VOLPATO GIAMBATTISTA
(Bassano del Grappa, 1633 – 1706)
Giambattista Volpato è un personaggio composito, come lo vedremo in queste tre vite di autori diversi iniziando dalla biografia di Daniele D’Anza del 2005, poi quella di Elia Bordignon Favero del 1994, e infine quella di Giambatista Verci del 1775 che ho fedelmente ricopiato nei minimi dettagli.
di Daniele D’Anza
Nato a Bassano del Grappa nel 1633, Volpato fu non solo pittore ma anche matematico e scrittore d’arte. Abbandonato l’abito religioso impostogli dal padre, decise di seguire la vocazione pittorica e presto divenne un convinto e abile seguace di Jacopo Bassano. Dopo aver operato ad Asolo (1670) per conto del mecenate Cornelio Beltramini, si stabilì a Feltre intorno al 1671, legandosi in amicizia con il vescovo Bartolomeo Gera, il podestà Antonio Boldù e Francesco Angeli, uno dei cittadini più illustri e influenti.
L’appassionata e tutt’altro che disinteressata adesione all’opera del Bassano lo indusse non solo a ricavarne delle copie, ma a sottrarre, non senza la complicità dello stesso Bartolomeo Gera, due tele di Jacopo dalle chiese dei villaggi di Tomo e Rasai, che sostituì all’insaputa dei paesani, con copie di sua esecuzione, riconosciute solamente qualche anno dopo. Le due tele furono imitate in un laboratorio messo a disposizione da Angeli e non fecero più ritorno nelle sedi originarie (oggi si conservano all’Alte Pinakothek di Monaco di Baviera). Scoperto l’imbroglio nel 1685, Volpato venne processato e bandito per dieci anni da Feltre. Un testimone del processo riferì che il pittore aveva ammesso di aver “havuto quelle Palle dai Preti havendogli datto tanta Pittura per esse palle”. L’artista non si curò molto della condanna, continuando a lavorare nella casa di campagna, a Cassola dei nobili veneziani Cappello (Verci 1775). Più tardi ritornò a Bassano nella casa del nobile Giust’Antonio Bellegno, del quale era già stato ospite a Venezia ai Santi Apostoli (Bordignon Favero 1994).
La pittura di Volpato riscosse da subito un certo successo nel territorio feltrino. Tale assenso gli garantì nel 1671 la commissione della tela celebrativa del Podestà Antonio Boldù con i sindaci, realizzata per la chiesa di Santa Maria del Prato. Fra il 1683 ed il 1689 completò, a Bassano, la decorazione di Santa Maria in Colle con l’Assunta e Trinità, il Martirio di san Clemente e San Bassiano e dipinse con la Caduta dei giganti il soffitto di Ca’ Rezzonico.
Fu, come detto, anche scrittore d’arte. I suoi testi, Il vagante corriero, La verità pittoresca, La Natura pittrice, Modo da tener nel dipinger, per buona parte inediti, sono ricchi di interessanti osservazioni. Tuttora valida è soprattutto la sua definizione delle “quattro maniere” di Jacopo Bassano. Giovan Battista Volpato morì a Bassano del Grappa nel 1706.
di Elia Bordignon Favero
Giambattista Volpato è una figura interessante e singolare del ‘600 veneto. Figlio di Bernardino e di Dorotea, nacque a Bassano il 7 marzo 1633 ed ivi morì il 7 aprile 1706. Fu pittore, scrittore e critico d’arte, ricercatore del moto perpetuo e della medicina universale. Un soggetto multiforme, complesso, non facile da raccontare. Una circostanza, non inconsueta nel mondo dell’arte, viene in aiuto circa la sua vita. Ne La Verità Pittoresca – che considerava il suo scritto più importante – egli accenna, sotto il nome di Ottavio, alle sue vicende, in particolare alla sua “formazione”. Verrebbe spontaneo pensare ad una testimonianza diretta, personale “vera”. Ma quel che l’autore dice di sè fa anche parte di un discorso più ampio: si inscrive in una “leggenda”, dalla quale egli deriva – come da un vocabolario – luoghi e parole comuni, per narrare se stesso. Il padre, “uomo da bene”, faceva il sarto, e, mirando alla sicurezza economica, avrebbe desiderato che il figlio diventasse commerciante di sete. Vedendo però l’inclinazione intellettuale del fanciullo, e non avendo i mezzi per farlo studiare, lo spinse a vestir l’abito religioso, che Giambattista dopo qualche tempo abbandonò perché non gli consentiva di dedicarsi pienamente alla pittura. Le difficoltà degli inizi, anziché indebolire, rafforzano la vocazione contrastata. Volpato racconta la sua formazione con accento eroico: nella sua sorte entrano in gioco anche il cielo e le stelle: Era Ottavio huomo di questo mondo, nato nella sua patria e figlio di Padre qual fu sarto huomo da bene, studioso delle cose sacre e timorato di Dio, il cui nome era Bernardo, questi non havendo altri figlioli tentò d’applicarlo e porlo in stato, che sicuramente campasse la vita con quell’honorevolezza, che brama un vero ed amorevol Padre. Ma il Fato inevitabile Lo fece nascer sotto costellatione si vehemente, che quasi privo della volontà, fu astretto di assolutamente seguir il proprio genio, vogliendo le spalle a quei commodi preparatigli dal Padre, onde con gran tempo contro la volontà di quello s’ essercitò, et attese alli nobilissimi studij della Pittura, sua particolar, et unica inclinatione, e se la fortuna l’adottò di tal genio, non mancò di provederli di complessione fortissima per cui sostene il peso faticosissimo, non perdonando a se stesso ne pure di notte tempo fra la più horida stagione del verno, e anzi per occultarsi dal Padre erra astretto di starsene solingo per brama di seguir questa sua singolar inclinatione ond’è che il suo riposo non più si inoltrava che di pochi momenti, non giongendo mai al termine, che si potesse dir riposo d’hore: Fuggiva le piume, accio quelle alla lusinga della quiete non lo tenesse a bada, solo contentandosi di quel guanciale, che l’era somministrato dalle proprie braccia, posando sopra la tavola, ove apunto haveva spiegate e carte, e libri, in cui trovava il centro delle proprie delitie, e così istessamente, ne maggiori calori dell’estate viaggiava solo per desiderio di vedere qualche bell’opera d’eccellente mano; talli incommodi e disaggi li sembravano delitie, conoscendo, che quelli erano il sentiero, che lo guidava alla sua sospirata felicità; ma se la fortuna l’adottò di questo genio, e complessione non mancò d’esserli avversa negandoli quei aiuti necessari) per l’incaminamento di un arte si difficile (qual chiaramente si fà conoscer tale nella scarsezza de soggetti) negandoli maestri, oltre la contrarietà de Parenti: niente di meno faceva animo a se stesso non mancando di leggere ne libri, et osservar così nelle carte, e Piture, come nela nattura, investigando le cause di ciò, che in quella vedeva, solo a fine di veramente conoscere l ‘operation de più eccelenti (. .. ) Usò sempre di persuader ogni giovine dilettante a seguir quei medesimi studij, in cui haveva trovato il vero sapere di quell’Arte, ma non hebbe mai, se non infelice l’incontro, la Fortuna però che né sempre benigna, né sempre avversa si mostra, li provide d’un amico di suo genio, a cui comunicava i suoi pensieri (. . .) La connessione della nascita geniale con gli astri richiama alla memoria la vita di Michelangelo del Vasari. L’immagine che Volpato dà di se stesso è quella di un uomo senza radice, senza famiglia e proprio per questo originale, grande e solitaria. Il tema della vocazione ostacolata, ma infine vittoriosa per la forza inarrestabile