STRAZZABOSCO LUIGI – Padova 22-02-1895 – 18-02-1985 – UOMO E SCULTORE

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NOTE BIOGRAFICHE E ARTISTICHE
 

Terzogenito di una famiglia di ben ventuno fratelli, Luigi Strazzabosco è nato a Padova il 22 febbraio 1895 da Giovanni Martino e Leonardi Marcellina, provenienti dall’altopiano di Asiago.

Il padre era comandante dei Vigili Urbani.

Nessuno dei fratelli lo seguì nell’arte ove si eccettui, ma è una eccezione solo parziale, il primogenito, che fece l’architetto, e visse lontano dall’Italia, in America, a New York, dove mori.

Dimostrò fin dalle elementari la sua attitudine al disegno e poté assecondare questa vocazione frequentando la Scuola d’Arte Pietro Selvatico.

Chiamato alle armi nella Prima Guerra Mondiale si trovò sul fronte carnico a subire le traversie della ritirata di Caporetto. Riuscì a tornare a casa sano e salvo insieme ad un piccolo gruppo di compaesani, con tutti i documenti del suo comando che si era preoccupato di salvare prima della ritirata. Ciò gli permise di superare indenne le indagini che per ogni reparto sbandato il comando italiano aveva voluto istruire.

Terminata la guerra, durante la quale dichiarava con orgoglio di non aver sparato nemmeno un colpo di fucile, fu ammesso all’ultimo anno dell’Istituto Superiore d’arte diÂÂÂ Venezia e sotto la guida dello scultore Carlo Lorenzetti si diplomò col massimo dei voti ricevendo anche il premio di una medaglia d’oro.

Anche se non aveva sparato, non gli mancava certo il coraggio. Qualche anno più tardi fu protagonista di un episodio di valore civile che gli procurò una pubblica menzione onorevole. Se ne andava in bicicletta dalle parti di via Cristoforo Moro quando incontrò una carretta militare con i cavalli scatenati che correvano a più non posso, senza alcuna guida. Era l’ora in cui i bambini uscivano dalle scuole e Strazzabosco non ebbe esitazioni: appoggiò la bicicletta si mise a correre dietro la carretta e la raggiunse, vi salì sopra e da qui, come in un film western, riuscì ad arrivare ai cavalli. Non era mai salito su di un cavallo ma li fece ugualmente fermare.

Quando tornò a casa, con il vestito a brandelli, fu apostrofato dalla moglie Antonietta Simeoni (1897-1975), soprattutto per essersi messo in pericolo. In seguito a questo fatto, le autorità cittadine lo premiarono solennemente insieme ad un altro cittadino che aveva tratto in salvo un ragazzo che stava annegando.

Comunque la moglie era una compagna generosa e capace di sopportare sacrifici ben più duri anche se meno appariscenti. Si era fidanzato con lei prima di andare a fare il soldato e si era sposato poco dopo il suo ritorno, il 24 settembre del 1922. Dall’unione nacquero otto figli.

I primi passi nell’arte, al di fuori della scuola, Strazzabosco li mosse presso la ditta Sanavio che si occupava di decorazioni a stucco. Tale tirocinio gli servì perché più tardi mise in piedi una ditta di decoratori a stucco che raggiunse anche una certa dimensione economica perché arrivò ad avere una quarantina di dipendenti, verso i quali aveva un rapporto quasi patriarcale: mangiavano tutti assieme, facevano anche feste tutti assieme, alcuni operai vivevano nella stessa casa dello scultore, il quale era più preoccupato della loro paga che non dei soldi che gli rimanevano per la sua famiglia. Era normale che Luigi Strazzabosco tenesse sempre aperte le porte di casa sua. La moglie si limitava a protestare solo quando gli amici venivano invitati dopo mezzanotte. Allora non c’era rimedio, le porte restavano sbarrate.

