TAVERNA ATTILIO – PITTORE “MOLECOLARE”
a cura di Vasco Bordignon
Attilio Taverna nasce a Primolano di Cismon del Grappa (VI) il 5 giugno del 1945.
Vive a Cassola (VI).
Visitando la grande mostra di Padova e immergendomi nei grandi spazi pittorici di Attilio Taverna ho avuto una sensazione di essere entrato in un mondo a me conosciuto, il mondo dell’invisibile, delle molecole, cioè delle strutture che costituiscono la vita nelle loro rotture, separazioni, aggregazioni, avvolgimenti, incroci, ecc. In ognuna di esse vi è una propria energia, una propria forza, una propria vitalità… Per questo, incontrandolo, gli dissi che la sua pittura è una pittura molecolare, quindi una pittura della vita. (Vasco Bordignon)
ATTILIO TAVERNA SMUOVE UN MONDO UNIVERSITARIO
(E DA NOI?)
MANIFESTO PER LA MOSTRA DI ATTILIO TAVERNA A TORINO DAL 3 AL 20 NOVEMBRE 2015
FRONTESPIZIO DEL DEPLIANT DI PRESENTAZIONE DELLA MOSTRA
A quasi cinquant’anni dall’ultima provocazione estetico-scientifica, costituita dall’esperienza optical e percettivista, un’altra ricerca rilancia oggi lo scommessa sul fecondo connubio arte e scienza, proponendo un’elaborazione che reinventa il linguaggio pittorico dell’astrazione alla luce dei contributi della fisica quantistica. 16 opere di grandi dimensioni e numerosi disegni in mostra fino al 20 novembre al Castello del Valentino, sotto il titolo math-art: doppia vita della luce (organizzata dal Politecnico di Torino) consentono di apprezzare gli esiti sorprendenti e spiazzanti di questa proposta.
Attraverso una ricostruzione della forma, basata sui percorsi vettoriali della luce nello spazio-tempo, Taverna approda alla visualizzazione di fenomeni fisici essenziali, come quelli indagati dalla meccanica quantistica e dalla teoria del caos. Le sue opere, di straordinario impatto visivo, insistono di volta in volta sulla rottura di simmetria, sulle germinazioni in termini coloristici e luministici delle figure geometriche semplici, sulle trasparenze percettive e le rifrazioni della luce; e ancora sulla complessità e sul caos, inteso come creazione infinitamente mutevole di forme, sulla visualizzazione di algoritmi, sulla luminosità a-periodica.
Frutto di un’esplorazione che coinvolge l’estetica, la filosofia, la psicologia, oltre alle scienze già menzionate, la ricerca che Taverna ha sviluppato negli ultimi trent’anni verte intorno alla nozione di forma, in particolare intorno alla natura formale della luce quale condizione originaria di ogni produzione fenomenica e alla sua visualizzazione, aprendo un inedito orizzonte cognitivo che necessita di nuove categorie epistemologiche ed estetiche.
La ricerca di Taverna, che ha già ottenuto importanti riconoscimenti in ambito scientifico internazionale, può costituire una chance per l’arte contemporanea, oggi più che mai alla ricerca di nuove direzioni. Questa è la tesi che i dipartimenti DIST e DISMA del Politecnico di Torino, ideatori dell’ esposizione, perseguono attraverso le esplicitazioni di linguaggi interdisciplinari tra arte e scienza.