dell’inclinazione, ricorre come un motivo comune nella vita di altri pittori: Pietro Liberi, ad esempio «Non impiegava mai oziose le ore che gli avanzavano di questi studi, ma eccitato dal genio naturale le spendeva virtuosamente nel disegno e nella pittura, nella quale tanto s’inoltrò e s’invaghì, che, tralasciata ogni altra scienza, a questa sola rivolse il pensiero, benché fosse contrariato da’ suoi, che conoscendo la vivezza del suo spirito desideravano che si dottorasse». Ecco un altro “lamento” di Volpato: Natto con questa particolar inclinatione alla Pittura m ‘ho sempre dilettato come fanno li fanciulli sopra libri nelle scuole far figure qual m’erano riconpensate con la sferza del maestro, onde cresciuto mio padre con fine retto mi volle applicar al negotio di sete che / quanto all’utile sarebbe stato meglio ma l’inclinatione è statta superiore: io tutto contrario di genio sopra muri con carbone disegnavo figure onde m ‘abatevo che in molti lochi ancora si conservano, tentavo furtivamente di buscar qualche dinaro al Padre per investir in carte e libri quelli dalla matrigna scovate al padre le riportò, e le vendete ad un negotiante mio amico che di novo secrettamente me le restituì con il rinborso. Ma perché mi vedevo privo di cognitioni mi risolsi di aplicar alla Religione desiderando con tal mezzo fra qualche studio essendo anco tal la mia inclinatione il che fui e teni per qualche tempo l’abito di S. Pietro ma vedendo che il sacerdozio non mi permetteva quella libertà pittoresca secondo il mio genio lo lasciai et attesi al penello, se ho voluto dar principio a colorire mi è convenuto trovar amici, che mi favorisca in casa loro di colori, e ciò che fa bisogno per dipinger bramando far insperienza che cosa fuse colorire, pur tutta volta facendo animo a me stesso ho sempre atteso a cercar la ragione delle cose conoscendola necessaria per superar tutte le difficoltà ma gran cosa che mai ho trovato alcuno che mi dia animo né mi favorisca d’un minimo avertimento, anzi se facevo qualche studio cercava di levarmi da questo mio proponimento, ma se davo de piglio a Paulo Lomazzo, et alle carte di Rafaelo Michiel Angelo, Paulo Veronese, Tintoreto; et gl’altri nostri citati, trovavo che le mie opinioni e ragioni erano le più sicure, e cosi con una pertinace stabilità ho seguito fino all’ultima resolutione, ma cosa bizzara e curiosa, che se havevo qualche condiscepolo invece di far que studij che manifesti li facevo tocar con mani, mi dava mile rimproveri dicendo questa vostra Theorica è una pazzia, prattica operar bisogna (detti usciti da una scioca balordagine interessata) ma che non sarà mai né conveniente né giusto che apprendi chi si dimostra inimico di sapere e fino a tempi presenti ho scorso simili influssi, e cosi invece de agiuti e solievi mile disgusti e mortificationi, ma al fine superare tutte queste travercie mi ho ridotto a questo passo sperando fortuna di giunger al fine ( .. .) La matrigna accennata nel passo è Francesca Scudellari, che Bernardo, padre di Giambattista, aveva sposato il 6 ottobre 1653, dopo la morte della seconda moglie. É un dato della vita reale. Nondimeno, l’accenno al disegnar sui muri, emblematico dell’inclinazione all’arte, ricorda l’episodio di Giotto fanciullo che tracciava figure sulle pietre. Filippo Lippi, allevato in un convento, e destinato alla vita monastica, invece di studiare disegnava sui libri suoi e dei compagni. Poussin era un pessimo scolaro, sempre intento a riempire il quaderno di scarabocchi anziché di compiti, etc. E il tema dell’ enfant prodige, il quale trionfa sugli ostacoli posti sulla sua strada spesso dalle persone che gli sono più vicine. L’ostacolo di specie domestica ‘incontra con frequenza nella letteratura artistica di fine’ 500, dove si accompagna ad una nota in precedenza meno avvertita: la coscienza di non essere “figli d’arte”. La figura rinascimentale dell’artista che, invasato da furore celeste, piega materie e tecniche alla necessità dell”’idea interna”, cede lentamente il passo, pur non uscendo di scena, a quella di un “virtuoso” che si afferma nel suo campo. Sulla via aperta dalla figura del genio si profila la nuova immagine di un uomo “fatto da sé” con lo studio, la fatica e l’appropriazione di tecniche e conoscenze che “in casa” non avrebbe potuto trovare. Nelle Notizie … de’ Pittori, Scultori e Intagliatori della Città di Bassano (1775) dell’erudito bassanese Giambattista Verci, Volpato emerge, per ampiezza di trattazione, sugli artisti del ‘600 locale. Jacopo Bassano, la sua bottega erano allora un ricordo, ma proprio Volpato vi s’intende ricollegare, oltre la loro fine. Il grande padre della pittura era morto. Morti erano i suoi figli e discepoli. Solo un “uomo nuovo” avrebbe potuto riprenderne i valori. Il tòpos dell’artista autodidatta è antico. Il genio non può avere maestri: egli invece sarà ispiratore di allievi e seguaci.
Nel passo citato Volpato esprime l’esigenza di un allievo e la necessità della didattica e di una scuola sarà per lui di capitale importanza. I tòpoi dell’auto-didattismo e degli ostacoli che il genio deve affrontare si collegano al tema dell’ascesa sociale dell’artista: altro argomento al quale Volparo è sensibile. Quando Volpato nacque, la città di Bassano – e, più estesamente, la Repubblica Veneta – usciva da un periodo difficile a causa delle carestie e, soprattutto, della peste (1630-31). Tutte le “arti” ne avevano risentito e la condizione familiare di Giambattista non doveva essere prospera. Alla gravità delle contingenze naturali si aggiungevano le gravezze della situazione politica: la guerra contro i turchi costringeva la Repubblica a tasse come quella per il pagamento di dieci galeotti o uomini da remo. La documentazione ad essa relativa offre uno spaccato interessantissimo delle attività di Bassano e territorio. La Nota del 1646 fa i nomi di ventiquattro sarti, tra i quali «Bernardin Bolpato», che è anche elencato fra i «mercanti da seda e filatori»: qui importa osservare che, in quell’anno, fra le varie arti quella dei pittori non appare. Essa appare per la prima volta nella tassazione del 1661, con Marcantonio Dordi. Ma nel 1664, 1665, 1666, 1668, i pittori contribuiscono a nome di Giambattista Volpato, loro «capo». Sembra che a Bassano la pittura risollevi pubblicamente le sue sorti nella persona di costui. Su Volpato il Verci dimostra un’informazione dettagliata. Il 1° febbraio 1663 il pittore sposò Anna Veronese di Bassano, da cui ebbe Gio Bernardo (1666), Dorotea (1668), Ottavia (1678) e Giulia Teodora (1680). Bernardo, fattosi di chiesa, lasciò «che in lui s’estinguesse la famiglia» (Verci). Il pittore fu sepolto nella chiesetta di San Donato, situata in capo al Ponte, a Bassano: l’atto religioso è nei registri della SS. Trinità di Angarano, dalla quale San Donato dipendeva. Si può osservare che il sacerdote nota il trapasso delle «anime buone» con una formula ricorrente: la sua anima «volò in cielo», «volò dritta in cielo» – e che ne usa talora un’altra, la quale esprime minor sicurezza e simpatia circa il defunto: «si raccomandò l’anima a Dio». Per Volpato usa questa formula. Anch’essa è probabilmente un segno del carattere “critico” del pittore bassanese.
