere i poveri appestati chiusi nel Lazzaretto; e nel tempo del flagello furono sovvenuti non solo tutti gli ammalati miserabili della città e borghi, ma ben anche molti artigiani, i quali, mancando il lavoro, dovevano ricorrere alla pubblica carità.
Nello stesso mese d’Agosto furono dal Consiglio eletti nuovi provveditori alla sanità, nelle persone di Gerolamo Sartori, Zivio Zamberlano e Pasino Omaccini ; ma ben presto il Sartori, per il sospetto che egli avesse appestati in casa, fu segregato, ed indi ammalò e morì: il Zamberlano (cui morirono sotto gli occhi la madre, la moglie, i figli, la fantesca, ed ammalò l’unica superstite figlioletta cinquenne), fu pure sequestrato; e l’ Omaccini, preso da febbre terzana,  dovette ritirarsi in villa. In loro vece vennero eletti Gerolamo Sale,  Nicolò Romano e Gerolamo Tiozzi, i quali non scansarono mai né fatiche né pericoli; e per il pubblico bene continuarono eroicamente imperterriti nell’adempimento del loro dovere, quan¬tunque al Sale morissero di peste i quattro figli ed al Romano la moglie.
Fu attivissimo e coraggiosissimo durante la pestilenza anche il podestà Domenico Tron,  il quale tenne sempre aperte le porte del Palazzo Pretorio, dando udienza a quanti la domandavano; e visitava di frequente il Lazzaretto, per assicurarsi che venissero amministrati agli ammalati gli alimenti necessari, e girava la città a consolare gli afflitti, ed a vedere se ai sequestrati venivano fornite le cose loro necessarie. Egli intervenne ad ogni seduta del Consiglio, e non tralasciò mai di farne eseguire le deliberazioni, e di fare quanto stava in lui per rendere quel flagello meno pesante che fosse stato possibile.
Il Tron non si scoraggiò neppure quando nel palazzo gli morirono una figlia ed un servo, ed ammalarono un figlio ed una fantesca; ché egli continuò imperturbabile a fare il suo dovere. Si distinse pure per coraggio ed abnegazione il sindico Alessandro Campesano il quale, benché sessagenario, ed orbato dalla peste d’un suo carissimo figliuolo, non cessò un momento dall’ adempiere ai doveri della sua carica, coadiuvando premurosamente il podestà. Durante il contagio furono benemeren¬tissimi anche i cappuccini, e specialmente il padre Giovanni Savioni di Bassano, il padre Giovanni Maria di Verona, ed il padre Eugenio da Verona, il quale morì di peste, e fu sepolto in San Gerolamo: ed arrischiarono pure la vita in aiuto e sollievo degli appestati i sacerdoti  don Domenico Beldense canonico, e don Bernardino Romano, curato alla dipendenza dell’arciprete don Cristoforo Veneziani. Il Romano, ammalatilisi in casa i parenti, per non essere sequestrato, andò ad abitare nel convento delle monache di San Giovanni, delle quali era confessore ; e quantunque egli fosse poi sempre in mezzo agli appestati, non ebbe mai il minimo male.
Intanto mancava a Bassano l’aiuto della medicina; perché il medico comunale G.B. Boni, che aveva lavorato con grande cura e carità, era morto di peste. Per sostituirlo venne li 24 Agosto stipendiato un veneziano, di nome Giovanni, venuto da Trento (dove asseriva di aver medicati e guariti molti appestati); e costui si assunse l’obbligo di curare i poveri presi dal morbo, perché da molti giorni gli appestati morivano senza assistenza. A questo Giovanni venne assegnato un salario di cinquanta ducati al mese; ma ben presto si riconobbe che  costui non era che un volgare avventu¬riere, perché egli non mostrava pratica di sorta nella cura della malattia,  e  non ottenne nessuna guarigione. Nel mese seguente giunsero a Bassano parecchi medici da vari paesi; cioè da Padova, Venezia, e sin da Napoli e dalla Francia; ma era, per la maggior