(DA PAGINA INTERNA DEL DEPLIANT DI PRESENTAZIONE DELLA MOSTRA)
LOCANDINA DELLA TAVOLA ROTONDA A TORINO IL 25 -02- 2015
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PER ENTRARE NEL MONDO DI ATTILIO TAVERNA
E NEL SUO PERCORSO ARTISTICO
Dalla Presentazione della Mostra “Attilio Taverna, forma, luce, quanti” , Padova 24 gennaio – 9 marzo 2014
L’itinerario di Attilio Taverna prende avvio, nei primi anni ’70, nell’ambito dell’astrazione, e approda, dopo alcuni passaggi di impronta costruttivista, percettivista e minimalista, negli ultimi anni ’80, alla raffigurazione di fenomeni fisici essenziali, come quelli indagati dalla meccanica e dalla fisica quantistica. Fondamentale per la ricerca di Taverna è stato, dopo gli studi di economia e l’Accademia di Belle Arti a Venezia, l’incontro con l’esimio professor Dino Formaggio, allora docente di Estetica all’Università di Padova, che molto apprezzava il suo lavoro. Con lui inizia un percorso teoretico che lo vedrà impegnato alcuni anni nell’Istituto patavino e poi in quello di Reggio Emilia. Seguirà un lungo soggiorno a Parigi, quindi negli Stati Uniti, e la pubblicazione, nell’1989, dello studio Ricognizione per un’ipotesi di forma. Espone in varie città d’Italia e Germania e inizia la collaborazione con un’importante Corporation statunitense attiva sul mercato americano dell’arte contemporanea. Diversi i riconoscimenti estetici e scientifici ottenuti in ambito internazionale: nel ‘98 Taverna vince il concorso per la copertina della rivista Trends in Neurosciences dell’Università di Cambridge (UK) e nel 2004 per la copertina degli Atti del Congresso Internazionale di Matematica e Geometria Frattali 2004 tenutosi a Vancouver. Nello stesso periodo, la rivista scientifica newyorkese internazionale Chaos and Complexity Letters del gruppo editoriale Nova Scientia, NY, USA pubblica un suo articolo La natura della spazialità e il suo enigma, per un’esperienza estetica della pittura. Sue interviste teoretiche saranno pubblicate ancora nella rivista ufficiale di Filosofia Estetica dell’Università del Québec e del Dipartimento di Filosofia dell’Università Statale di Milano, nella rivista Mathesis dell’Università di Torino…Tiene lezioni in università italiane e straniere.
Attraverso una ricostruzione della forma basata sui percorsi vettoriali della luce nello spazio-tempo, Attilio Taverna approda alla visualizzazione di fenomeni fisici essenziali, come quelli indagati dalla meccanica quantistica e dalla teoria del caos. Il risultato sono opere di straordinario impatto visivo che insistono di volta in volta sulla rottura di simmetria, sulle germinazioni in termini coloristici e luministici delle figure geometriche semplici, sulla trasparenza percettiva; e ancora sulla complessità e sul caos, inteso come creazione infinitamente mutevole di forme, sulla visualizzazione di algoritmi, sulla luminosità aperiodica… Il tutto sempre concepito come esplorazione della luce nell’ambito dell’universo non visibile. L’esperienza di Taverna, incorporata in opere di notevole impegno formale, sostenute da una profonda conoscenza della fisica contemporanea, dell’astronomia, dell’estetica, della filosofia e della pittura, non solo propone un originale orizzonte di indagine, ma costituisce anche importante stimolo all’elaborazione di inedite categorie estetiche, in un momento in cui l’arte contemporanea è alla ricerca di nuove direzioni
Da “TAVERNA DE-COSTRUZIONE”, Bassano del Grappa 4 novembre 1989
Presentazione di Dino Formaggio
La storia della pittura di questo secolo è stata, in gran parte, la storia di molteplici e multidirezionali “Astrattismi”, tanto che nessuna forse delle categorie estetico-programmatiche ha vibrato, nella cultura contemporanea, con valenze più diverse e persino in se stesse contradditorie.
Non v’è dubbio che è segno di interna ed accesa vitalità che una categoria – logica o artistica che sia – si presenti con vaste zone di plurivalenze significative ed interne tensioni di contraddittorietà compresenti.
Storicamente, l’Astrattismo si biforca già nei primi decenni del secolo come è noto, dividendosi in Astrattismo sensibilistico, preso dentro nelle curve musicali e negli accenti virgolati, tutti vibranti e sensitivi, di un Kandinskij, oppure anche e per certi versi (ma su ben altri registri di vissuti) di un Klee, da una parte; e, dall’altra parte, un Astrattismo geometrico puro e platonizzante, dove l’idea è decisamente matematizzante e iperuranica (e perciò stesso antisensibilistica) quale emerse nella scuola olandese di “De-Stijl”, che soprattutto con Mondrian, fin dagli anni ’10, aveva posto le basi di quelle nuove espressioni neoplastiche che dovranno fare, in pittura come in architettura, il giro del mondo lungo tutta la prima metà del secolo e oltre.