Il progetto di un’ Accademia artistica. In un opuscolo, il Vagante Corriero (Vicenza, 1685), Volpato anticipa il contenuto della sua opera critica più importante, La Verità Pittoresca che pensava di dare alle stampe, ma che, invece, restò manoscritta. Egli dice di essere stato indotto a tale anticipazione dal fatto che, avendo prestato a molti i suoi scritti temeva che le sue idee gli fossero «derubate». Sia ne Il Vagante Corriera che ne La Verità Pittoresca egli traccia minuziosamente un progetto di Accademia in dodici classi, il quale dovrà servire per rinnovare l’arte, a vantaggio dei giovani, dal momento che – a suo giudizio – le botteghe e i maestri del suo tempo insegnano precetti parziali, se non errati.
Il suo intento, all’opposto, è quello di fondare un’arte su regole certe e universali. A tal fine, la dimensione personale, domestica e chiusa della “bottega”, non basta più ed è per contro necessaria un’ Accademia. Qui gli allievi si eserciteranno dal vero, con la guida di maestri e dei modelli migliori. Competizioni periodiche animeranno l’attività didattica, con premi e diplomi. L’apprendimento rigoroso partirà dalla conoscenza della Geometria e dell’Ottica e sarà affiancato dalla lettura di testi letterari, a stimolo dell’ invenzione figurativa. Oltre che una biblioteca, un “museo” permanente sarà a disposizione dell’allievo, che potrà osservare e studiare, riunite in un sol luogo, pitture di paesaggi, di battaglie, di storia e di natura morta, accanto a scheletri, abiti di ogni specie, sculture in gesso, animali impagliati, strumenti tecnici e reperti della natura. Questa esigenza accademica è connessa alla creazione, in Venezia, dell”’Accademia dei Pittori (1682), sotto la guida di Pietro Liberi. Maestro versatile, esperto nell’imitare le “maniere” di vari artisti, il Liberi aveva promosso la scissione dei pittori dalle arti “vili e meccaniche” con le quali si trovavano insieme, da secoli, in un’unica “corporazione”: ne era sorto un collegio che raggruppava gli artisti, i quali non potevano confondersi con gli ‘artigiani”, in virtù del carattere “liberale” della Pittura, arte nobile per gli esponenti illustri che l’avevano resa grande e per la qualità del sapere in essa contenuto. Dipingere, infatti, sostiene Volpato, non è questione di sola prassi, ma anche di studio: chi manca di “teorica” e fa di “pratica” non è degno del nome di pittore. Un passo perduto de La Verità Pittoresca – noto al Verci, che lo riporta nelle sue Notizie – conferma che il bassanese era al corrente della scissione dei pittori in atto a Venezia e delle istanze “accademiche” che la connotavano.
L’attività del copista-falsario. Nel 1674 c. a Tomo e Rasai, presso Feltre, Volpato copia le due pale di Jacopo Bassano (ora all’ Alte Pinakothek di Monaco) e sostituisce gli originali con le sue copie. La sostituzione venne scoperta dieci anni dopo da un “amico” del critico-pittore, Carlo Ostij, il quale la rese nota alla gente del luogo. Ne seguì un processo in cui Volpato, riconosciuto colpevole del «fraudolento asporto», fu condannato al bando per dieci anni, da Feltre, Bassano e loro territori (1687). Ma egli contava di protettori influenti, e con tutta probabilità non si mosse dalla zona. Nell’antiporta, Il Vagante Corriero reca uno stemma sormontato da un Pégaso: è lo stemma dei Bellegno. Volpato confidava nel loro aiuto, poco prima che il bando lo colpisse: ed essi non mancarono, credo, di proteggerlo. A Venezia, possedevano un palazzo nel quale aveva bottega Pietro Vecchia. Il Verci c’informa che Volpato era amico di Gaspare figlio di Pietro. Era un “giro” di artisti intellettuali, imitatori delle “maniere” più diverse. Il Liberi si era fatto conoscere a Venezia spacciando alcune sue copie dal Reni per originali. Volpato era un imitatore del Bassano. I Bellegno, suoi “mecenati accoglievano nella loro casa il Vecchia, un copista rinomato di Giorgione. Questa attività – oggi considerata con sospetto – era allora vista quale segno massimo di abilità, così la intende Boschini nelle Ricche Minere della Pittura Veneziana (1674); e nel mercato dell’arte – che a Venezia, nel ‘600, ha particolare incremento – era fonte materiale di ricchezza. É da notare che l’attenzione dei copisti colleghi” di Volpato va per lo più all’ arte dei grandi del ‘500. Volpato era anche alchimista. Una ragione nascosta lega questa attività a quella del copista-falsario. Identificandosi nel modello imitato, il pittore-copista abolisce il tempo, grazie all’arte. L’ alchimista, sperimentando strumenti e tecniche e manipolando elementi, intende rifare nel proprio laboratorio, il gesto creatore di Dio, ri-producendo la sostanza prima. Entrambi sono alla ricerca di un’identità perfetta. É un’esigenza di tipo magico o mistico. Ciò che vale, alla fine, in questo processo, è la scoperta delle potenzialità mirabili di una tecnica che può generare forme di ogni tipo. Come noto, s’intende per falso l’imitazione di un modello spacciata ingannevolmente per l’originale, in genere a scopo di lucro. Ma nell’animo di chi falsifica vi è qualcosa di più che la semplice intenzione di frode, a fine di guadagno. La falsificazione richiede impegno, studio, tempi lunghi di lavoro, sacrificio. Essa è segno di un’incertezza formativa e non a caso fiorisce in periodi saturi di immagini. Nell’impossibilità di concepire una propria forma, quale frutto di un’esperienza dialogica, il falsario s’immedesima in una forma assunta a valore assoluto. Per Volpato, questa era offerta dal Bassano.