parte, gente che tendeva più a far danari che a guarire il prossimo. Si distinse però, per guarigioni ottenute, un medico francese, certo d’Harrison, il quale, aiutato da un suo garzoncello quattordicenne, operava con molta bravura e carità in qualunque luogo fosse chiamato. Si distinse anche un tedesco, di nome Giorgio, il quale mostrò grande pratica nella cura della malattia, ed ottenne varie guarigioni, e fra gli altri guarì anche il Montini, autore della cronaca sulla peste. Per il Lazzaretto furono condotti dalla Comunità per un mese i due medici Alvise Savarello e Gritti, ai quali vennero concessi novanta ducati dì stipendio; ma costoro dovettero presto andarsene: il Savarelli, incaricato di dispensare danaro ai poveri, fu scoperto frodatore delle somme affidategli. Continuarono poi a piovere da ogni dove a Bassano  laidi faccendieri, che speculavano sulle disgrazie umane;  e sei di questi pseudomedici, recatisi a consulto presso l’ammalato Gaspare di Maggio (giovine di negozio del farmacista Provai), dichiararono sifilitico un bubbone pestilenziale  che quel misero  aveva sotto un’ascella, e che in poche ore lo uccise !
Con tutti questi medici il male, invece di cessare, andava ognor più dilatandosi in modo spaventoso. A cinquanta al giorno perivano gli appestati nel Settembre, nel qual mese la morte ne portò via non meno di 1064! Già sul principio di quel mese, visto che il numero di quei miseri andava crescendo ogni giorno più, e che non c’era più luogo da collocarli, il Consiglio incaricò i provveditori alla sanità di fare, lungo il Brenta, il Lazzaretto, alcuni casotti di legno, per porvi a morire quegli infelici.  Verso la metà del mese venne poi a Bassano, ed andò ad abitare nel monastero di San Fortunato, Giacomo Marcello,  destinato dal governo Veneto a provveditore sopra la sanità nel Trivigiano, Coneglianese e Bassanese; ed egli fece del gran bene alla nostra città, portando un po’ d’ordine dove oramai dominava la confusione del terrore. Egli fece costruire un secondo Lazzaretto nel castello superiore: curò che le case di Bassano venissero tutte liberate dagli appestati, i quali vennero ricoverati nei Lazzaretti ; dispose perché venissero accresciute e migliorate le provvigioni ai poveri ed agli infermi ; ed ordinò finalmente che si badasse con ogni cura alla pulizia. Il Marcello fu in tutto coadiuvato da Gerolamo Sale, il quale, in assenza di quello, ne faceva degnamente le veci. In grazia delle continue e severe cure di questi due benemeriti si notò presto una diminuzione nella furia della peste; e perciò anche gli animi oppressi del popolo cominciarono a rinfrancarsi, e ad aprirsi a qualche speranza. Il giorno 22 dello stesso mese vennero presentate in INTERNET_PESTE_-_TAVOLA_SANTA_TECLA_DUOMO_ESTEConsiglio varie proposte per un voto allo scopo dì impetrare da Dio la totale liberazione dal morbo ; e fu approvata quella di G. B. Brocco, di costruire cioè a spese pubbliche, una cappella in onore dei santi protettori di Bassano, cioè San Bassiano, San Clemente, San Sabastiano e San Rocco: ed il Consiglio stanziò a questo scopo la somma di ducali cento, esprimendo la speranza ed il desiderio che il resto venisse offerto dai devoti e pii cittadini.
In Ottobre la furia del morbo diminuì  d’assai, perché in quel mese non morirono che 113 persone, fra le quali il giorno 5  la peste si portò via anche Bartolomeo Costa, sindico. Ancor più diminuì nel Novembre, nel qual mese ne morirono soli 51, e nel Dicembre, quando il numero dei morti per peste discese a 10 . Questo  è però il numero dei morti che erano stati sotto la sorveglianza del magistrato alla sanità; ma certo non pochi altri morirono in case private, o furono fatti seppellire di nascosto od andarono a spirare nelle case di campagna: e tutte le cronache parlano sempre di più di 3000 morti .