Tuttavia, all’uscita della seconda guerra mondiale, a partire dagli anni ’50, tra le frantumazioni programmatiche dei manifesti e dei programmi estetico-artistici, un po’ dovunque vennero emergendo violenze protestatarie oppure anche apatiche indifferenze, più distruttive delle stesse violenze, le quali operavano con ogni genere di mezzi nelle comunicazioni di massa, compiendo sempre più tecnologiche e più rapide ed effimere irruzioni di bombardamento sulla confusione delle idee e del gusto. Cosicché anche l’Astrattismo, come pure la sua antitesi pendolare il Figuratismo più o meno naturalistico o espressionistico, cominciarono insieme, quasi nella mescolanza dello stesso abbraccio mortale, a subire fierissimi colpi, senza peraltro che si capisse (o si potesse intravvedere) dove si poteva con qualche evidente ragione andare a parare, o quale alternativa prospettica si potesse culturalmente proporre.
La storia dei movimenti della pittura frattanto aveva debitamente attraversato – com’era nella logica delle polarizzazioni estreme ed estremistiche – i territori minati dell’antipittura, fino a tentare voluttuosamente e razionalmente le soglie lucenti e deserte della morte dell’arte pittorica, ossia della morte del quadro e dell’operare in esso e con esso. Se questo è, in rapidissima sintesi, il senso generale del cammino della pittura nel nostro secolo, oggi, giunti ormai al suo tramonto, che sempre più appare come il tramonto di un’intera epoca, si potrebbe dire – ed è grave – che tutto ha ragione e niente ha ragione di tutto quello che nel campo attuale dell’operare pittorico si presenta e si offre a giudizio.
Per cui lo stesso concetto di valore è entrato in crisi, si è relativizzato come forse mai è successo, merito e danno della crescente confusione culturale in cui ci siamo trovati immersi.
Così avviene che un “astrattista” come Attilio Taverna, si trovi a lottare duramente per aprirsi una via che, nel superamento di certe “impasses” che ostacolano l’avanzare nel nuovo, desse luogo a qualche chiara, ritrovata certezza.
Il conflitto che egli porta dentro è, quindi, alla sua radice, quello, che appartiene alla lunga storia dell’uomo, tra ragione e sensibilità. Affidarsi subito e tutto alla ragione è dapprima il partito più rassicurante. – Ma a quale “ragione”? – Ragione è un termine vasto e apparentemente di semplice definizione (come ogni cosa avvicinata in superficie), ma terribilmente anch’esso vasto e contradditorio nel mondo moderno e sempre più ai nostri giorni, specialmente dopo che Hegel ne aveva disegnato l’interno movimento contradditorio come quello di una ragione della ragione e della non ragione .
.Per cui una trionfante negazione ha invaso ogni antico pacifico regno nel nostro tempo; ed ha sconvolto la sicurezza di molte matematiche certezze nei vari campi delle scienze e delle arti. E poiché la vivacissima esigenza di sistemazione culturale di Taverna non ha mancato di guardarsi attorno, di andare a interrogare le grandi trasformazioni paradigmatiche che sono oggi in atto nella scienza come nell’arte, i movimenti dialettici delle potenze razionali del negativo non potevano non entrare nel suo operare.
La sua pittura, allora, nata nella sua stagione matura come immaginazione costruttivista, in seguito, avvertita dei limiti di un certo costruttivismo geometrizzante – percettivista, si adoperò con intensa ricerca graduale e senza clamorose rotture, ad uscire dalle strettezze ripetitive che stavano in agguato e si risolse ad aprire il varco non solo alle dissimetrie oblique e indirezionate, e quindi agli equilibri più dinamici ed instabili (a quelle rotture formali che Taverna chiama “ambiguità”), ma ad un nuovo piano di ricerca che io definirei, al limite, come un “passaggio alla fisica”. – Mi spiego: guardando le ultime opere di Taverna si può facilmente capire come egli sia spesso stato affascinato dalle scienze e soprattutto dalla fisica, in particolare (non certo con la pretesa di qualche diretta e consapevole traduzione della scienza in pittura) dalla termodinamica.
Non so fino a dove una lettura di questo genere sia azzardata, ma certamente, in un largo discorso analogico, è possibile leggere in quei campi diagrammati di energie congelate che sono opere di pittura come queste, una presenza molecolare diversamente strutturata e ordinata delle particule spaziali, dove è più che evidente una disposizione di stati (della materia o dell’immagine?) che richiamano tipologie che in termini di termodinamica si definiscono come strutture ordinate a entropia debole (come i cristalli e i loro sistemi assiali) nelle quali domina l’energia, o ancora ed all’opposto, stati dove è l’entropia a dominare (come nei liquidi o nei gas) e quindi il disordine molecolare.