La ditta fu sciolta prima che scoppiasse la seconda guerra mondiale. Era arrivato il momento in cui lo scultore Luigi Strazzabosco avrebbe dovuto dedicarsi completamente all’arte. E fu il momento anche che mise in risalto la forza d’animo della signora Strazzabosco che volle il marito compisse quel passo anche se sapeva bene ciò che avrebbe comportato difficoltà e incertezze economiche, come quando vendette i propri beni e i preziosi per ricavane il denaro per fare le fusioni delle opere del marito. Ma il passo ormai era fatto e non doveva tardare a dare i suoi frutti. Le commissioni erano sempre più numerose. Non tutte egualmente remunerative, di certo. Prima di tutto a causa della naturale insormontabile vocazione dello scultore di donare le proprie opere, poi per quell’altra ugualmente naturale vocazione di molti committenti di riceverle in dono, specie suore e frati. Comunque mai si pentì dei suoi doni.

Durante la guerra la famiglia sfollò a Bastia di Rovolon e lo studio venne sistemato in un pollaio. Fu là che egli modellò il ciclo per il santuario dell’Olmo, tra le visite dei contadini dei dintorni, dell’ing. Ceschi che doveva poi diventare senatore, dell’avvocato De Besi e di un professore noto antifascista, Mario Zuanazzi.

Strazzabosco non amava compiere atti di professione politica, ma la sua profonda umanità lo rendeva allergico agli schiamazzi dei fascisti e questo gli precluse per molti anni la partecipazione alle Biennali veneziane frequentate da altri che, passati i tempi, dovevano poi ossessionarci col loro antifascismo. Soleva affermare “Sono un uomo qualunque, che tiene alla sua libertà e alla sua arte. Non voglio etichette”.

La stessa profonda umanità doveva spingere lo scultore ad ospitare e a nascondere, nella sua modesta casa di sfollato, al prezzo di pericoli che non è difficile immaginare, una famiglia di ebrei (la signora Anna Tartazski ved. Goldstein e le sue due figlie Styra e Isabella dall’ottobre del 1943 all’aprile 1945), che gli fu per sempre riconoscente. Erano tempi duri e i figli ricordano che per riscaldarsi vennero bruciati anche i mobili di casa.

Quando la guerra finì l’Italia aveva tante cose da ricostruire e l’arte non poteva presumere di godere benefici prioritario. Fu a questo punto che divenne determinante l’aiuto offertogli dal fratello Mario allora amministratore del Duca Camerini che gli organizzò una mostra a Milano e fece pubblicare a sue spese la prima monografia dedicata allo scultore.

A poco a poco le difficoltà passarono, la vita si fece più facile. La sua nuova casa in via Montenero nacque senza che egli sborsasse un soldo, Eugenio Grassetto e Francesco Mansutti misero a sua disposizione materiali e maestranze in cambio di qualche scultura e della sua amicizia.

In seguito Strazzabosco si trovò a vivere e a lavorare senza più problemi economici, con tante opere da eseguire e con i committenti che ormai dovevano rassegnarsi ad aspettare. Impossibile contare i successi, i riconoscimenti che cominciarono allora a farsi sempre più fitti ed espliciti.

Nel 1955 il presidente del Comitato per le Celebrazioni del Decennale della Liberazione, l’avvocato Giuseppe Ottolenghi, a nome dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane fece avere a Luigi Strazzabosco un diploma con la scritta “Gli Ebrei d’Italia riconoscenti”, che fu consegnato all’artista dall’allora presidente della Comunità Israelitica di Padova, Michelangelo Romanin Jacur.
Strazzabosco morì a Padova il 18 febbraio nel 1985.
 

NB. LUIGI STRAZZABOSCO E LA MOGLIE ANTONIETTA SIMIONI sono presenti ne “IL GIARDINO DEI GIUSTI DEL MONDO” a Padova in via Egidio Forcellini, angolo viale dell’Internato Ignoto. Ho già accennato precedentemente alla storia della salvezza della signora Tartazski ved. Godstein e delle sue due figlie, ma desidero ampliare questa vicenda.

 
Dopo l’occupazione tedesca, Luigi, assieme agli amici Mario Zuanassi – noto antifascista e a Menotti Danesin – fotografo ufficiale della Biennale d’Arte Triveneta, contribuì a salvare ebrei e partigiani facendo le copie dei timbri per la realizzazione di nuovi documenti.
 
