PADINO ANTONIO – Bassano del Grappa 26/01/1948 – UN ARTIGIANO GENIALE

PADINO ANTONIO

UN ARTIGIANO GENIALE

a cura di Vasco Bordignon

Antonio Padino è nato a Bassano del Grappa il 26 gennaio 1948, figlio di Vittore, ferroviere e di Borsatto Maria, casalinga. Ha frequentato la scuola elementare alla Mazzini nei primi due anni e negli altri tre anni alla scuola Monte Grappa di Viale Venezia. Poi l’Avviamento in via Beata Giovanna, per tre anni.

Nel 1964, a 16 anni, ottiene il diploma di “Disegnatore Tecnico” conseguito presso l’E.N.A.I.P. di Vicenza, sede di Bassano del Grappa.

Terminati gli studi frequenta volontariamente l’orologeria di Gottardi Giuseppe in Via Verci desideroso di apprendere questo lavoro affascinato dai piccoli meccanismi interni. In questo periodo gli venivano a volte richieste alcune commissioni. Importante fu la conoscenza dell’orafo Antonio Zonta con bottega in via Zaccaria Bricito. Zonta vide nel giovane Antonio un grande appassionato lavoratore e lo assunse. Antonio vi lavorò come orafo dipendente dal 1965 al 1974. Da Zonta imparò la tecnica della microfusione a cera persa, imparata a sua volta dalla scuola orafa di Valenza Po.

Nel 1973 convola a nozze con Gilda Bertan, che lo allieterà con la nascita di due figlie.

Dal 1974 al 1991 lavora, con un socio, come artigiano orafo a Rosà (VI) realizzando soprattutto oggetti in microfusione a cera persa.

Nel 1989, a 41 anni, ottiene la qualifica di incastonatore di pietre preziose al termine di un corso di 240 ore della Regione Veneto organizzata da Giovanni Jannacopulos, all’inizio della sua attività in campi professionali e nel settore televisivo.

Dal 1991-1992 prosegue la sua attività a Bassano in Via Porto di Brenta.

Nel 1994 è vincitore del 1° premio per la valenza tecnica alla mostra “Evoluzione dell’arte orafa veneta” con donazione dell’opera al Museo di Bassano del Grappa.

piatto anteriore del libroimmagine dell’opera : collana in oro giallo. Microfusione in un unico pezzo

Nello stesso anno 1994 ottiene il brevetto (per l’Italia, l’Europa e gli Stati Uniti) per la realizzazione di pizzi in oro attraverso la microfusione a cera persa.

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La tecnica e alcune realizzazioni

Prendiamo un pizzo di cotone tra i tanti disponibili

Il pizzo o i pizzi di cotone che abbiamo scelto vengono immersi in cera liquida per un certo periodo. Quando si è ritenuto che il pizzo o i pizzi si siano ben impregnati di cera, vengono posti ad asciugare. Una volta asciutti avremo dei calchi esatti dei pizzi di cotone utilizzati.  

Le estremità dei calchi così ottenuti vengono unite tra di loro formando un cerchio. Questa struttura circolare viene poi posta in una struttura metallica (tubo di acciaio). Altri stampi vengono posti uno sopra l’altro e l’insieme di tutti i calchi così sistemati viene detto l’albero, che è quindi l’insieme dei vari calchi dei vari pizzi di cotone.

l’albero

Attorno all’albero viene posizionata una camicia d’acciaio, e poi si riempie il tutto con gesso liquido.

Successivamente l’albero così trattato viene posto in forno (a 700 gradi circa) in modo che tutta la cera esca e si bruci, da qui il nome di cera persa, e così, all’interno, resterà l’impronta del pizzo o di altro oggetto.

Successivamente l’albero viene riempito di metallo liquido, in genere l’oro per la sua maggiore fluidità rispetto ad altri metalli, ad . es. l’argento. L’oro occuperà tutti gli spazi lasciati vuoti dalla cera fatta uscire.

il risultato finale

Alcuni esempi di questa tecnica

Collare con orecchini e spillaorecchini collierpizzo di Burano

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1999, immagine di Padino foto di Bassiano Zonta

Nel 2001 viene invitato a partecipare con proprie opere alla mostra, all’interno della Fiera di Vicenza, “ Il valore della Mano. Cento anni di Evoluzione dell’artigianato orafo ”.piatto anteriore del libro

Nell’anno accademico 2000-2001 collabora con la Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Padova: sia mettendo a disposizione il suo laboratorio per visite dei corsisti di ingegneria meccanica, sia come tutor di un corsista. Quest’ultimo effettuò 300 ore di stage e la sua tesi venne incentrata sulla ricerca di come veniva costruita l’antica catena manin (processo fino ad allora ignoto) e sulla progettazione di una macchina automatica per la realizzazione della stessa. Tale lavoro viene premiato dall’Associazione industriali

.piatto anteriore della tesi universitaria

realizzazione della catena manin

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Note sulla collana manin

Nell’oreficeria veneta, il punto di convergenza tra tradizione artigianale, meccanizzazione e industrializzazione, è la catena manin che conosce un enorme favore di pubblico e diffusione nell’Ottocento, quando essa è indossata da alcuni ceti sociali.