Va ripetuto che non sappiamo certamente fino a dove questa ipotesi di lettura rimanga valida, ma non è necessario spingerla troppo in là per assumerla come chiave interpretativa di questi mondi atomici e subatomici di linee direzionali e assiali diversamente ordinative, di campi energetici spaziali che appartengono al regno delle immagini. Tanto più poi se si pensa che in una scienza probabilistica dei corpi micro o macro cellulari anche le immagini sono corpuscoli e corpi che possono e debbono essere descritti e trattati in una fisica allargata. Altrimenti non sapremmo, se non sbaglio, vedere e comprendere, al di là del semplice gustare linee e colori (a volte preziosi, come qui si può vedere) il senso più riposto di queste opere; le quali, in quanto modelli più o meno analogici di modelli termodinamici come possono esser letti, dovrebbero rimanere quanto di più lontano (secondo quel che Prigogine afferma) dalla “natura vivente”. Ma certo non è così per le opere di Taverna. Le quali portano dentro continuamente, e sempre più nel loro progredire, il respiro, l’ansito, la gioia e il canto del “vivente” cercato e corporeamente gettato avanti nel tempo progettuale.
Del resto, è ben noto a tutti come non solo da oggi il difficile rapporto antagonistico – forse troppo spesso antagonistico – tra il razionale e l’irrazionale abbia investito l’intero movimento del nostro secolo, fin dai suoi inizi.
Che si può dire allora, oggi, dei tentativi sempre più frequenti e su svariati registri di una uscita della pittura dallo stretto razionalismo, senza per altro che vada perduto il senso e il valore della ragione ordinativa?
Se bisogna reperire gli orizzonti di quel più ampio modello hegeliano, di cui, s’è detto, di una ragione che si spinge fino a comprendere in sé la non-ragione (che può essere la più folle immaginazione come anche l’eruzione del sensitivo vivente), allora anche l’illusione di una uscita razionalistica di tipo scientifico-geometrico e tecnologico insieme, se si vuol disvelare in un concreto e solido superamento, se si vuole attuare nei termini di una cultura attuale, infine, in altro modo non potrà porsi, mi pare, se non nei modi e nel tempo in cui le strutture della razionalità costruttivista si saranno talmente affinate e alleggerite da giungere fino a nientificarsi in una più o meno ironica decostruzione dei propri interni moduli. Poiché solo allora potranno sorgere ai nuovi orizzonti o lievitare dal di dentro le “Immagini”, proprio di quelle immagini del regno delle Madri di cui parla Goethe, che non hanno corpo e concretezza corporea individuale e reale, ma pure operano come grandi schemi ideali di Bellezza che sfidano l’impossibile.
È propriamente questo mondo riconquistato delle immagini nella discesa al regno delle Madri e fatte trasparire sulle ultime strutture nullificate di una Ragione senza senso e senza passione che può, a mio avviso, disegnare il movimento di una potente e più ampia ragione fatta più che ragione, dove non è più mero astrattismo o grezzo naturalismo più o meno scientista, ma ancora Vita, vita ritrovata di là dai facili o troppo saputi schematismi e balzata fuori dalla loro stessa nullificazione dinamica.
In un periodo di profonda crisi agli inizi del secolo – per una crisi forse non dissimile dalla nostra di fine secolo già nel 1918 Bloch, il filosofo dell’Utopia e della Speranza, parlava della necessità impellente del ritrovamento di una nuova vita, ma da intendersi come vita “formata, costruita, dominata, condotta alla decisione, irradiata dal razionalismo dell’irrazionale”,-
Attilio Taverna è su queste strade.
Così, anche se si possono capire certe difficili letture o accettazioni degli astrattismi dei segni di tipo idealistico o concretistico, non si può fare a meno di riconoscere e spesso anche gustare con fine palato la silenziosa musica che questa pittura di Taverna continua ad emanare proprio per questo danzare ritmico di linee e di spazi, e come tutto ciò possa avvenire a volte in uno Strawinskiano e dionisiaco sacro mistero della Primavera, a volte nell’affollarsi giocoso ed esplosivo di un multicolore Carnevale, e, a volte ancora, nelle tenui monocromie dei neri e dei grigi fondi di qualche alto Notturno, romantico o addirittura Bachiano.
Certo ancora, qui, due mondi si escludono e si cercano: ragione e sensibilità.
