L’ARTE DELLO SCALPELLINO
dai disegni e dalle spiegazioni di Giacomo (Kobe) Todesco
a cura di Vasco Bordignon
Alcuni anni fa stavo realizzando, per questo sito, alcuni scritti relativi alla attività di cava e poi di lavoro degli scalpellini di Pove. Cercando in paese e a Bassano dei nominativi per ampliare le mie conoscenze, il nome che più ricorreva era quello di Kobe. Sono andato perciò a trovarlo nel laboratorio di Solagna. Kobe fu entusiasto della mia proposta e per un lungo periodo ci siamo incontrati, spiegandomi tantissime cose, illustrandomi tanti step del lavoro nel periodo in cui non vi erano tecnologie particolari se non quella dell’ “olio di gomito”. Da questa collaborazione realizzai file inseriti nello spazio riferito al Comune di Pove.
Da quel lavoro ho estrapolato quanto è di Kobe, per ringraziarlo e per ricordarlo non solo come un grande artista “scalpellino” ma soprattutto come uomo appassionato del suo lavoro, uomo colto e generoso.
*****************
L’attività di uno scalpellino iniziava nella cava per l’estrazione del marmo necessario al lavoro da realizzare, quindi al trasporto del materiale nel laboratorio dove si eseguivano varie attività a seconda di ciò che si doveva realizzare.
GLI STRUMENTI
Gli strumenti principali che si usavano nelle cave erano principalmente : la punta o subbia, la mazzetta o mazzuolo, la martellina, la gradina, l’ungetto e vari tipi di scalpelli, oltre ad altri per la lavorazione delle pietre in base alla richieste commerciali (sopra disegno di Kobe Todesco).
PUNTA o SUBBIA: E’ un ferro con una semplice punta, preferibilmente di forma piramidale. La sua lunghezza dipende dal solco da realizzare. Importante l’inclinazione della punta e gli spigoli che la determinano. Utensile impiegato sia per l’estrazione, sia per la sgrossatura sia per la finitura di materiali lapidei e per questo può essere di maggiore o minore grossezza.
SCALPELLO. Lo scalpello costituisce uno degli strumenti più utilizzati; la sua caratteristica risiede nel bordo da taglio rappresentata da una superficie piatta, affilata perpendicolarmente alla linea dell’asta. Le sue lunghezze e le sue forme possono essere assai variabili in base al suo utilizzo.
SCALPELLO RICURVO o UGNETTO : è caratterizzato dalla parte terminale che si ristringe rispetto all’asta e cambia direzione incurvandosi . Utile per particolari lavori su pietra o marmo.
SCALPELLO A TESTA TONDA o UNGHIETTO od ONGETTA o FERROTONDO : è un attrezzo con Il bordo della lama arrotondata, simile alla forma di un dito. Questo strumento ha una sezione stretta che parte dal fusto dello scalpello che si allarga formando un ampio semicerchio.
CUNEI : strumenti in ferro (ma anche di legno) utilizzati in cava principalmente per il distacco di grossi massi di marmo o di pietra.
MAZZA: attrezzo costituito di norma da una lunga asta di legno lunga 60-80 cm alla cui estremità vi un martello di vario peso (da 1 a 4 kg) la cui testa è a sezione quadrata con un lato di 6-8 cm. Utilizzato in cava prevalentemente per la frantumazione dei blocchi marmorei.
MAZZETTA o MAZZUOLO è un attrezzo di dimensioni minori e quindi più maneggevole con teste uguali adatto in qualsiasi operazione dove sia necessario percuotere un altro attrezzo (scalpello, gradina, punta, ecc.)
PUNCIOTTI o PONCIOTTI : sono dei grossi e tozzi scalpelli più larghi nella parte superiore, poi diminuiscono di larghezza senza tuttavia arrivare a formare una punta. La loro azione trasmessa dalla mazza o dalla mazzetta si esercita sulle pareti laterali dei fori (“busi”) effettuati nella massa marmorea.