La catena alla veneziana, attraverso varianti e modifiche, si trasforma, nel Novecento, in produzione industriale per diventare, a partire dal 1955, il tipo di catena di maggior successo al mondo.

Storicamente la catena manin era il gioiello tipico della donna veneziana. Composto da innumerevoli fili d’oro zecchino veniva portato sia al collo che usato come bracciale.

I “boni manini” richiedevano molto lavoro di precisione. Esso si svolgeva in modo semplice ed arcaico: una boccia di vetro riempita d’acqua fungeva da lente per consentire a piccole mani abili, da cui il nome di manin o manini, di unire gli anelli infinitamente minuscoli, a sezione circolare cava, che componevano la catena.

Era frequente che essa misurasse varie decine di metri, cosa che permetteva di creare vistosi gioielli. Esistono ancora esemplari di cinquanta metri.

Spesso usata come bene dotale, la catena manin veniva divisa dalle madri in parti uguali tra le figlie e queste, a loro volta, le dividevano nello stesso modo.

Essa era anche una promessa d’amicizia che le donne facevano fra loro, soprattutto se queste dovevano lasciare Venezia.

Il colore della manin è solare e con il tempo acquista le diverse e calde sfumature che solo l’oro puro sa catturare. (tratto da catalogo mostra “del far catena” del 2004)

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Negli anni scolastici 2001-2005 collabora come tecnico orafo nei corsi degli apprendisti orafi dell’Ente di formazione professionale “Casa di Carità Arti e Mestieri”, sede di Bassano del Grappa, presso il “CESAR” (centro sviluppo artigianato) di Vicenza e di Trissino e presso l’Istituto professionale per i Servizi Commerciali e Turistici “Livia Battisti” di Trento.

Nel 2004, in collaborazione con la Dott.ssa Tommasina Andrighetto, cura la mostra Del far catena, una esposizione che va dalla prima industrializzazione all’avanguardia, una selezione di preziose catene e relativi macchinari) presso la Fiera di Vicenza e successivamente trasportata presso il Teatro Olimpico di Vicenza.

piatto anteriore del catalogo della Mostra

Nel corso degli anni ha collaborato con vari artisti, tra cui Augusto Murer, Adriano Bergozza, Vittorio Paratore, Orfeo Bonato, Federico Bonaldi, Bruno Breggion.

il gallo di Murer in microfusioneAugusto Murer nel laboratorio di Padino

Se richiesto, svolge consulenza tecnica sia nei processi di lavorazione sia sulla progettazione di macchinari per oreficeria.

Assecondando la sua passione giovanile per l’orologeria, esegue restauri di antichi orologi a pendolo sia da interni che monumentali (da torre). Si ricordano il restauro dell’orologio del Ferracina posto all’ingresso del Museo Civico e il restauro del meccanismo settecentesco dell‘orologio della Torre di Bassano del Grappa (2002).

meccanismi dell’orologio del Ferracinaimmagini della  torre con orologio in piazza Garibaldi

Nell’anno accademico 2014-2015, in qualità di consulente tecnico, collabora alla tesi di laurea “La Manin: da Venezia le catene d’oro nel mondo” di M. Giovanna Attanasi, presso la facoltà di Lettere e Filosofia “Ca’ Foscari” di Venezia

Dal 2015 viene esposta nella sezione “Novecento” del Museo di Bassano del Grappa la sua opera vincitrice del 1° premio (collier in pizzo d’oro realizzata in microfusione) alla mostra del 1994.

Su richiesta del Comune di Bassano del Grappa realizza la statuetta in argento raffigurante San Bassiano, e la relativa locandina per il premio cultura Città di Bassano, edizioni 2017 e 2018.

San Bassiano premio cultura

La stessa scultura, riproposta in ferro battuto e alta 2,5 metri viene donata dall’autore all’Ospedale di Bassano del Grappa e collocata all’ingresso dello stesso.

in lavorazionesede attuale

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pubblicato 10 marzo 2022

 

 

 

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