Ragione e sensibilità, cioè forme e regole, sintassi categoriali di un “esprit de geometrie” e, fuse insieme, vibrazioni intuitive corporee sensi e sentimento del colore, il cui canto Taverna introduce in tempi più recenti con sempre maggiore splendore, dopo precedenti rigori monocromatici come espressione di un sottile “esprit de finesse” . Due mondi che non si vogliono alternativi, ma, ora, in armoniosi incontri e funzioni.
Così noi vediamo comparire, dentro o sopra o attraverso le rigide inquadrature spaziali della linea retta, i ritmi varianti e vibrati della curva, a partire da un loro primo apparire sul piano delle rette, quasi timidamente, con quel loro lieve volteggiare che pare accennare a un primo passo di danza, La curva sopra la retta, cioè il vitale e l’esistenziale sopra la gabbia dell’intelletto scientifico.
Ricerca di sintesi, di più completa totalità, dove le linee, come fughe di prospettive e di appezzamenti territoriali, aprono paesaggi di festosa gioia e di ombrate malinconie con luci e suoni di musicali colori. Con il che si finisce anche per comprendere quanta ragione avesse il genio di Goethe, quando parlando, nel Faust, della creazione artificiale del fragile Homuncolus (composto dentro alla fiala in un vitreo sistema di equilibrio) diceva: “Das ist die Eigenschaft der Dinge; Natürlichen genügt das Weltall kaum; Was Künstlich ist, verlangt geschlossnen Raum”.
Che è quanto dire che è proprietà delle cose che a quelle naturali sia appena sufficiente il mondo intero, mentre quelle artificiali o artistiche vogliono uno spazio chiuso. La difficile dialettica tra i due piani sistemici del disordine aperto della vita naturale, con le sue improbabili curve e dissimetrie, e le strutture cristalline geometriche con le loro forme di ordini lineari e ideali, questa è dunque una antica e improbabile sfida di sempre dell’uomo che l’artista non cessa dal ridire e dal ritentare ogni volta daccapo. Come anche qui si viene gloriosamente dimostrando.
Dino Formaggio
Dal Catalogo della Mostra “Attilio Taverna, forma, luce, quanti” , Padova 24 gennaio – 9 marzo 2014
Geometrie, trasparenze, ritmo. Guardando le opere di Attilio Taverna con gli occhi di Dino Formaggio
di Maddalena Mazzocut-Mis
Estetica – Università Statale di Milano
1989. Dino Formaggio scrive il saggio su Attilio Taverna (ripubblicato con il titolo Una possibile formalizzazione strutturale della luce In Attilio Taverna – 2004).
L’articolo si apre con una panoramica dell’arte novecentesca per puntualizzare il ruolo che l’opera di Attilio ha in seno all’Astrattismo. Ma, com’è giusto che sia, questa strada viene subito abbandonata. L’opera presenta delle peculiarità difficilmente riducibili a correnti o a scuole.
“Lotta tra ragione e sensibilità”, scrive allora Formaggio: eterna lotta che l’arte incarna. È vero. Ma che cos’ è ragione? E sensibilità? Campo pericoloso e infido. Dino Formaggio se ne rende subito conto e vira. Vira verso quella che per anni è stata la strada maestra per leggere l’opera di Attilio. Emerge la parola scienza. Leggiamo: “egli è stato affascinato dalle scienze e in particolare dalla fisica, ( … ) dalla termodinamica”. La prima volta che lessi queste righe, negli anni Novanta, pensavo che veramente questa fosse la sola via Interpretativa. Oggi, a distanza di più di venti anni, ne trovo altre, forse più banali ma più sentite.
Continuo con l’analisi del saggio: “è possibile leggere in quei campi diagrammati di energie congelate ( … ) una presenza molecolare diversamente strutturata e organizzata delle particule spaziali, dove è più che evidente una disposizione di stati (della materia o dell’immagine?) che richiamano tipologie che in termini di termodinamica si definiscono come strutture ordinate a entropia debole (come i cristalli e i loro sistemi assiali) nelle quali domina l’energia, o ancora e all’opposto, stati dove è l’entropia a dominare (come nei liquidi o nei gas) e quindi il disordine molecolare”. È vero, nelle opere di Taverna c’è più di un semplice gustare linee e colori, che tuttavia è già molto. È quel non so che che caratterizza il genio fin dal Seicento. Perché in quel gustare ci si perde e ci si meraviglia.