Le osservazioni critiche su Jacopo Bassano. La Verità Pittoresca di Volpato è di notevole interesse per molteplici aspetti. Oltre al concetto fondamentale di un’arte universale e “scientifica”, essa contiene osservazioni originali ed acute su Jacopo dal Ponte, il maestro più amato e studiato da critico-pittore. Fra queste, due sono significative. La prima è l’individuazione nell’arte del Bassano di “quattro maniere”, coincidenti con quattro momenti della sua parabola pittorica. Il discorso sulla “maniera’ – che in Ridolfi, amico giovanile di Volpato, ha i primi spunti – in Volpato ha una rilevanza sistematica e definisce per la prima volta, in modo analitico e nel suo sviluppo temporale, l’esperienza pittorica dell’artista. Le osservazioni del Verci sulle ‘quattro maniere” del Bassano derivano, in realtà, da Volpato. Per riassumere: la prima maniera è quella in cui Jacopo rende “naturali” le sue immagini grazie ad un colore armonizzato. Questo momento è qualificato dallo studio su Tiziano ed esemplificato dalla Fuga in Egitto (Museo Civico, Bassano). La seconda è quella in cui il pittore vede i disegni di Raffaello e di Michelangelo: è il momento, oggi diremmo, “manierista”, di cui Volpato, tra le altre opere, cita, con giudizio tuttora valido, il Martirio di Santa Caterina e l’affresco di Marco Curzio, l’uno ora al Museo Civico l’altro quasi scomparso sulla Porta Dieda. La terza maniera è quella più scopertamente ispirata alle “carte” del Parmigianino. La quarta ed ultima – secondo il critico-pittore – è quella connotata dal “lume serrato” ed esemplificata dalla Pentecoste (già nella chiesa di San Francesco a Bassano e ora al Museo Civico). La seconda “scoperta critica” di Volpato è appunto l’artificio tecnico che fa capo a questo lume, il quale, dichiara, era stato scoperto dal Bassano dopo un’ intera vita di ricerca, cosicché lui poteva, all’ opposto, spiegarlo in poche parole, con una facile dimostrazione. Si tratta di un lume artificiale, di torcia, candela o simili, posto nello studio entro una carta oleata avvolta tutt’ intorno. L’effetto è di una luce ribassata, dalla quale tuttavia i colori spiccano con intensità, come da una trasparenza profonda. Giova citare le parole di Volpato sulla Pentecoste di Jacopo, per osservare la derivazione del Verci e lo studio attento del critico-pittore sul capolavoro: … Si vede un artificio grandissimo nell’opera dello Spirito Santo del Bassano in Bassano appunto: ove si vede una disposizione di rossi gialli, e cenerizii intersecanti tra di loro, cosi in tutte le teste, come nelle parti di quelle tanto ne’ chiari quanto negli scuri, con un accordato cosi naturale che benché siano pittorescamente evidenti, ad ogni modo rappresentano all’occhio teste più vive che dipinte … … e tra le altre opere che si veggono in Bassano, vi è quella dello Spirito Santo nella Chiesa di S. Francesco, ond’io tengo per fermo che allora uscita sia dalle mani del Bassano quando stava nell’auge della propria eccellenza, come ben comprender puossi dalla diligente esaminazione della medesima, ove la sviscerata e profonda divozione, lo spirito elevato a Dio si fa cosi al vivo veder nelle faccie degli apostoli, che par aver in loro e non altrove la sua vera stanza, e decoro, che di più certo non hanno fatto i Romani, i panni sono così ben aggiustati alla disposizion di superficie, toccando anco qualche particolarità de’muscoli, nello stile del Parmigiano, e nella vaghezza del colorito di Paolo, con tanta graziosa e natural maniera, che non lasciano se non luogo all’ammirazione, ed oltre l’espressione degli affetti cosi spiritosi e divoti, vi si mira un colpo in modo ricercato e franco che più di quello non si può esprimer anatomisticamente in pratica naturale, la disposizione poi delle figure in composizione circolare e quadrata è tale che l’occhio non ha onde meglio desiderare, restando così pago e soddisfatto nell’accordato di teste, mani e piedi regolatamente disposti … Per questo caso adunque, molti pittori che sono stati qualche tempo in Roma ragionevolmente sono costretti afermare che in Roma stessa non vi è tanto, soggiungendo questi che per conoscere l’opere originali del Bassano, e discernerle da tante copie che di lui si sono sparse per il mondo è necessario andar in Bassano essendovi anco molte altre opere d’estrema eccellenza …… posto poi alla quarta ultima sua maniera tutta piena d’artificii, quali in altri tempi vi ho accennato, avendo in questa praticato il lume serrato, artificio conosciuto dalle opere d’Alberto e d’Aldo, perciò il suo colorito si rende superiore di forza e vaghezza a qual si voglia pittore perché con la scarsezza de’ lumi ed abbondanza delle mezze tinte e privazione de’ neri accorda panni velati, lacche rossi e così bianchi, verdi azzurri in modo che l’occhio non resta punto offeso, anzi con somma dilettazione aggradito.
Le imprese pittoriche. Volpato rifà la Pentecoste del Bassano in quella eseguita per la Chiesa di Santa Maria del Giglio a Venezia (1683-88). Non è, evidentemente, lo stesso dipinto. La luce che nel Bassano usciva a stille dall’interno delle forme pervase d’ombra ( i “cenerizii”) e condotte per tocchi, in Volpato scivola dall’esterno, come su un guscio, su immagini levigate e definite. É un esito che risente della pittura neo-caravaggesca e “accademica” (vedi Saraceni o Le Clerc) già presente a Venezia e nell’entroterra veneto. Volpato copiò il Bassano anche a Borso, ad Asolo, a Casoni di Mussolente, a Loria (1677). La prima notevole impresa in cui egli attinge all’arte del suo grande concittadino è la decorazione pittorica della Cappella del Santissimo, nel Duomo di Feltre (1672). Essa consta – all’ uso veneziano – di “teleri” che ricoprono le pareti: a destra l’Adorazione dei pastori, sormontata dalla lunetta con l’Adorazione dei Magi, a sinistra l’Annunciata e l‘Angelo Annunciante (datato) sormontati dalla lunetta col Padre Eterno e lo Spirito Santo. Sopra l’arco trionfale, è l’ Ultima Cena (opera di probabile collaborazione con l’allievo Girolamo Bernardoni che, secondo i documenti, era accanto al maestro nel soggiorno feltrino). Se il Padre Eterno discende, nell’invenzione, da Palma il giovane, la gamma dei colori è bassanesca. Nella qualità cromatica, come di smalto, e nel ductus grafico, evidenti nell’Annunciazione, Volpato sembra ispirarsi a leandro. L’Adorazione dei pastori riprende, iconograficamente, immagini dei capolavori di Jacopo in una composizione dilatata, grandangolare, estranea a jacopo. Volpato era stato a Venezia: e qui doveva aver visto le opere del Veronese e seguaci (quelle, ad esempio, della Scuola di San Fantin) dalle quali prende lo schema compositivo “paratattico”, in orizzontale. Il dipinto, ora nel Municipio di Feltre, con il Podestà Boldù coi rappresentanti della Città di Feltre (1671) rivela un’ inedita maniera franco-fiamminga, comprensibile