NOVE – LA MANIFATTURA ANTONIBON
di Paola Marini
IN “LA CERAICA A BASSNP E NOVE DAL XIII AL XXII SECOLO”, del 2005
La nascita della manifattura Antonibon avviene a Nove nel secondo decennio del Settecento, in una congiuntura particolarmente favorevole. — Infatti nel 1719 l‘unica fabbrica di maioliche della Repubblica di Venezia, la Manardi di Bassano, perdeva definitivamente il privilegio di esclusiva, mentre nel 1727 la prima fabbrica italiana di porcellana dura, fondata a Venezia da Giovanni Vezzi nel 1720, fu costretta a chiudere. — La decadenza della maiolica e il venir meno della produzione della porcellana indussero nel 1728 il Senato veneziano, nella sua tradizionale politica protezionistica, in agevolare chiunque in grado di impegnarsi in quella manifattura. — In un periodo in cui tutta l’Europa era percorsa da una vera e propria febbre della porcellana, il mercato era invaso dalle maioliche olandesi, fabbricate a imitazione delle porcellane cinesi bianche e blu importate dalla compagnia delle Indie sin dal secolo precedente. — Ma circolavano ampiamente anche maioliche provenienti dalla Liguria e dalla Romagna e le prime porcellane prodotte in Europa a Meissen e a Vienna. — Già nel 1732 Giovanni Battista Antonibon ottiene sostanziosi privilegi statali e l’autorizzazione ad aprire per un biennio un negozio a Venezia. — Le fonti archivistiche, assai utili alla ricostruzione della storia economica dell’impresa, non lo sono altrettanto per quella della produzione. — Il primo accenno in tal senso è fornito dalla relazione del 1735 sullo stato della fabbrica, in cui i Savi alla Mercanzia attestano che l’Antonibon è riuscito a ridurre l’importazione delle maioliche di Delft. — Possiamo dunque ipotizzare che i più antichi decori richiamassero i motivi olandesi bianchi e blu – che erano stati rapidamente imitati nei centri francesi di Rouen e Moustiers e di Savona, Torino e Lodi in Italia –, e fossero dipinti con I’uso prevalente, se non esclusivo della zaffera, unico colore presente tra gli ingredienti citati nella richiesta di privilegio del 1732. — E’ attribuibile ad una fase di passaggio tra la produzione iniziale monocroma e il successivo sviluppo, caratterizzato da una vivace policromia, uno dei decori più originali della manifattura in blu, verde e viola di manganese con profilature brune e rari piccoli tocchi gialli, chiamato convenzionalmente ‘a fiori recisi: anemoni, garofani, tulipani e rose selvatiche, desunti probabilmente da fonti incise, compongono ricchi mazzi. — Il rapporto con Lodi e Milano, ampiamente attestato dai documenti, e tradizionalmente riferito dalla letteratura, non appare tuttavia provato dagli esempi pervenutici, almeno per quanto riguarda quest’ultimo decoro, impropriamente definito ‘tipo Lodi’. — Fondamentale fu nella fase di avvio il contributo dato da esperte manovalanze, la maggior parte delle quali provenivano da aziende italiane e straniere di vecchia tradizione . — Il fiore della manifattura è testimoniato anche dal rinnovo del diritto di tener bottega a Venezia, che sappiamo situata a San Giovanni Crisostomo.– Nel 1741, con l’autorizzazione all’apertura di un secondo negozio, sarà rilevato nel 1742 quello già di proprietà Caffo a San Mois’. — Accanto alle antiche fabbriche bassanesi dei Manardi, da vari anni in declino e di Giovanni Antonio Caffi, privilegiata a partire dal 1736 , la manifattura Antonibon è gran lungo la più dinamica e promettente delle tre della Serenissima, tutte localizzate tra Bassano e Nove. — Alla morte di Giovanni Battista, nel 1737, gli succede il figlio Pasquale, sotto la cui direzione la fabbrica si avvia verso un periodo di grande floridità, favorito anche dalla chiusura dei due stabilimenti concorrenti nella zona. — Per un decennio circa, sino al 1751, anno in cui riaprirà a Bassano la fabbrica di Giovanni Maria Salmazzo, egli terrà in contrasto il campo della maiolica, di cui avrà nuovamente l’esclusiva in zona dopo la fine della stessa impresa, nel 1759 , e sino all’inizio della produzione da parte di Giacomino Cozzi nel 1769. — Quanto alla restante Terraferma, lo stesso Antonibon sostiene nel 1751 che, tranne a Brescia, non vi si ritrova in quel momento nessun fabbricatore, non solo di oggetti a stampo, ma neppure di “maioliche ordinarie”.