Ma c’è di più. C’è “il respiro – secondo le parole di Dino Formaggio – l’ansito, lo gioia e il canto del vivente cercato e corporeamente gettato avanti nel tempo progettuale”. Sì! Questa possibilità ecfrastica mi convince ancora del tutto!
Allora, procedo su questa strada: scrive Valéry che “l’idea del fare è la prima e lo più umana”. Spiegare non è altro che descrivere una maniera di fare, significa rifare col pensiero 1 . Per Socrate – che dialoga con Fedro in Eupalinos o l’Architetto – se è “ragionevole pensare che le creazioni dell’uomo sono fatte o in vista del proprio corpo (utilità) o in vista della propria anima (bellezza), bisogna anche constatare che esiste un terzo principio che ha a che fare con lo resistenza, che si oppone all’ inesorabile destino della morte”.
Formaggio ricorda, in Fenomenologia della tecnica artistica, che proprio nel suo significato più alto la tecnica, quel lavoro contro lo resistenza del materiale, è sensibilità “cioè spazio-tempo, cioè determinismo univoco dell’artisticità universale, cioè notura”2. Essa si presenta come una sorta di sensibilità endogena, che è anche potentemente forza di costruzione e di comunicazione. La tecnica è sentimento e sensibilità; non è soltanto intelletto e analisi. Non è mai una formula.
Ecco che ritornano i termini chiave prima evocati: sensibilità e ragione, ma in una nuova accezione che li plasma là dove devono stare e rivivere, cioè nel fare della tecnica progettualmente e puntualmente vivente nei quadri di Attilio .
“… silenziosa musica che questa pittura continua a emanare”: altro motivo ecfrastico di grande efficacia. Un insieme di piani sovrappostl un interminabile intreccio ordinato e casuale che di casuale non ha nulla nel momento in cui è altamente progettuale. L’artista possiede la tecnica, è tutt’ uno con essa, con quell’ attività che rende fluida l’intercomunicabilità tra soggetto e oggetto, tra uomo e mondo.
La tecnica artistica si distingue quindi profondamente da quella tecnica decaduta a mestiere o meccanismo, cioè da quell’insieme di operazioni ripetitive che trasformano un avvenimento in un oggetto, in una “cosa ferma e dura, senza le intensità variabili e i ritmi del “respiro” 3. Nulla più di una grande opera mostra l’impazienza verso il mestiere, verso la semplice, sebbene competente, acquisizione dei mezzi. La tecnica, come vuole Focillon, non è virtuosismo, poiché il virtuoso “si diletta dell’equilibrio raggiunto e disegna sempre lo stessa figura di danza, che sta per interrompersi e pur non si interrompe, sul suo esile filo ben teso” 4. La tecnica è invece sempre un processo e non una semplice pratica e obbedisce unicamente a leggi sue proprie che non si danno solo in base a determinate esigenze strumentali ma proprio per mettere a frutto uno sviluppo progrediente imposto dall’ opera che vive di vita propria.
Allora quei due mondi che si escludono e che si cercano, come dice Formaggio, cioè ragione e sensibilità, si ritrovano proprio nel regno della tecnica artistica e lì cooperano, si può dire, si amano, creando. Esprit de geometrie che dà vita a vibrazioni corporee, a un sentimento del colore. Così, entro le rigide quadrature spaziali non può fare altro che comparire lo curva, l’onda vivificante della vita. “La curva sopra la retta, cioè il vitale e l’essenziale sopra la gabbia dell’intelletto scientifico”.
Il quadro è una struttura e, in quanto tale, i suoi elementi possono venire analizzati in base ai loro rapporti, alla loro gerarchia, alla loro disposizione. Ovviamente non è necessario che una gerarchia di elementi plastici sia rappresentata come una struttura logica. È piuttosto una gerarchia senza gradi precostituiti, che non può prescindere da un sistema sensibile e plastico. Il lavoro dell’artista non è quindi in nessun caso equiparabile a quello di un geometra. La pittura, anche la più geometrizzante, è tale poiché si allontana dalla stessa geometria. All’ origine di un oggetto estetico è possibile mettere una formula matematica, ma a patto che il movimento deII’ oggetto estetico non sia altro che “un movimento spirituale verso lo pienezza di un senso, e non un movimento fisico verso un’oggettività spaziale” 5.