grazie alla frequentazione, da parte dell’ autore, della bottega di Pietro Vecchia – parente di Nicolas Régnier e di Daniel Van Dyck – nel palazzo veneziano dei Bellegno. Di questa “maniera” è il Ritratto del Vescovo di Feltre Bartolomeo Gera (Feltre, Arcivescovado), fautore del rinnovamento del Duomo, il quale doveva aver apprezzato le opere di Volpato nella cappella del Santissimo. Nel feltrino, oltre alle copie del Bassano a Tomo e a Rasai, Volpato lasciò altre opere: il polittico di San Daniele, l’Adorazione dei Magi, l’Incoronazione della Vergine, l’Ultima Cena, a Lamon; la Natività ad Arsiè; la Madonna del Rosario per la chiesa di Tomo citata dai documenti processuali quale “dono” al parroco che aveva concesso al pittore di rimuovere e copiare la pala del Bassano. L’attenzione per il Bassano non esclude, tuttavia, l’interesse per le ricerche formali contemporanee, in particolare per l’arte dei “tenebrosi”. Il Sogno di Giacobbe – databile, sulla base dei documenti, al 1680 – costituisce il quadro centrale del “Paramento Civran” nel Duomo di Vicenza, e testimonia la fama che Volpato aveva raggiunto. L’ispirazione giunge, ancora, dal ‘500: dalla Deposizione del Tintoretto (ora alle Gallerie dell’Accademia di Venezia). Ma il gusto scoperto dell’anatomia e la luce – che batte dall’esterno, come un riflettore, sul corpo, mentre in Tintoretto, con effetto visionario, sostanzia l’immagine – riconducono alle ricerche pittoriche dei “tenebrosi”. L’opera, significativamente, era stata attribuita a Carlo Loth esponente, accanto al Liberi, dell”’Accademia dei Pittori” formatasi a Venezia, e collega, nell’ambito di essa, dello Zanchi, col quale è attivo nel rinnovamento pittorico di Santa Maria del Giglio, dove Volpato dipinge, oltre la Pentecoste, lo Sposalizio della Vergine e l’Adorazione dei pastori. L’ovale al centro del soffitto della chiesa di Santa Maria in Colle, a Bassano, firmato dall’ artista ed eseguito, in base ai documenti, nel 1683, raffigura l’Incoronazione della Vergine Assunta in cielo, ed è la testimonianza più significativa del recupero neo-cinquecentesco attuato da Volpato. Lo schema compositivo si ispira ai soffitti di Palazzo Ducale, in particolare a Veronese e Tintoretto. Molte figure derivano dai teleri di quest’ultimo alla Madonna dell’Orto, che il bassanese dichiara di aver visto. Il Cristo è ripreso dalla pala di Leandro presente nella stessa chiesa di Santa Maria in Colle; il Padre Eterno dal Dio Padre di Jacopo nella Trinità di Angarano, etc. Il motivo della Madonna incoronata da un serto di rose rinnova il tema della Madonna del Rosario: non a caso, se si avverte che il rinnovamento secentesco di Santa Maria in Colle cade nel tempo in cui il conflitto coi turchi era più acuto, e si ricordi che la festa della Madonna del Rosario era nata, nel ‘500, in connessione con tale conflitto (battaglia di Lepanto). Il carattere “grammaticale” e composto del recupero di Volpato è evidente se si confronta quest’ opera con altre del Maffei – contemporaneo e noto all’artista – dove gli angeli volteggianti, ispirati pure al Tintoretto della Madonna dell’Orto, si risolvono ben diversamente in immagini di tocco, spiritate, e in un’altissima concitazione visiva. Gli ottagoni, ai lati dell’ovale, raffigurano San Bassiano vescovo e il Martirio di San Clemente. Come i documenti attestano, il pittore li eseguì alcuni anni dopo (1688-89), proprio al tempo in cui fu colpito dalla condanna, in «Ca’Cappello alla campagna». Se nel San Clemente vi è la suggestione del San Pietro Martire di Tiziano, il San Bassiano riprende Palma il Giovane ai Tolentini (cappella Grimani). Volpato, che afferma di non aver avuto maestri era stato – secondo la testimonianza di Nadal Melchiori – allievo di Giambattista Novello da Castelfranco: un palmesco attardato che aveva avuto, fra i suoi scolari, Pietro Damini. Questi, morto di peste nel 1631, e Volpato non poterono conoscersi: ma un rapporto è possibile porre tra Volpato e Damina, pittrice, sorella di Pietro. La decorazione pittorica della chiesa dell’Angelo Custode a Bassano, al di là della pala, che richiama nella centina il Novello, e, nella figura anatomicamente sgraziata dell’ Angelo, lo studio delle stampe antiche rivela in alcune métope (San Pietro, San Paolo etc.) la vicinanza di Volpato, appunto, con Damina. Sono gli inizi, deboli e problematici, del critico-pittore. Ma, per tornare a Santa Maria in Colle: al di là dell’ ascendenza palmesca, le figure degli ottagoni, scorciate in arditi sott’insù e colpite da forti sbattimenti chiaroscurali, rivelano l’attenzione per le ricerche, ancora dei “tenebrosi”; le pose difficili e il gusto anatomico suggeriscono la realtà di “dimostrazioni” pittoriche, esibite come problemi risolti. É lo spirito didattico che anima gli scritti del bassanese e che informa il soffitto di Ca Rezzonico, raffigurante Giove che fulmina i Giganti. Qui le figure dei Giganti, colte in difficili sott’insù lungo il perimetro della circonferenza, sembrano costituire una sorta di “Accademia del nudo”; dove i modelli assumono a turno ogni posa per offrire le soluzioni più varie ad ogni problema di figura umana. É suggestivo notare l’affinità tra l’immagine di un Gigante e una tavola delle “Figures d’Academie” a corredo de l’Art de Peinture di C. A. Dufresnoy, edita a Parigi nel 1673 con introduzione e commento di Roger de Piles, il segretario dell’ Accademia di Parigi che nella disputa tra i seguaci di Rubens e di Poussin favorì i primi, aprendo la didattica dell’Istituto alle istanze del “colore”, rispetto al “disegno”. De Piles aveva soggiornato a Venezia quale segretario dell’ ambasciatore di Francia Amelot de la Houssaye e in quell’occasione (1682-85) aveva visitato Bassano, rimanendo colpito dalle opere di Jacopo, che ricorda con viva memoria, accennando all’”accuratezza e precisione” del tocco dell’artista. Sono le stesse note sul “colpo scientifico” del Bassano che leggiamo ne La Verità Pittoresca di Volpato: non è inverosimile che essi si siano conosciuti e che l’”Académicien” francese abbia donato al bassanese il suo libro, dalle cui figure Volpato tolse uno dei suoi Giganti di Ca’ Rezzonico. Dopo il bando, fino alla morte, dell’artista e della sua opera sembrano perdersi le tracce. Al 1689, secondo le fonti, risale l’acquaforte col San Giovannino, che rivela l’apertura di VoIpato all’arte centro-italica: precisamente a Simone Cantarini di Pesaro, di cui imita il San Giovannino , perduto ma riprodotto all’ acquaforte di Domenico Maria Muratori (1695 c.). Di Volpato, si sono scoperti, recentemente, nuovi disegni; il discorso sulla sua opera grafica richiederebbe un più ampio spazio. Come, del resto, la sua opera pittorica, di cui si è inteso dare, qui, un cenno per esempi salienti, dal quale si possa cogliere, tuttavia, l’operosità e la vivacità d’interessi dell’artista.