– ll decennio tra il 1744 e il 1754 coincide con il massimo splendore dell’azienda.– Ilnumero degli operai cresce rapidamente: da 35 nel 1740 si passa a 104 nel 1754 e a 131 nel 1755, cui vanno aggiunti un centinaio di uomini, tra conduttori di legname, avventizi e venditori ambulanti, chiamati “tramontini” dal loro paese di provenienza, Tramonte, in Friuli, vicino a Cividale. — Ai negozi di Venezia e Bassano se ne affiancano prima a Mantova, Trento, Udine e poi (1754) ad Ancona, Pesaro, Rimini, Senigallia, nonché (1755) a Rovereto e Napoli. — Le ceramiche venivano inoltre smerciate alla fiera di Senigallia e nelle città della Romagna, a Ferrara, a Bologna, in Lombardia, ma anche all’estero, soprattutto in Austria, in Germania, a Costantinopoli, in Levante. — Le maioliche novesi sconfiggono nella Serenissima ogni concorrenza estera e sono in grado di affrontare con successo il mercato internazionale, come risulta dalla relazione dei Savi del maggio 1751, dove apprendiamo altresì che esse erano destinate non solo al comodo, e pulizia degl’usi domestici, ma persino all’ornato delle abitazioni. — A questo genere potremmo ascrivere piastrelle e composizioni di piastrelle con cornici modanate, ambrogette, piastre, acquasantiere, cornici di specchiere e lumiere, candelabri e lampadari, piani per tavolini o piccole consolles. — Straordinari devono essere stati quei parapeti che devono servire di ornamento alle vaneze del giardino del Gran Signore”, inviati nel 1751 a Costantinopoli insieme ad altra merce. — Naturalmente però la maggior parte della produzione era costituita proprio da oggetti d’uso, che offrivano varietà di forme e di decori e consentivano, a prezzi ragionevoli, di soddisfare il buon gusto e il desiderio di seguire la moda. — La maggior parte degli oggetti era eseguita a stampo, con poche eccezioni al tornio; i modelli spesso riprendevano quelli in argento o altri metalli, dimostrando una particolare propensione per forme molto mosse e articolate. La loro estrema varietà e complessità può spiegare la tenacia con cui l’Antonibon persegue negli anni, senza però mai ottenerla, la privativa per tutta la Terraferma per questa lavorazione, la più richiesta e adatta all’esportazione, che egli attribuisce ripetutamente alla sua “invenzione”. — Anche e soprattutto per quanto riguarda i decori, Pasquale Antonibon ideò nuovi disegni e da imitatore di manifatture straniere si fece promotore di gusto. — Due pezzi firmati e datati, il pannello sottofinestra del Museo Civico di Bassano (1751) e il centrotavola del Muso Civico di Nove (1755) costituiscono una sorta di sintesi di molti decori e offrono perciò un sicuro termine ante quem per la loro datazione . — Tra essi, può stupire l’assenza del “blansèr“, comunemente e impropriamente noto come tacchiolo, che per la semplicità di esecuzione, pochi colori e la presenza in forme ancora eseguite al tornio avrebbe tuti i requisiti per essere considerato uno trai motivi più precoci. — E’ questo il decoro più frequentemente realizzato anche altrove, soprattutto a Pesaro, nella fabbrica Casali e Callegari, fondata nel 1763, dov è denominato decoro “’al ticchio”. — Esso è caratterizzato dalla presenza di piccoli fiori in blu, rosso o bruno di manganese, prevalentemente accostati in una triade contornata di foglie, quasi una evoluzione policroma del mazzetto dell’ornato a fori blu’. — Questi in genere sovrastano un monticello roccioso, posto lungo il margine degli oggetti, da cui origina un tralcio, lungo il quale si dispone un altro gruppetto. — Il motivo, di lontana matrice orientale, può essere accostato a rose e fiori occidentali in un insieme tra i più caratteristici e diffusi della manifattura. — Un altro decoro ricorrente è quello a gruppi di frutta arricchiti da elementi architettonici, ruderi, strumenti musicali, figure (nani), animali, e da una continua differente resa del movimentato ‘cartoccio’ che li