Il cerchio si chiude, ma ci sono ancora alcuni aspetti da chiarire.
L’idea del fare nasce dall’uomo e porta con sé anche il perché e il come, necessariamente implicati nell’idea stessa. L’uomo, quando fa, prima di tutto progetta, poi ricerca e prova e anche si adatta, modifica, riprova, cambia, ricompone e riadatta in base alle materie e alle forme, alle sue idee e al risultato, al tempo e allo spazio, ai colori e ai suoni, al peso e alla densità e ancora in base al cieco istinto, al mestiere appreso, alla formazione, al linguaggio, all’umore, al modo di essere animali viventi … “Così, quel che facciamo, fa noi stessi più di quanto noi lo facciamo. Che cosa siamo se non un equilibrio istantaneo di una massa di azioni nascoste e non propriamente umane?“ 6
Questo è il segreto, tutt’ altro che segreto, dell’arte.
AI fare vero e proprio, si collegano elementi essenziali come l’importanza del tirocinio, del!’ apprendimento, dell’ esercizio, del!’ acquisizione di un sapere, di un fare appunto; la pazienza, il dono cioè del saper attendere che si inserisce profondamente nel momento pragmatico del sapere o meglio nel movimento dialettico del sapere col fare: il gesto artistico, che differisce profondamente dall’ agire comune nel produrre opere irripetibili, tanto che “ogni gesto del fare artistico è segnato dalla irrevocabile vittoria del fine toccato, dall’autocompiutezza”.7 Infine il ritmo, elemento vivificante di ciascuna opera, elemento che ne segna la riuscita e non solo lo vitalità.
“Ritmo” è l’incontro tra tecnica e spirito, tra tecnica e sentimento, è piacere che risiede nell’attività sensorio-motrice, neII’ energia che nasce dall’incontro con l’oggetto artistico. È ritmo quello che si scopre nelle strutture, nelle disposizioni, nelle armonie dell’opera di Attilio Taverna, è ritmo il battito del cuore anche se non vi è necessaria reciprocità tra ritmo “biologico” e poetico. Eppure, sotto il ritmo delle linee e delle curve, Formaggio scopre il pulsare della carne vivente. Il ritmo è l’iscrizione della soggettività nelle opere d’arte. L’iscrizione di Attilio nella sua opera. Qualità sensibile che giace attiva e sempre presente nel cuore della sua arte.
Luci, geometrie e trasparenze. Tutto questo è visibilmente palpabile nelle sue opere. Non ci sono dubbi. Ma sono le trasparenze che mi affascinano particolarmente. La trasparenza in pittura è quanto di più complesso da ottenere si possa immaginare. Diderot, guardano i quadri di Chardin, non si meravigliava tanto del fagiano, della lepre, perfettamente e realisticamente dipinti, non esaltava quelle nature morte, dove ogni frutto poteva essere preso e mangiato. Era l’aria che lo colpiva. La magia dell’aria. Bene, quella magia delle trasparenze vive e rivive nei quadri di Attilio. Non è un’aria sottile e caotica che riempie gli spazi tra gli oggetti, ma l’aria addomesticata dalla riga e dal compasso che si sovrappone come una pellicola glaciale, acquatica, riverberante, magica, sopra i colori, facendoli cambiare, mutare, virare.
Camille Claudel, sfortunata scultrice, scriveva, in una sua lettera nel 18888, che tra tutti i colori preferiva quello che cambiava di più e tra tutti i fiori quello che non cambia affatto. Avesse visto le opere di Attilio, avrebbe scorto proprio quel cambiamento. Il colore che vive e rivive sotto le gocce di rugiada, all’alba, in pieno sole, al tramonto, di notte. E avrebbe visto quel fiore, il quadro nella sua interezza che non cambia affatto entro i suoi confini.
Maddalena Mazzacut-MIs
Note
1. P. Valéry, L’homme et la coquille, apparsa nel n. 281 della Nouvelle Revue Française, 1937, tr. it. in Id., all’inizio era la favola a cura di E. Franzini, Guerini, Milano 1988, p.62.
2. D. Formaggio. Fenomenologia della tecnica artistica(1935). Prefazione di G. Scaramuzza. Pratiche Editrice, Parma-Lucca 1978 (d’ora in poi FTA),p. 244.