LEVA: strumento assai semplice costituito da un’asta di ferro di varia lunghezza e di vario spessore e di peso utilizzata per alzare e/o smuovere in cava materiale marmoreo di una certa grandezza e peso.
LEVARIN: strumento somigliante alla leva ma più piccolo e più leggero. Così veniva chiamato nelle nostre cave.
GIANDINO O GIANDIN è uno scalpello con la parte finale piuttosto tozza e serve per sgrezzare superfici marmoree togliendo parti di una certa grossezza che risultino in eccesso.
SCALPELLO DENTATO O GRADINA. La gradina è uno scalpello dentato che serve per lavorare prevalentemente nel senso del piano più che nella profondità. Si ottiene una superficie a striature, a linee parallele. L’incrocio di vari solchi ottenuti con la gradina dà una superficie variata e di bell’effetto.
MARTELLINA. La martellina è una specie di martello di ferro con teste a taglio dentato: da una parte denti più grandi e dall’altra più minute. Può essere usato al posto della gradina quando si tratta di lavori ordinari o di superficie piane.
TESTU’ : assomiglia ad una comune mazza solo che si differenzia in quanto una faccia è concava realizzando due spigoli taglienti più o meno lunghi mediante i quali si può ottenere un’azione precisa di distacco di una parte non necessaria in un un blocco marmoreo. Per ottenere questa azione è necessario che venga colpita da un’altra comune mazza. Sono necessarie due persone.
SGRAFON/BROCCA o PICA : strumento che può essere chiamato o con l’uno o con l’altro nome. La sua caratteristica è quella di terminare con teste in ferro temperato da una parte larga terminante con denti più o meno lunghi (sgrafon), e dall’altra stretta terminante con una punta (brocca). Strumento che va impugnato a due mani. Utile in modo particolare nella sgrossatura. Viene indicato in altre località con il nome di “pica”.
BOCCIARDA : assomiglia ad un robusto mazzuolo di 2-3 kg di peso con estremità dentate rettangolari con una superficie di percussione di circa 10-15 centimetri.
La sua azione sulla superficie marmorea determina un particolare effetto di tipo granuloso.
APANO AD ARCHETTO O A VIOLINO: costituito da un’asta in legno con un pomello girevole, sulla quale veniva fissato un rocchetto. Sul rocchetto (o direttamente sull’asta se questo mancava) veniva avvolto il filo dell’archetto. Una mano reggeva il pomello , l’altra faceva scorrere avanti e indietro l’archetto : l’asta girava in un senso e nell’altro. La punta che veniva alloggiata alla fine dell’asta girando avanti e indietro produceva il foro.
TRAPANI A MANOVELLA. Strumento in ferro con parte centrale sagomata ad U a manovella. Ad una estremità vi è un pomello in legno per la presa e all’altra estremità vi è un mandrino per accogliere la punta. Una volta che si è montata una punta del diametro voluto e fatta combaciare sul punto da forare, con la mano sinistra si spinge sul pomello verso la foratura e con la mano destra si gira manovella. Si possono effettuare dei fori di non grandi dimensioni.
COMPASSI ordinari: possono essere in legno o in ferro e servono per determinare le distanze da un punto all’altro, per misurare e dividere linee, per descrivere circonferenze ed archi.
COMPASSI a braccia curve convergenti: servono per prendere le misure dei volumi delle forme. Si può ingrandire due o più volte la forma spostando conseguentemente la vite che ferma le due braccia.
RASPE : sono lime in ferro in svariate sagomature e forme. Possono essere usate a secco per levigatura di superfici lapidee, oppure utilizzate con sabbia bagnata per una levigatura di finitura.
SQUADRE in legno o in ferro per tracciare linee parallele o perpendicolari.
RASCHIETTO: è un doppio scalpello con fusto piegato ad esse le cui estremità smussate ed acciaiate sono piatte e taglienti. Si usa senza il soccorso del mazzuolo premendolo fortemente con le mano per togliere dalla superficie le più piccole irregolarità rimaste.