Da “L’ILLUSTRE bassanese”, N°27, Gennaio 1994, Casa Editrice Tipografia Minchio, Bassano.
di Giambatista Verci
Siam giunti ad un altro Pittore, che dopo i celebri Bassani merita al certo il primo posto. Fu esso eccellente nel Disegno, nel quale dopo Tiziano, Tintoretto, e Paolo, i primi lumi della Veneziana Pittura, si rese superiore a’ Pittori tutti di quella Scuola; e se il suo colorito, in cui fu inferiore alquanto, avesse corrisposto del pari noi avressimo nuovamente veduto la Pittura Bassanese risorgere a quell’apice di gloria, e di estimazione, che giunse col mezzo de’ famosi da Ponte; ma essendo egli stato totalmente maestro a se stesso, non poté da se solo imparare i secreti tutti che lo compongono.
Nacque esso l’anno 1633 a’ 7 di Marzo da Bernardo e Dorotea giugali, di condizione civile ed onesta, ma di mediocri fortune; ciò che fu appunto l’obietto per cui non poté pervenire a quella perfezione, cui sarebbe giunto per la sublimità de’ suoi talenti, se avesse avuto il modo di studiare sotto valorosi maestri, ed ammirare insigni Pitture di Rafaello, de’ Carracci, di Michelangelo, di Guido, e d’altri eccellenti, sparse in Roma, in Firenze in Bologna e in altre Città dell’Italia.
Giunto agli anni della gioventù fu costretto dal padre suo a vestir l’abito di S. Pietro, del quale peraltro spogliossi pochi anni dopo; e sentendo dentro se stesso una straordinaria inclinazione allo studio della Pittura, con tutta l’applicazione ad esso abbandonossi, ma però furtivamente, e in tempo di notte, per non soggiacere a’ duri rimbrotti del padre, che a viva forza volealo religoso.
Quali siano stati i suoi principi, quale il suo progresso, e i mezzi che adoperò, sentiamoli da lio stesso che ne ragiona in più luoghi de’ suoi Dialoghi mfs. “ Nato con estrema inclinazione Pittoresca in tempo di mia gioventù, essendo privo di maestro, tentai di far acquisto di tutte quelle carte, che potei conseguire de primi maestri, le quali spiegate per ordine in una mia stanza assai capace, io andava osservando la differenza delle maniere, composizioni, e forme de’ membri, con tutti gli altri artifizi, che in quelle erano espressi, e ciò faceva passeggiando, e coll’intelletto andava investigando le cause di quanto vedeva espresso: oh quanto terribile e spaventosa mi riusciva l’introduzione di questo studio, essendo la mia mente confusa, né potendo discernere il vero dal falso per non conoscerlo; il tutto mi atterriva. Il sentir celebrare un Luca d’Olanda, un Alberto Duro, Andrea Mantegna, Giorgio Pens, Aldegraef, ed altri de’ suoi tempi, e parimenti più degnamente Rafaello d’Urbino, Michelangelo, Parmegiano, Caraccj, Baroccio, Vanio, ed altri di quelle Scuole, e della Veneziana un Tiziano, un Tintoretto, Paolo, Bassano, de’ quali io mirava gli esempi in carte figurate, che mi rendevano l’intelletto pieno di confusioni per le diversità, che particolarmente osservava comparativamente tra questi; sicché da questo motivo aprii gli occhi dell’intelletto, e conobbi essere necessario far ricorso alla Natura, per mezzo della quale sperai superar tutti gl’intoppi , e scioglier tutte le difficoltà, come appunto mi è accaduto, ma con grandissime e lunghissime applicazioni …..
Sull’anno duodecimo della mia età incominciai a disegnare dalle carte privo allora d’ogni altro lume. Ma udito da’ Pittori a caso (e questo è stato l’unico precetto ch’io abbia ricevuto) che le Carte di Rafaello, Tiziano, Bassano, e Caraccj, nelle quali sono comprese quelle del Tintoretto, e Paolo, erano le migliori per esercitarsi nel disegno, allora ne pigliai, e sopra di quelle io diedi principio al mio disegnare con una continua applicazione; e sebbene da mio Padre, che sempre procurava, con fine retto però, traviarmi da questo sentiero, mi venissero queste levate, ne comperavo tuttavia di bel nuovo, e di notte tempo impiegandomi cercava tener ascoso il mio genio, e la mia applicazione per non incontrar muove traversie. Bene spesso io mi portava nelle Chiese, dove erano le opere del Bassano, e non potendo far altro, uscito dalla Chiesa con una verga in terra formava i disegni di ciò, ch’io aveva veduto. Per mia buona fortuna mi capitò in quel mentre alle mani il Trattato di Gio. Paolo Lomazzo, con che aprii gli occhi a’ necessari studj, e nell’istesso tempo medesimamente mi pervenne Euclide, in cui vedendo quelle figure, né conoscendole, ad ogni modo spinto dalla curiosità andava investigando ciò che fossero, ed a che fine potessero servire; ma dalla lettura di Lomazzo, e coll’investigar i segreti dell’arte, e gli effetti della natura, conobbi la loro necessità, che in fatti sono quell’Alfabeto, che insegna a leggere qualsivoglia difficoltà pittoresca. Indi per intendere la composizione del corpo umano mi diedi allo studio dell’Anotomia, servendomi del Vesalio, e del Valverde, ed anco delle ossa naturali, le quali in tempo di notte trassi da’ sepolcri.
Giunto poi a quell’età, che dà all’uomo qualche fermezza, e lo sottrae da que’ timori, che opprimono le menti de’ giovani, feci lo studio della costruzione de’ muscoli, che scritto, e disegnato appresso di me conservo, la di cui cognizione mi è stata tanto difficile, quanto dilettevole, e fruttuosa. Mi diedi poi alla formazione d’uno studio de’ moti, e da questo a quello delle ombre, e de’ lumi, e poscia feci passaggio in quello delle proporzioni: studi che sebbene intesi e praticati dagli eccellenti, sono stati tenuti occulti però, né mai insegnati, sicché è stata mia pura investigazione trovar ordine in questi, che confusamente si vedono sparsi tra le opere de’ migliori ….. “
Va indi spiegando in altro luogo i be’ capriccj, che mentre era intento a questi studj, gli passavano per il capo a pro degli studiosi, ed a benefizio dell’arte. “ Se avessi, egli scrive, comoda amicizia di virtuosi, da’ quali potessi almeno ricevere informazione delle cose, se non perfetta notizia, vorrei fare un Commento figurato de’ tre secoli già scorsi, cioè decimo quinto, decimo sesto, e decimo settimo, di tutte quelle opere principali fatte dà maestri più eccellenti, e tra quelle comparativamente far conoscere tutti gli acquisti, e le perdite, che di tempo in tempo sono state espresse nelle opere loro, così nella teorica, come nella pratica, per cui si farebbe un estratto del più perfetto dell’Arte, che già non vi è pennellata nella Pittura, nè colpo di scalpello nella Scultura, che non siano stati partoriti prima dell’intelletto di quegli artefici, che seguono la ragione nelle opere loro.”