3. FTA, p. 247.
4. Cfr. H. Focillon, “Vita delle forme” seguito da “Elogio della mano” (1934), Einaudi, Torino 2002.
5. M. Dufrenne, Phénoménologie de l’expérience esthétique, PUF, Paris 1953,p. 371.
6. P.Valéry, L’homme et la coquille, tr.it.,cit.,p.66.
7. FTA,p. 275.
8. C. Claudel, Corrispondenza a cura di A. Rivière e B. Gaudichon, Abscondita, Milano 2005, p. 44.
Esposizioni, attività culturali e conferenze
1971 – Fondazione E. Duse – Asolo – Italia
1973 – Studio Koch – Monaco di Baviera – Germania
1974 – Galleria Miramonti – Cortina d’Ampezzo – Italia
1974 – La tavolozza – Bassano del Grappa – Italia
1974 – L’Ascendente – Milano – Italia
1975 – L’Incontro – Verona – Italia
1976 – Il Fiore – Bassano del Grappa – Italia
1977 – Bevilacqua La Masa – Venice – Italia
1978 – Bevilacqua La Mosa – Venice – Italia
1979 – Centro Culturale – Mühlacker – Germania
1979 – Istituto Italiano di Cultura – Stuttgart – Germania
1979 – Bevilacqua La Masa – Venezia – Italia
1980 – Il Fiore – Bassano del Grappa – Italia
1981 – Rizzoli Gallery – New York – U .SA
1983 – Museo Civico – Assisi – Italia
1983 – Arte Expo – Brescia – Italia
1984 – Costruzione e Metafora – Marostica – Italia
1985 – Centro Culturale Scrimin – Bassano del Grappa – Italia
1987 – E. Podzus Gallery – “Jünge internationale Kunst” – Düsseldorf – Germania
1989 – Palazzo Bonaguro – “De-costruzione” – Bassano del Grappa – Italia
1991 – Inizia lo collaborazione con un’importante Corporation statunitense attiva sul mercato dell’ arte contemporanea
1994 – Conferenza ed esposizione alla Galleria Civica di Arte Moderna “Paolo Diacono” di Udine
1997 – Capitolo nel testo “Tra percezione e arte” pubblicato dall’Università degli Studi di Padova – Dipartimento di Psicologia Generale a cura di A. Cavedon e L. Zannuttini
1998 – Copertina della rivista “Trends in Neurosciences” edita dall’Università di Cambridge – Gran Bretagna
1998 – Intervista pubblicata su “Canadian Aesthetics Journal” rivista ufficiale della Società di Estetica del Canada dell’Università del Quèbec, a cura di Suzanne Foisy, direttrice del Dipartimento di Filosofia della stessa Università
2003 – Esposizione “Luce, more geometrico” – Comune di Valstagna – Italia
2004 – lntervista pubblicata da “Itinera”, rivista ufficiale di Estetica del Dipartimento di Filosofia dell’Università Statale di Milano
2004 – Copertina del volume degli atti del Congresso Internazionale di Matematica e geometria “Fractals – 2004” tenuto a Vancouver – Canada
2005 – Articolo “Does the complexity of space lie in the cosmos or in chaos?” e dipinto “Probabilità ondulatoria tra chaos e cosmos” pubblicati dalla rivista scientifica “Chaos and Complexity Letters” edita a New York – U.S.A.
2005 – Conferenza tenuta al Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino e pubblicata nel volume “Conferenze e Seminari” dalla Associazione Subalpina Mathesis con il titolo “La complessità dello spazio abita il kosmos o il chaos?”, a cura di Gallo, Giacardi, Robutti
2005 – Esposizione “Luce – Spazio” tenuta allo Fondazione Benzi Zecchini – Caerano S. Marco – Italia
2005 Periodo dedicato a studi e riflessioni sui grandi temi dell’Estetica e a quelli di Filosofia della Scienza
2007 – Philosophy of Religion Research Seminar Series: “Non-theistic Concepts of Deity: When God isn’t God”. Università di Sydney – Australia
2013 – Esposizione “Forma, Luce, Quanti” – Galleria Civica Cavour – Padova -Italia
FONTI DOCUMENTALI
Taverna De-Costruzione, Città di Bassano del Grappa, Palazzo Bonaguro, 1989
Luce Spazio Attilio Taverna, Fondazione Villa Benzi-Zecchini, Caerano San Marco, 2004
Attilio Taverna Forma, Luce, Quanti, Galleria Cavour, Padova, 2014
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