LIVELLO O BOLLA D’ARIA : importante per disporre orizzontalmente un piano di lavoro
L’ ATTIVITA’ DI CAVA
L’attività di cava consisteva nell’estrazione di blocchi di marmo, nella loro riquadratura e nel loro trasporto fino alla bottega del paese. Lo scalpellino, un tempo, di solito era sempre presente in tutte queste attività fino alla lavorazione stessa. Alcuni – vedi più avanti – saliranno agli onori dell’arte per indubbie capacità scultoree. La maggioranza degli addetti fino all’epoca della meccanizzazione svolgeva una vita durissima, dall’alba al tramonto, spesso in condizioni ambientali estreme e di perenne rischio in particolare nelle fasi di estrazione e di trasporto, come vedremo. Per alcuni secoli per Pove e dintorni aleggiava una base sonora talora rapida, veloce ritmata dall’azione della punta sulla roccia o sul pezzo marmoreo da sbozzare, talora più lenta e più rumorosa dall’azione delle martelline o degli sgrafon e talora muta, rappresentata dai silenzi della sola pura forza delle braccia e dell’abbondante sudore. Per secoli abbiamo avuto due soli protagonisti l’uomo e la roccia. Ad essi la nostra perenne ammirazione.
A – L’ESTRAZIONE DEL MARMO
Le stratificazioni o i corsi delle rocce nelle nostre cave in generale avevano spessori che non superavano i 30-35 cm e ciò era sufficiente per la maggior parte delle richieste almeno nel periodo dell’ultima guerra e del dopoguerra. Nel gergo locale infatti si indicavano gli strati con nomi indicanti già gli utilizzi : ad es. strato delle “piasse” quelli di 6-7 cm che ovviamente servivano per la pavimentazione di superfici pubbliche o lo strato dei “scaineti” quello di circa 5 cm dal quale su traevano i pezzi per la pedata di un gradino (“scaineto”), mentre l’alzata poteva essere di altro materiale (disegno di Kobe Todesco). E’ verosimile poi che nel Settecento e nell’Ottocento ove i corsi delle rocce avevano spessori molto più grandi gli scalpellini-tagliapietra abbiano usato cunei di legno o di ferro come avveniva in altre grandi cave (ne parlerò nel successivo capitolo).
La parte più laboriosa da staccare rappresentava quella a diretto contatto con la massa rocciosa, mentre lateralmente di solito una parte era già libera e dall’altra parte non si aveva grande difficoltà a trovare una fissurazione (assai frequente in queste rocce) come pure non difficoltosa era la parte inferiore a livello di una stratificazione quasi sempre segnalata dalla presenza da materiale argilloso pietrificato e quindi facile da staccare anche con la leva meno pesante chiamate “ levarin “(piccola leva in ferro).
Pertanto il distacco per questi corsi veniva affrontato eseguendo delle strette cavità, delle canalette, a forma di V, con punta e mazzetta e una volta raggiunta la profondità desiderata della punta della V su questo punto colpivano ripetutamente sempre con punta e mazzetta finché il marmo si spaccava. (Todesco e Andolfatto). Per corsi più grandi si usava fare una serie di fori sempre a V ma più ampi e lunghi e su questi venivano inseriti i punciotti che erano dei grossi cunei tronchi fatti così in modo tale che si inserissero nei fori senza arrivare al fondo della V e la loro azione attuata dai colpi della mazza interessava solo le pareti laterali e non il fondo. La forza sulle pareti determinata dai punciotti staccava il pezzo dalla parete (disegni di Kobe Todesco).
B – SPOSTAMENTO E TRASPORTO DEL MARMO ESTRATTO
Come già detto, le pietre richieste dalle attività edili o funerarie non avevano dimensioni particolarmente grandi e quindi anche il materiale estratto non richiedeva particolari accorgimenti per farlo arrivare al piano di cava per la prima lavorazione. Veniva di norma fatto scivolare piano piano su quella specie di piano inclinato, di solito non molto lungo, che nel tempo si creava dai pezzi di scarto o di rottura sempre presenti in questa attività.
