BACCIN GIOVANNI MARIA
IL SUO PALAZZO
a cura di Vasco Bordignon
Il Palazzo venne collocato sul Liston, antico argine del fiume Brenta, alla fine del ‘700 dall’imprenditore ceramista Giovanni Maria Baccin, che, grazie ad una brillante carriera all’interno della manifattura Antonibon, riuscì ad accumulare notevoli capitali, tanto da acquistare case, terreni, masserie, opifici idraulici, una villa di campagna e fondare una propria azienda per la produzione di terraglia ad uso inglese.
(Immagine DEL LISTO GRANDE, datata 1928 ca,tratta dal libro “NOVE IN BIANCO E NERO. ALBUM FOTOGRAFICO FINO AL 1970, COMUNE DI NOVE, 2009. “Ampia visione di uno storico scorcio novese, in dialogo tra loro le facciate di Palazzo Baccin e di casa Zen con le allegorie in rilievo dedicate alla ceramica, in vista a sinistra il Villino Zen e una torretta liberti con alle spalle il fumaiolo funzionante di una fornaca (la fornace “fornasa”)
Palazzo Baccin 1920 ca. Altra immagine del Palazzo Baccinda foto del 1928 ca. Imprenditore illuminato per la sua epoca volle creare ai fianchi del Palazzo padronale sul “Liston” le case per gli operai della sua fabbrica, una di queste abiazioni è riconoscibile a destra. Sulla sinnistra invece il ritmo architettonico è già stato modificato per renderlo funzionale all’immagine di una fabbrica di ceramica, manca ancora un piano aggiunto in tempi postumi rispetto a quest’immaine.(Da “NOVEI N BIANCO E NERO ALBUM FOTOGRAFICO FINO AL 197O”)
Quello che attualmente chiamiamo Palazzo Baccin è solo una parte della Casa Dominicale abitata dalla famiglia e da un sacerdote, “maestro qui in casa mia
di questa scuola in Le Nove”, frequentata dai figli dei ceramisti per ricevere un’istruzione.
Il palazzo quindi, ora Bibliomuseo, tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’800 ebbe ospitato la prima scuola di Nove, avviata e sostenuta privatamente.
Verso la fine dell’800, dopo il passaggio tra diversi ereditieri, cominciano i frazionamenti e le alienazioni della proprietà, fino all’impresa iniziata nel 1922 dai tre ceramisti novesi: Teodoro Sebellin, Sebastiano Zanolli ed Alessandro Zarpellon, intenzionati a fondare una propria manifattura e che, attratti dal palazzo e dalla sua posizione, intrapresero una serie di acquisizioni che consentì loro di riunificare quasi integralmente il complesso edilizio originario.
Nel 1923 la facciata venne arricchita da un grandioso fregio allegorico in terraglia dipinta e invetriata, realizzato da “Doro” Sebellin, raffigurante una teoria di putti che giocano con le oche e sostengono festoni di fiori e frutta policromi. L’opera voleva manifestare la professionalità capace di offrire garanzie di affidabilità alle future committenze, come un grande biglietto da visita. Ogni piastralla è un tassello diverso dagli altri, modellato manualmente, grazie ad una tecnica appresa affiancando il prof. Luigi Fabris nel rivestimento della facciata dell’Hotel Hungaria al Lido di Venezia.
Nel secondo ventennio del ‘900 la fabbrica ebbe il suo apice, contando oltre tremila modelli in catalogo.
La “fabbrica dei tosi”, così definita per la giovane età dei tre imprenditori, produceva ceramiche artistiche e moderne, spaziando dalle forme barocche a motivi liberty e déco. Identitaria la produzione di figurette d’ispirazione alpina, le figure in costumi tipici europei, le composizioni scherzose con cani umanizzati e le figure femminili ispirate alla moda contemporanea.
Nella seconda metà degli anni ’50 la manifattura conobbe una nuova luce grazie alla collaborazione con diversi designer vincendo il Premio Palladio nel 1962 e nel 1973 con Pompeo Pianezzola.
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pubblicato il 7 giugno 2024