E questo studio, che per le grandissime sue difficoltà richiede quasi la vita di un uomo, egli già con facilità l’avea per così dir quasi ridotto a perfezione; “ poiché, segue egli, nel tempo di mia gioventù, vivente ancora Marco Sadeler in Venezia, il qual possedeva una Galleria di rami, e carte le più perfette, che siano state fino al suo tempo, io ebbi fortuna dopo la sua morte (oltre quelle ch’io aveva comprate prima) di far acquisto di gran quantità di carte antiche e moderne, dalle quali ho tratto tutto il mio studio, e quelle appunto mi dovevano servir d’esempio a quanto ho iscritto, e a questo fine le avevo pigliate doppie per formarne libri particolari sopra tutte quelle cose da me descritte; sicchè in tal guisa quest’opera era ridotta a perfezione, né vi era bisogno di maestro per esplicarla; ma la perfidia scellerata di certi me l’hanno più della maggior parte rapite, e in tal guisa hanno rapito l’anima di questo studio con danno sì notabile a’ posteri; poiché le mie proposizioni non sono sogni, o chimere, ma cose espresse tutte da’ primi artefici, veri seguaci della Natura.”
Segue poscia ad additar i mezzi più felici per venire al fine di questo studio “ma più d’ogni altra cosa, egli dice, per terminarlo, e ridurlo alla vera perfezione sarebbe necessario far raccolta di copie diverse delle opere del Bassano, nelle quali si vede espresso l’estremo dell’Arte, sì per il disegno, come per il colorito, e varietà di maniere, ed artifizj d’ombre, e lumi già poco intesi, e conosciuti a’ tempi nostri, che quelle appunto sono state , che m’hanno dato il lume, ed indirizzato l’intelletto a tante investigazioni, coll’aggiunta però di quelle del Tintoretto”.
Da questo suo disegno passa a descrivere un’Opera che in allora andava tessendo, e di cui da trent’anni circa ne avea fatti gli schizzi, ed è la Natura Pittrice. “ Questa egli scrive, è quella che dipinge se stessa nelle terse superficie, improntando le specie di se medesima, e in tal guisa dà norma all’uomo di costituirsi Pittore; e perché questa impressione è fatta per benefizio del lume, prendo motivo di farne distinto trattato, per cui perfettamente s’intendono tutti gli accidenti prodotti in qual si sia magnitudine della Natura, ed espressi da periti Artefici nelle opere loro. Ho dato ancor principio ad un insegnamento, col quale faccio vedere ordinatamente il vero modo d’insegnare il Disegno, cioè la composizione dell’uomo , con un ordine di teorica, e pratica unite, con dimostrazioni così facili, che ogni fanciullo le può apprendere da se senza maestro. Altro Trattato di proporzione, il quale m’ha fatto sudar tanti anni, prima ch’io l’abbia potuto risolvere, poiché molte e molte volte ho presa per mano la simmetria d’Alberto, ma atterrito dalla confusione m’è convenuto ritirarmi: ma finalmente l’ho poi risolta con facilità, che in due notti di studio con il lapis alla mano, ed il compasso, avendo separate e distinte tutte le lunghezze dalle larghezze, e profondità, avendo stabilita una regola sì dell’une, come delle altre così facile, che in pochi giorni può essere espressa da qual si sia giovane principiante, e parimenti da Cavalieri, e Grandi, che se ne dilettino, senza anco lapis alla mano, ma solo colla pura osservazione; cosa in vero curiosa e dilettevole di vedere: e tutto questo studio io lo provo cogli esempj de’ primi Artefici. “
“Molti anni sono che ho perfezionato lo studio della costruzione dei Muscoli, il quale solo devesi ricopiare con miglior diligenza….. Per risolvere ed accordare tutti gli artifizj che vi entrano, ho fatto un estratto, de’ membri particolari di tutto il composto dell’uomo, ove si vedono comparativamente disegnate teste, braccia, corpi, gambe, mani, e piedi, né quali si vede l’artifizio usato da’ primi maestri in tal espressione, ch’essendo gli uomini diversi in quantità superfiziale, ad ogni modo sono tutti simili in composizione, e la loro varietà trasse dall’alterazione delle parti e dalla proporzione del tutto … La disposizione poi di superfizie la tengo nell’intelletto, essendo già stata espressa dagli antichi, di cui se conservo in parte gli esempi così de’ Tedeschi, come de’ Romani, ed altre nazioni, benché anche di questi me ne siano stati in gran parte rapiti.”
Passa inoltre a render ragione in altro luogo, perché aveva stampato l’Indice dei suoi Dialoghi sopra la Pittura, e dice, che in quel tempo, che in Venezia i Pittori si segregarono da certe Arti Meccaniche, Pietro Liberi volle erigere un’Accademia di Pittori con certe condizioni, come leggesi nella pubblicazione stampata da lui li 17 Febbraio 1683, e tra le cose più ragguardevoli s’espresse di voler in essa far certi discorsi Pittoreschi per ogni mese per essere stampati. Allora il Volpato pubblicò tosto l’Indice de’ suoi Scritti pittoreschi, poiché essendogli stati da molti trattenuti nelle mani, non voleva che alcuno si vestisse delle penne non sue, e recitando nell’Accademia qualche squarcio di essi, colle altrui fatiche si facesse onore. Intitolò detto Indice il Vagante Corriere, e lo stampò in Vicenza l’anno 1685, descrivendo in esso tutte le materie in succinto, che nella vasta opera sua erano contenute.
Indi ricorda i tentativi ch’egli fece per pubblicar a cognizione universale, ed a vantaggio della gioventù questi suoi Dialoghi, che sono quelli appunto che il celebre Co. Algarotti comperò quando fu in Bassano collo sborso di summa di danaro. ” Dice che per conseguir questo, circa l’anno 1687, incontrò amicizia con un pittore Lorenese, il quale abitava in casa dell’eccellentissimo Sig. Antonio Pasqualigo in Venezia, il di cui nome era Francesco Serviroli Diedi, ei dice, questo diversi indici stampati con le due teste in faccia, e in profilo, con il triangolo per formarle, acciò li facesse capitare nelle Accademie di Parigi, e di Roma, come appunto mi promise, per veder ciò che ne risultava. Diedi anco al suddetto due primi Dialoghj mfs, e la costruzione della Testa colla spiegazione; quella poi del corpo, braccia e gambe senza dimostrazioni; gli diedi anco la pianta del piede, e la palma della mano, ma gli altri disegni li conservo appresso di me. Gli feci vedere le proporzioni dell’Architettura colle forme de’ membri tratte dalla faccia dell’uomo; precetti poi e cognizioni circa alle ombre, e a’ lumi per obbligarlo maggiormente a favorirmi. Gli ritoccai inoltre certe copie da lui fatte delle opere del Bassano, ed all’incontro esso mi favorì, d’un abbozzo di Cristo coronato di spine tratto dallo stesso Bassano, il quale conservo appresso di me: ma in fine poi s’è scordato di tutto,” Soggiunse inoltre che tutti questi suoi Scritti di Pittura, aveali dati in prestito a Gregorio Lazzarini eccellente Pittore, indi al Baron Tassis gran Cavaliere, ed ulteriormente a Gasparo Vecchia figlio di Pietro, Pittore eccellente, e suo amico.