Verso la metà di Gennaio del 1632 ritornò a Bassano il Marcello. Il Consiglio mandò tosto a pregare lui ed il podestà Tron di voler levare il sequestro alla città, a sollievo degli animi ed a difesa degli interessi dei Bassanesi. Il Marcello, assicuratosi che ormai la condiziono sanitaria della città era in istato normale, la sciolse dal sequestro, lasciando libere le relazioni commerciali di essa con altri luoghi non infetti. Allora il Consiglio prese la parte di far murare un marmo sotto il primo arco della chiesa di San Giovanni, dalla parte esterna coll’arma del Marcello, col motto: NUMINI PROTECTORI, e con una iscrizione latina che ricordasse i meriti del Marcello per Bassano, e gli obblighi della città con lui; e stabilì pure di spendere 50 ducati per fare fuochi artificiali ed altri segni di allegrezza per la liberazione dalla peste.
Il Marcello, per dare solennità all’atto della liberazione, li 23 Gennaio giorno dedicato a Santa Emerenziana, preceduto dalla compagnia dei Bombardieri cogli archibugi e collo stendardo, ed accompagnato dal podestà Tron e da molti cittadini, partitosi dal convento di Santa Catterina, dove era allora alloggiato, venne nella piazza, e salito sulla loggia pubblicò di là il decreto di liberazione, tra la esultanza e gli applausi del popolo. Prima ancora, per ringraziare Iddio, era stata celebrata in duomo una messa solenne, e fatta una processione, a cui erano intervenuti il clero secolare e regolare, le confraternite, e varie persone d’ambo i sessi; e per tutto il giorno e nella sera furono, in segno di allegrezza, sparati mortaretti e cannoni, accesi fuochi artificiali, e suonati i tamburi e le campane. Il giorno seguente partì il Marcello richiamato a Venezia; ed egli fu preceduto dai Bombardieri , ed accompagnato sino al confine del  Bassanese  da  grande  numero di  signore e signori con carrozze e cavalli.
Gli accidenti occorsi in Bassano durante quel pestilenziale flagello furono moltissimi. Il padre Francesco Pozzallo fu veduto andare di notte vagando per la città, furibondo e frenetico, e completamente nudo, e gridando all’armi, all’armi; certo Crestani si gettò urlando da un balcone, e rimase cadavere sulla strada ; un taglialegne che abitava nel Cornorotto fuggì di casa nudo, e corse a precipitarsi nel Brenta; un altro s’annegò invece nella fossa che c’era nella Piazza di San Francesco : e molti altri si tolsero in vari modi miseramente la vita. Tutti giravano con un bastone in mano per non lasciar che nessuno si accostasse, e non si riceveva le lettere se non in cima ad un bastone.
Per provare quanta fosse, specialmente in certe persone, la paura del  contagio, quale terribile impressione facesse sugli animi la sola vista  dei morti di peste,  e per imparare pure quali fossero i costumi e la carità delle monache di quel tempo, credo non sarà discaro che io trascriva nella sua integrità, questo brano d’una memoria scritta da una delle monache di San Gerolamo di Bassano:
