NOVE – CITTA’ DELLA CERAMICA – 05 – LA STAGIONE BARONI

LA STAGIONE BARONI (1802 – 1825

testo di Paola Marini, tratto da ” La La ceramica a Bassno e Nove dal XII ak XXi secolo , pubblicata del 2005

(realizzazione di Vascop Bordignon )

Un’aura di cultura e signorilità circonda nella letteratura la figura di Giovanni Baroni, nato a Rossano Veneto, affittuario e gestore dal 1802 di tutti e tre i comparti della fabbrica Antonibon (porcellana, maiolic: e terraglia), nuovamente riuniti sotto un’unica direzione.

Ma sono la porcellana e la terraglia gli impasti di gran lunga più usati; la maiolica risulta invece poco documentata.

Nel 1811, gli successe il figlio Paolo, che condusse l’impresa fino al 1825.

Agli abili e audaci imprenditori dell’avvio e dell’affermazione, segue dunque, secondo il copione di una ricorrente parabola aziendale, il detentore di un ruolo consolidato di privilegio, che asseconda frequentazioni e interessi ‘artistici’, mentre la manifattura prospera di una sorta di autonomia interiore vitalità, raggiungendo forse proprio in quel momento il suo apogeo, entro il quale peraltro albergano i germi dell’’irreversibile decadenza, sopraggiunta tuttavia almeno un decennio dopo quella di Cozzi, che aveva chiuso nel 1812.

La continuità è fisicamente garantita dalla presenza degli artefici di maggiore successo, il modellatore Domenico Bosello e il pittore Giovani Marcon, i quali muoiono rispettivamente nel 1821 e nel 1831 e, praticamente, dall’uso e riuso
dell’antico patrimonio di stampi; l’innovazione è appresentata da un tempestivo adeguamento allo stile neoclassico.

La famigerata presenza di artisti sassoni e francesi non ha invece altro fondamento che le firme sottostanti stampine dipinte in trompe-l’oeil su alcune piastrelle in terraglia, firme che si riferiscono piuttosto al nome, spesso riportato in forma corrotta, dell’autore della fonte grafica.Mentre nei piatti continuano a far testo le forme alleggerite e semplificate del Baccin, nei servizi da tè e da caffè domina il pozzetto, che ritorna come piccolo invaso cilindrico in calamai e surtout.

Ancora più profondo è il mutamento delle fogge dei contenitori. Perduta l’architettonica modellazione tardobarocca, ricca di squadri e sottosquadri, i proili di zuppiere, teiere, caffettiere, cioccolatiere si distendono in lisci andamenti tondeggianti, arricchiti da motivi decorativi concentrati prevalentamente nelle prese e nei manici.

Nei vasi, dove pure continua la fortuna dell’intramontabile jardinière, trionfano l’anfora, la campana e l’urna classicheggiante, con o senza manici o coperchio e dal collo speso traforato, anche di grandi e grandissime dimensioni.

Ai motivi ornamentali di repertorio, e soprattutto a quello floreale
più in voga, se ne aggiungono altri, che spesso coesistono, sia plastici a rilievo, sia dipinti, ispirati entrambi al gusto del tempo, che tende ad una generale omologazione su di un classicismo di ascendenza più o meno archeologica.

Sono greche e ghirlande, mascheroni e bucrani, sfingi e protomi, meandri, cammei, scenette ‘pompeiane’, fiori ottocenteschi e piccoli paesaggi che ricorrono, simili, in tutte le manifatture
venete ed europee.

Desunti da incisioni del secolo precedente, questi vengono riportati entro geometriche riserve e cartigli illusionistici, aderenti secondo l’uso di Vienna a fondi e corpi di piattini, tazze, vasi.

La tavolozza si arricchisce di toni intensi: un profondo blu, il giallo, accostati in forti contrasti o rinforzati e sottolineati dalle dorature, elemento distintivo degli oggetti più impegnativi ed eleganti.

Anche alla ceramica le guerre napoleoniche, vissute da vicino con la battaglia delle Nove tra francesi e austriaci del 1796, offrono nuovi soggetti.

Lentamente essi si sostituiscono a quelli mercantili, portuali e orientalistici. E a Napoleone, in visita a Bassano nel 1807, venne offerta una scelta di pezzi significativi di porcellana come attestazione delle capacità dell’azienda.

Meno sensibile, al confronto, è l’influenza della poetica canoviana
nella piccola scultura, che raramente rinnega la matrice settecentesca, e nella decorazione.

Soggetti più frequenti sono fatti di storia greca e romana, canti della Divina Commedia o più intime scene di vita quotidiana; non mancano neppure episodi galanti.

Le dorature, finemente crisografate, sull’esempio di Sèvres, Vienna e Capodimonte, arricchiscono spesso la già abbondante decorazione e sono di tale perfezione da ottenere al loro fabbricatore nel 1823 pubblici riconoscimenti.

Le crescenti difficoltà del settore, estese a tutta l’area veneta dopo la caduta della Serenissima, aveva indotto nel 1816 il Baroni ad invocare la la sovrana protezione dell’imperatore d’Austria, richiesta del resto rinnovata a favore di tutte le fabbriche del territorio dai deputati di Nove nel 1817. Ma, al di là delle cattive condizioni delle strade, dell’esuberanza delle materie prime in passato tanto richieste, degli aggravi fiscali, anche la qualità della produzione aveva in realtà registrato un oggettivo decadimento.

Nel 1818 la fabbrica di Giovanni Baroni è la seconda delle Province Venete per numero di dipendenti, dopo Sebellin di
Vicenza e seguita da Fontebasso di Treviso, ma è molto inferiore ad entrambe per capitali investiti e per quantità di prodotto.

Nel 1825 i Baroni si ritirano e contemporaneamente cessa la produzione della porcellana. Francesco Antonibon, discendente degli antichi proprietari, riprende in mano la fabbrica per guidarla sino alla fine dell’Ottocento. Da quel momento i Fontebasso resteranno gli unici a produrre porcellane di alta qualità nel Veneto.
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pubblicato 16 maggio 2024

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