I coniugi Strazzabosco non si tirarono indietro quando, nell’ottobre del 1943 Anna Tartazski, ved. Goldstein, e le sue due figlie, Styra e Isabella, si rivolsero a loro per sottrarsi ai rastrellamenti nazisti.
Le tre donne furono prontamente accolte e ospitate nell’abitazione padovana degli Strazzabosco.
Successivamente, quando sfollarono a Bastia di Rovolon per evitare i bombardamenti sulla città, Luigi e Antonietta procurarono una casa anche per loro, grazie al Parroco di Bastia che era consapevole di proteggere tre donne ebree.
Bastia di Rovolon la famiglia Goldstein visse fino al 28 aprile 1945, data della liberazione di Padova.
 
Isabella e Styra Goldstein hanno scitto, in una lettera indirizzata alla famiglia Strazzabosco, datata Trieste 25 aprile 1995: «In occasione del 50° Anniversario della Liberazione sentiamo il dovere di ricordare con gratitudine e affetto la memoria di Luigi e Antonietta Strazzabosco, ai quali dobbiamo la salvezza di nostra madre Anna Tartazski ved. Goldstein e nostra. Nell’ottobre 1943, quando nell’Italia del Nord ebbe inizio la caccia all’ebreo, nostro cognato Dario de Tuoni ci indirizzò alla famiglia di Luigi Strazzabosco, al quale era legato da fraterna amicizia: essi ci ospitarono nella loro abitazione in via Sorio a Padova, nonostante il pericolo che questo comportava per loro e per i loro sei figli. […] Con la liberazione tornammo tutti a Padova e, ancora una volta, fummo da loro ospitate con la solita affettuosa generosità, fino a quando ci fu possibile rientrare a Trieste. Sono passati cinquanta anni da allora, nostra madre e i vostri genitori (o nonni) non ci sono più e abbiamo sentito il dovere di commemorare la loro testimonianza di solidarietà umana, al di sopra delle differenze di religione e delle stesse Leggi allora vigenti, che illuminò un periodo buio della nostra storia e delle nostre vite, perché ne resti il ricordo come esempio alle generazioni più giovani».
(dal sito di PADOVA, il Giardino dei Giusti del Mondi)

 

 

NOTE ARTISTICHE

Partecipa, pochi anni dopo, la fine della Prima Guerra Mondiale a esposizioni locali, tra cui la Seconda mostra nella Sala della Ragione (Padova, 1923) e una mostra al Circolo filarmonico. Tiene quindi personali a Venezia, Milano, Bologna e Padova.

Prende parte, tra l’altro, alle Biennali di Venezia e alle Quadriennali di Roma.

Tra i principali premi conseguiti si ricordano quelli alla Mostra internazionale del Bronzetto nel 1955 e alla Biennale d’arte sacra nel 1958, oltre alla medaglia d’oro per il bianco e nero alla Triveneta di Portogruaro.

Nel 1980 si tiene a Padova una vasta antologica di sue sculture e disegni.

Importanti monografie sulla sua opera sono state scritte da Italo Cinti e Carlo Munari.

Fin dalla giovinezza, Strazzabosco si contrappone alla cultura stantia dell’ambiente provinciale e frequenta, con altri giovani pittori, lo studio padovano di Gino Rossi.

Nella sua scultura di quegli anni, è evidente la meditazione sulla statuaria classica, ma anche etrusca, interpretata non con pedante accademismo, ma con spirito libero e inquieto.

Dopo la Seconda guerra mondiale nelle sue sculture entra il sentimento di un destino doloroso dell’umanità, che si esprime in una radicale essenzialità compositiva.

Dalla fine degli anni Sessanta, s’indirizza verso una sorta di sintesi quasi astratta, che sembra rifarsi alle immagini-archetipiche di idoli e riti ancestrali: sono, le sue, figure misteriose rese con una plastica possente, che rimanda ad arcaici frammenti.

Punto fermo della sua visione artistica è la religiosità cristiana, che costituisce, nella sua opera, una chiave interpretativa di qualsiasi soggetto, anche pagano.

 

Fonti Bibliografiche

Vari articoli presenti in Internet

Cinti Italo, Luigi Strazzabosco scultore, Bologna, 1966;

Comune di Padova. Assessorato ai Beni culturali. Luigi Strazzabosco. Sculture dal 1923-1980, Padova, Palazzo della Ragione, 1980.

Munari Carlo. Luigi Strazzabosco, Rebellato Editore, 1971

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