sostiene, cosi da dare vita a opulente ‘nature morte’ che ne giustificano l’appellativo di ‘frutta barocca’. — Di uesto decoro, considerato di origine lodigiana e presente pure nella produzione di Milano, Pavia e Pesaro, è nota una variante più corsiva, e una a gruppi di frutta di dimensioni minori. – Alla frutta con ‘cartoccio’ si avvicinano i decori con strumenti musicali e carte da gioco. — Ma è la cineseria – che unisce tutte le arti del rococò europeo come riflesso di un’identica passione – il motivo che si presta a più numerose varianti. — Il caratteristico ‘ponticello’ costituito da una nervosa radice ad arco, lo denomina tra collezionisti e amatori (mentre la tradizione orale lo ricorda come decoro persiano) e ne rappresenta il centro disegnativo, sormontato da elementi rocaille, da un ventaglio di turgidi petali e da un fiore carnoso. — Una miriade di fiori, fogliette e tralci secondari completano l’ornato, dove predominano il blu, il verde e il giallo in una brillantissima, ancorché ristretta, tavolozza. — Giardinetti, piramidi, palme, cipressi, uccelli esotici, forellini sparsi o entro cestini, qualche rara figura umana popolano talora questo favoloso paese del Catai. — Meno frequenti sono il decoro ‘Imari,’ dalla caratteristica tricromia (blu, rosso, giallo),, che, prendendo le mosse dai motivi tipo Delft’, inaugura la grande stagione della moda esotica nel Veneto, i piccoli paesaggi entro cornici a cartocci, gli stemmi araldici, gli esotici fiori a ‘croce’ con uccellino, il cosiddetto ‘bersò’, un tempo chiamato a Nove ‘rocolo’, soggetti popolari come i mesi, veri archetipi di quelli destinati a dominare la locale terraglia otto-novecentesca, soggetti religiosi desunti da stampe utilizzati prevalentemente per le acquasantiere. — Pure i fiori naturalistici introdotti nel repertorio di tutte le manifatture europee sull’esempio delle porcellane di Meissen, presentano innumerevoli composizioni. — Sul bianco latteo e luminoso dello splendido smalto, la ricca policromia era caratterizzata dall’inimitabile rosso mattone, il ‘rosso Antonibon’ resistente ad alta temperatura e rubate “a scartozzi “ dagli operai su sollecitazione dei concorrenti. — Le prime applicazioni di decori a piccolo fuoco avvennero probabilmente in concomitanza con gli esperimenti in corso alla metà del secolo per ottenere la porcellana, che per la decorazione pittorica necessita appunto di una terza cottura a bassa temperatura. — Tra questi, il principale era quello ‘ad uso Marsiglia, costituito da mazzetti di fiori recisi e rosette sparse introdotto nel 1744 da Paul Hannong a Strasburgo e subito ripreso a Marsiglia dalla Veuve Perrin. – – La nuova tecnica consentiva di utilizzare tinte che non sopportavano la cottura a gran fuoco, ampliando e diversificando la gamma cromatica, in cui dominano le porpore: splendidi rosa, magenta e viola scuro. — Sempre da Strasburgo, più o meno negli stessi anni, sulla scia di Meissen e di Hoechst, ebbero straordinaria diffusione anche quei modelli di contenitori, zuppiere o salsiere, en trompe-l’oeil, a forma di animali o di vegetali, che saranno ripresi con relativa tempestività e tale perizia nella manifattura di Nove, prima in maiolica e poi in terraglia, da divenirne caratteristici. — La concorrenza andrà aumentando dalla metà degli anni Sessanta in poi, sia all’interno della Repubblica, soprattutto ad opera di Cozzi a Venezia per la porcellana, di Brunello a Este e Rossi a Treviso per la maiolica, sia all’estero, per l’affancarsi alla manifattura lodigiana della nuova fabbrica milanese di Pasquale Rubati e per l’aumento delle importazioni da Marsiglia. — Proprio in considerazione di ciò, nel 1763, insieme all’ormai consueto rinnovo decennale dei privilegi, Antonibon conseguirà una nuova agevolazione sotto forma di aumento del dazio sulle importazioni di maioliche straniere. — Per ragioni ancora ignote, il 16 gennaio 1773 Pasquale Antonibon tuttavia si ritira e affida il settore della maiolica per ventinove anni a uno dei suoi direttori, Giovanni Maria Baccin.
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