Una volta qui arrivati iniziava già la sgrossatura ed eventualmente anche la sagomatura. Vedremo più avanti le varie operazioni che si attuavano nei confronti delle varie tipologie richieste sia per la edilizi sia per l’ornato.
Una volta che si aveva ottenuto i pezzi da trasportare si caricavano su una specie di slitta (la “slita”) (vedi disegno a lato di Kobe Todesco), un po’ simile a quella che utilizzavano i valligiani per trasportare a valle i carichi di fieno. Questa slitta è fatta solo di legno, senza nessun chiodo, e le varie parti (sci e traversine) venivano tra loro incastrate e tenute insieme da dei perni sempre di legno chiamate “caece o caice” (= caviglie) . La slitta veniva tirata a strascico mediante una bandoliera di cuoio . L’insieme di questo mezzo di trasporto non era per nulla rigido, anzi manifestacva una certa flessibilità quando si muoveva su sentieri sconnessi. Il timone consentiva di segiuire la giusta via. Talora per carichi particolari poteva venir trascinata da un paio di buoi. La via di trasporto (detta anche via di lizza) era rappresentata dalle mulattiere che in genere non avevano tragitti particolarmente scoscesi ed in alcuni tratti (immagine) è ancora possibile vedere i segni lasciati sulla pietra dal passaggio di queste slitte. Pertanto il guidatore che conosceva bene la strada e le zone di maggior difficoltà riusciva a controllare agevolmente la velocità e la direzione. In casi di trasporti eccezionali o per condizioni particolari del percorso poteva essere utile collegare la slitta con funi ad un albero oppure ad un “levarin” infisso nella stessa pietra della mulattiera in fori appositamente eseguiti: le corde venivano liberate a poco a poco in modo da superare e lasciato andare lentamente per superare la difficoltà senza danni.
C – LA LAVORAZIONE DEL MARMO ESTRATTO
Sgrezzatura
E’ normale che quanto è stato estratto, non sia perfetto: anzi presentava di regola delle rugosità, sporgenze, e altre varie irregolarità, spesso riferibile alle linee di sedimentazione. La sgrezzatura consisteva proprio nel togliere le irregolarità più grossolane, le parti lesionate o inadatte per una certa lavorazione, ecc. e di solito avveniva già nella “piazza” della cava dopo la estrazione.
Gli strumenti più utilizzati erano il Testu’ per delle sgrezzature discretamente voluminose, ma anche lo sgrafon/brocca soprattutto per parti sporgenti e anche punta e mazzetta per irregolarità più modeste.
Squadratura, spianatura e rifiniture
Era fondamentale dare l’impostazione del pezzo da lavorare in base alle dimensioni richieste e, poiché di norma il materiale estratto aveva bisogno di aggiustamenti per varie irregolarità delle superfici, in particolare la superficie riferibile al piano di cava, era necessaria prima di tutto una squadratura, che consisteva nel portare i vari lati del blocco allo stesso livello.
Richiedeva varie operazioni: dapprima si sceglieva il lato con il piano più basso esistente (per ovvi motivi) e su questo lato, dopo aver segnato una linea retta, con mazzetta e scalpello si effettuava una fascia di qualche centimetro allo stesso livello della linea tracciata, e lo stesso veniva effettuato su un lato accanto.(vedi le immagini a lato di Kobe Todesco). Eseguite queste fasce su due lati, su un lato già allineato di poneva una pertica di legno e un’altra pertica veniva posta sul lato opposto che non era ancora stato trattato. Sempre con mazzetta e scalpello si toglieva materiale in eccesso finchè ad occhio le due pertiche non venivano a trovarsi allo stesso livello. Questa operazione veniva poi eseguita per l’altro lato ancora da trattare.