« Nel tempo della Peste…. questo Monastero fu visitato dalla mano del Signore sebbene anco leggermente, mentre una sola l’ebe, e morì, il che successe in questa maniera. Quel tempo così calamitoso non solo moveva a continue lacrime e sospiri, e teneva le religiose in continua orazione, et afflizione, ma anco per più deplorar la nostra miseria a qualche curiosità di veder quelle horide casette con li morti apestati, e però una tra le altre che aveva nome Angelica Miazzi andò nel campanile e per un buco ebe l’ intento di veder quel spetacolo la quale viste (vide) molto anco più di quello pretendeva. Così si intimorì et spaventò, che se li comosse il sangue, et di lì a pochi giorni si dichiarò ferita di Peste. S’imagini il bisbiglio delle altre, et confusione. Per tanto misero la inferma nel letto in certa letiera a pe’ piano appresso la giesietta dove sta i Lambichi; e la governavano una conversa chiamata Suor Vittoria, e la M. S. Cecilia Miazzi sua sorella il che faceva con tutta quella deligienza che era possibile, et per confessarla vene il Mons. Romano uomo di gran carità, che però sopra una scala alla fenestra che era alta la confessò a voce alta lui, et la inferma come poteva et così alla meglio consolatala la lasciò : che poi morse. Et per sepelirla detta suor Vittoria fece la buca, et vestì la defunta, et poi la messe sopra una scala, et con una corda la tirò sin alla fossa, et qui con gran carità la sepelì senza altra assistenza…. Fatto questo quelle due religiose portarono tutto le robe in brolo, così di drapi come di altre cose, ed in specie il crocefisso  che aveva ajutato la inferma, et fatto un monte di tuto li diedero il foco, et si partirno, et da lì a hore tornate videro che la più parte delle dette robe si erano consumate ecetto che il crocifisso, che non aveva ricevuta lesione di sorte…. Fecero poi le due religiose la quarantia nella canevetta su il sagrato, che hora è l’ultima stanzia della sacrestia, et allora serviva  per tenervi legne, e lì facevan  l’oglio, et così fornita uscirono le religiose insieme con le altre essendo per  quel tempo tutte lo religiose vivute con gran riguardo, et nel coro non vi andavano più che 4 o 6 così anco nel refetorio per non si scaldar col fiatto e le restanti dicevano l’officio da per se.  Et cosi anco mangiavano. Et la Messa le feste udivano nel brolo alla Chiesa della Madonna avendo la bontà Monsignor Romano di dirla alta al possibile acciò dalle Madri sentita. Così anco a mezo il parlatorio tenevano li restelli acciò se qualche d’uno fosse venuto dalle Madri non si fosse accostato al finestrino ».
Ai danni portati dalla peste si aggiunsero quelli cagionati dalla pravità degli uomini ; chè molti birboni, approfittando delle disgrazie altrui, e del terrore della popolazione, giravano per le case commettendo furti e rapine:  e portando poi qua e là robe già state di gente ammalata o morta di peste, contribuirono a spargere a mille doppî il contagio.
Tale fu adunque la tremenda peste del 1631, che desolò non solamente Bassano, ma un vastissimo tratto d’Italia. Dopo di quell’anno quel terribile morbo non entrò più nella nostra città; ma esso invase paesi non remoti, e nel 1636, 1679, 1682, e 1713  il Consiglio di Bassano prese varie precauzioni per tenerlo lontano. Dopo il 1713 negli Atti del Consiglio non si fa più parola della peste; ed infatti da quell’anno in poi quel morbo sterminatore cominciò a mostrarsi assai di rado anche nel resto d’Italia e d’ Europa.

Principali fonti documentali

Brentari O. Storia di Bassano e del suo territorio. Sante Pozzato, Bassano, 1884

Brentari O. Guida storico-alpina di Bassano-Sette Comuni. Sante Pozzato, Bassano, 1885 

Cosmacini G, D’Agostino AW. La peste passato e presente.Editrice San Raffaele, Milano, 2008

MInchio A. (a cura). Pagine di storia, cultura e natura fra Pedemonte e Valbrenta. Bassano News, Editrice Artistica Bassano, Bassano, 2011

Piva L.Le pestilenze nel Veneto. Edizioni del noce, Camposampiero (PD), 1991

Remonato R. Spigolature bassanesi. A spasso per la città di ieri e di oggi. Editrice Artistica Bassano,Bassano, 2010

http://it.wikipedia.org

 

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