BERGOZZA ADRIANO E IL SUO LIBRO D’AUTORE
a cura di Vasco Bordignon
E’ un libro molto particolare, in quanto non usa caratteri di scrittura, ma utilizza atmosfere artistiche all’interno delle quali dovremmo trovare emozioni non solo per gli occhi ma anche per il cervello.
Come nasce questo libro? Lo spiega Adriano : “Il mio libro è stato un progetto molto laborioso; ma alla fine sono rimasto soddisfatto del risultato. Come già detto, il titolo era “Oblio”, suggeritomi dalla frase di Cartesio: «Una volta nella vita occorre disfarsi di tutte le opinioni apprese e ricostruire completamente dalle fondamenta il sistema delle proprie conoscenze» Il mio libro aveva un doppio dorso in legno, rivestito di carta nera da un lato e di carta bianca dall’altro. Al centro delle due facce un’anima rigida di cartone. Nelle pagine interne erano stampati una serie di collage che avevo realizzato l’anno prima perché, dovendo, grazie al mio lavoro, fotografare molto materiale del museo di Bassano, avevo scoperto Collaert, un incisore le cui composizioni erano di animali visti in primo piano – pesci, uccelli, coccodrilli –, sullo sfondo di paesaggi fiamminghi. Immagini surreali per il suo tempo, che mi hanno talmente preso e incuriosito, che ho chiesto il permesso di fotografarle anche per me. Una sera, a casa, ho tagliato le foto delle mie sculture in terracotta e le foto delle stampe di Collaert, facendo delle intersecazioni tra il suo lavoro e il mio. A quel tempo io conoscevo solo il suo cognome, ma una sera d’inverno, mentre ero al lavoro nel creare intersecazioni, ho guardato con attenzione, munito di una lente, la sua firma ed ho scoperto con mio grande stupore che anche lui si chiamava Adriano: Adrian Collaert. L’analogia dei nomi mi ha fato pensare che la mia scelta non fosse stata del tutto casuale e che l’inconscio mi aveva guidato verso questo curioso autore.”
Dimensioni del libro: 30x30x3 cm.
IL CONTENITORELA LEGATURA DEL LIBRO IL TITOLO
LA DEDICA AI FIGLI MONICA E FEDERICO
Valutazione artistica di Nico Stringa
Il collage è una tecnica (meglio: un’invenzione) tipicamente novecentesca, legata alla diffusione della fotografia e della stampa, alla suggestione provocata dalla massificazione delle immagini e, per converso, alla possibilità del loro uso decontestualizzato. Il nome stesso, fatto proprio dalle avanguardie francesi d’inizio secolo e divenuto di uso comune anche nelle altre lingue, trattiene la valenza dissacratoria che allora doveva essere ben nota, dato che per “collage” si intendeva l’unione extramatrimoniale, libera, tra uomo e donna. Libero assemblaggio, dunque, tra elementi diversi, ma non incompatibili. O per sintonia o per contrasto, dovrà pur esserci feeeling (innamoramento?) tra le componenti.
E nel nostro caso dove sta l’affinità elettiva che ha fatto scoccare la scintilla amorosa? Mi pare che si possa individuare innanzi tutto nella grande distanza cronologica e geografica tra le due esperienze figurative; Collaert è stato attivo nel XVI secolo nei Paesi Bassi ed è un artista, per quanto poco noto, emblematico del potenziale rappresentativo dispiegatosi in Europa nel Rinascimento. In secondo luogo appare dominante una dialettica di attrazione-repulsione tra linea curva e linea retta, tra pittura e volume, tra organico e inorganico. Ma anche senza risalire alle coppie interpretative formulate dai teorici della pura visibilità, è evidente che è proprio uno scatto iconico a presiedere all’intuizione di Bergozza: animare gli opposti, proprio perché tali, farli interagire in andata e ritorno e far accadere qualcosa di nuovo.
Questo libro, che procede in avanti ma solo per tornare indietro, indica sia nella forma che nel contenuto l’importanza dell’andirivieni nel costruirsi dell’immagine creativa. Quante volte il rovesciamento, la reversibilità e la palindromia hanno condotto a nuove intuizioni, a esiti imprevisti e nuovi? Qui l’autore è entrato, con il proprio bagaglio vissuto, nel paesaggio stralunato e protometafisico di Collaert, non meno di quanto abbia acconsentivo alle immagini dell’incisore fiammingo di entrare nelle proprie sculture.
A questo punto gli autori sono due, ed entrambi, Collaert e Bergozza, sembrano assistere ad un happening dalle conseguenze imprevedibili, divertenti e terrificanti, ludiche e spaventose. Ne è scaturita così una terza cosa, nella quale la fonte ispirativa, invece di essere occultata, è resa manifesta; di qui, anche, la particolare struttura dialogica del libro-non-libro. Un dialogo che per essere tale, è a doppio taglio: la metamorfosi sconvolge non solo gli animali di Collaert ma anche le sculture di Bergozza (gli uccellini diventano geometrici e le geometrie mettono penne e squame; e sembra aprire spiragli, retroattivi e futuribili, buoni per entrambi ( e per altre consimili “con-fusioni”).
A noi questa operazione sembra più che mai riuscita, e piace. Ma Adriano di Collaert cosa direbbe del suo omonimo collega, Adriano … di Bassano. Venezia, Novembre 1998. Nico Stringa
(NB. questo scritto è stampato su due facciate con lettere troppo piccole per essere lette normalmente, senza una lente di ingrandimento. Per questo ho voluto riscriverlo!
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