Una volta allineato tutto il contorno di una superficie, si iniziava a togliere il materiale in eccesso all’interno di questo allineamento e ciò veniva chiamata spianatura). Le parti più alte venivano trattate con punta e mazzetta, poi con lo sfrafon o con la martellina prima grossa poi media e poi fine e da ultima la bocciarda fine.
Con queste operazioni una superficie era squadrata, spianata e anche rifinita. A seconda dell’utilizzo queste operazioni potevano essere richieste anche per altri lati del pezzo marmoreo.
Per la levigatura poi si utilizzava uno strumento detto Orso (vedi oltre).
Kobe Todesco ha voluto realizzare le principali rifiniture per materiali del settore edilizio: con l’ausilio di punta e mazzetta (spuntà), con l’aiuto di gradina e mazzetta (gradinà) e con l’aiuto della parte appuntita della brocca (broccà) .
Potevano richiedersi anche altre lavorazioni per ottenere risultati più plastici,quali quelli ottenuti con la martellina o con la bocciarda, qui sotto evidenziati.
Levigatura e lucidatura
La maggior parte dei pezzi per l’edilizia era sufficiente quanto ottenuto o con la spuntatura o con la martellinatura o con la bocciardatura.
Ma poteva essere stato richiesto anche la levigatura e la lucidatura.
Per la levigatura venivano utilizzati materiali abrasivi. Abrasivo (dal lat. ab–rado, “raschio via“) è detto di sostanza che è in grado di raschiar via, di portar via, di asportare da una superficie (nel nostro caso di marmo) uno strato più o meno profondo. Le sostanze più utilizzate erano lo smeriglio e la pietra pomice, e e anche (vedi oltre) la farina fossile. Per la lucidatura in genere si utilizzava l’acido ossalico.
Lo smeriglio è un minerale di color nero, varietà granulare del corindone, costituito da ossido di alluminio con percentuali più o meno elevate di ossido di ferro, ematite e magnetite. La sua azione dipende anche dalla composizione e quindi viene distinto in grana grossa, media e fine a seconda degli effetti voluti : da una levigatura più grossolana iniziale fino ad una azione finale più dolce.
La pietra pomice è una roccia magmatica effusiva, leggerissima per la sua elevata porosità, dovuta alla formazione di bolle di gas (come una schiuma) all’interno della matrice vetrosa. Viene impiegata dopo lo smeriglio. La sua azione abrasiva è più delicata.
Per la levigatura di piccoli pezzi si usava il raschietto per le alterazioni più grossolane, quindi smeriglio con grana grossa, media e fine, e da ultimo una levigatura con pietra pomice naturale.
Quando però la superficie era molto estesa si metteva in campo uno strumento chiamato Orso (vedi i disegni di Kobe Todesco qui a lato). Questo strumento era costiuito da un robusto parallepipedo di legno. La superficie che dovevaentrare in contatto con il marmo era attrezzata con delle grosse strisce di ferro 3,0 x 3,0 di dimensioni, che venivano ancorate con dei chiodi sulle facce laterali. Tali strisce erano distanziate tra loro da uno spazio vuoto sempre di 3 cm. Sulla superficie da trattare si poneva della sabbia silicea di color rosso detta anche farina fossile ad azione abrasiva, e acqua. Sulla faccia superiore dell’orso, dove spesso si aggiungevano dei pesi per aumentarne l’azione, vi era collegata un’asta in modo da poterlo trascinare su e giù nelle varie direzioni. Tale trattamento durava anche ore ed ore. Alla fine la superficie era levigata.
Per la lucidatura per le suddette superfici così ottenute bastava una pietra pomice finissima e/o un passaggio di acido ossalico per renderle luminose.
Se si dovevano effettuare pezzi a scopi ornamentali di solito vi erano quattro passaggi qui di seguito raffigurati (campioni fornitimi da Kobe Todesco):
A – una finitura con scalpello a lama fine
B – una levigatura con smeriglio a grana grossa, poi a grana media e a grana fine
C – una levigatura con pietra pomice naturale
D – una lucidatura con acido ossalico
Kobe ci ha lasciato il 29 giugno 2020.