Questi, che or si conservano presso il Sig. Abb. Bernardo Zilotti, mio carissimo amico, assai intendente e pratico delle opere de’ migliori Pittori, e bravo Pittore anch’esso, mostrano a’ giovani studiosi col mezzo di regole scolastiche, la vera via per giungere all’apice della perfezione; di modo che un giovane, dotato di talenti sufficienti, può da per se solo in pochi mesi apprendere tutto quello, che appartiene al fondamento dell’Arte. Sopra tutte le opere che trattano di Pittura portano questi certamente il vanto, poichè in essi sono appianate tutte quelle scabrosità, dubbj, equivoci, ed oscurità di termini, e confusioni di materie, che di tratto in tratto si leggono ne’ libri di tal fatta. Noi di essi, come anche di diversissime altre sue opere, che trattano di varia materia, abbiam fatto un esatto Catalogo, nelle Vite de’ nostri Scrittori Bassanesi, che andiamo successivamente stampando nella Raccolta Mandelliana, fra i quali abbiam giudicato degno di porre anche il Volpato, e tesserne brevemente l’elogio, in cui peraltro per mancanza delle necessarie notizie confessiamo d’aver preso in allora qualche picciolo abbaglio.
Raccogliamo in oltre da quelli suoi scritti che il Cavalier Carlo Ridolfi onoravalo di sua stretta amicizia, che pur suo amico grande era Francesco Sadeler, Nipote di Egidio; che affine di imparar l’arte, e i secreti di essa, fermossi a Vi(n)cenza: e a Padova, e per lunghissimo tempo in Venezia: ma non fa mai cenno peraltro d’una circostanza riguardevole di sua vita, che gli scemò assai credito, e di riputazione. Noi qui non mancheremo di riportarla, come ci obbliga il dovere di verace Istorico, benchè non siagli di troppo onorifica memoria; e la caveremo con diligente esattezza dal processo giuridico contro di lui formato dalla Cancelleria Pretoria di Feltre.
La stima, che le Città circonvicine aveano conceputo del valore del Volpato, fu tale, che oltre le moltissime commissioni, che di tratto in tratto gli venivano fatte da Mercatanti, e da Signori, veniva anche personalmente chiamato a lavorare ne’ propri luoghi. Così verso il 1670 troviamo che andò in Asolo, dove operò moltissime cose per ordine e commissione di Cornelio Beltramini, e d’altri; e che nel 1674 fu chiamato in Feltre da Monsig. Gera Vescovo di quella Città a lavorare alcuni quadri in quel Duomo.
Fu in tale occasione ch’ei contrasse colà amicizia col Canonico Alvise Zeni Cancellier Vescovile, e Parroco allora di S. Giacomo, alla qual cura è oggetto il sobborgo di Ton. Avuta cognizione che sull’Altare maggiore vi fosse una Tavola rarissima di Giacomo da Ponte, cercò col mezzo del Canonico Parroco di averla. Diede perciò ad intendere a que’ Contadini, che le aggiusterebbe qualche rottura che aveva, e che la pulirebbe; e perché essi resistevano, usò il Canonico la sua autorità, ed a forza levolla dall’Altare.
Con acutezza quasi consimile ebbe pure la Tavola dell’Altar maggiore di Villa Rasai anch’essa dipinta da Giacomo, ed egualmente apprezzata. La chiese al parroco del Villaggio per farsene una copia, promettendogliene in premio un’altra al tempo della restituzione. Anche que’ contadini ricusarono di dargliela, ma l’ottenne egli col mezzo del Vescovo, nel cui affetto erasi fortemente insinuato.
Le trattenne entrambe per qualche tempo, spezialmente quella di Rasai, che l’ebbe circa un anno nella propria Casa in Bassano; ma strepitando que’ contadini per la restituzione, fece egli avere ad ambe le Chiese in luogo degli Originali due copie così perfettamente imitate, che i Pittori del Paese non n’ebbero il minimo sospetto, avendo egli spezialmente avuto l’astuzia di dar alle tele una patina d’oglio al rovescio, asserendo, che con tal mezzo si garantirebbero dalle ingiurie del tempo; coll’oggetto però di confondere così l’odore, che spargevano i colori nuovi della tela.
Rimaste le Tavole in mano al Volpato, le tenne fino al 1682 nel qual tempo essendo di lui creditore Gabriel Micheli di grossa somma di danaro, gliele diede in pegno: ma esso avendo bisogno di contanti, sotto li 30 luglio di quell’anno impegnolle sopra il Santo Monte di Pietà per Ducati cinquecento essendo Massaro Orazio Navarini.
Avvenne frattanto, che Carlo Osti Pittore di Trivigi abitante ad Asolo, girando anch’egli per vedere pitture rare, fu condotto a veder le due Tavole di Ton e di Rasai, le quali egli conobbe subito non solo ch’eran copie tratte dal Bassano, ma che erano della mano del Volpato. Stupiti ed irritati que’ Contadini, fecero Procura all’Osti, e ad un loro Cappellano per cercar la recupera di esse; e in fatti riuscì loro di scoprire, ch’erano sopra il Monte di Pietà in pegno.
Portatisi in Bassano si abboccarono col Volpato, che alla presenza di Cornelio Beltramini, e di altro confessò il fallo; ma nel tempo istesso dichiarandosi impotente, dimandò abilità di tempo, la quale col mezzo delle istanze di esso Beltramini, e di Francesco Angeli, nella casa del quale erasi trattenuto il Volpato, mentre lavorò in Feltre, ottenne da’ procuratori de’ Contadini un termine, che fu di mesi tre a restituir una Tavola, e di altri tre mesi a restituir l’altra, facendo di ciò nuova Scrittura, ma che non attenne mai.
Intanto il Canonico Zeni, che prevedeva ove la cosa dovesse finire, cioè il procedere della Giustizia, pensò astutamente di prevenire i Comuni, e comparve egli stesso con suo memoriale nella Cancelleria di Feltre nel 1686 a querelare il Volpato. Non lasciarono però poco dopo anche i Capi delle Ville di comparire con memoriale egualmente, e querelarono col Volpato anche il Canonico.
Formato il Processo, che fu delegato dall’Eccelso Consiglio di Dieci ser.ser.; e riscontrata la verità colle oculari osservazioni sugli originali impegnati, fu nel decretarlo proclamato alle carceri il Volpato, e fu nel tempo stesso obbligato a render conto anche Girolamo Bernardoni suo scolaro, come quello, e il Volpato conducevasi seco perchè lo ajutasse ne’ suoi lavori, essendo anch’esso considerato a parte dell’inganno. Rassegnatosi questo alla giustizia, ottenne la sua liberazione, ma il Volpato rimanendo contumace, fu con sentenza 11 Aprile 1687 dal Podestà Ser Giulio Balbi bandito da Feltre, da Bassano e da’ loro Territori e quindici miglia oltre i confini per anni dieci coll’alternativa di anni sette di prigione, taglia di Ducati 300 e condizione di non poter liberarsi se non restituiti i quadri e risarciti i due Villaggi delle spese per tal affare incontrate, riservata loro l’azione d’usar esperimenti per tal oggetto sopra i di lui effetti di qualunque natura, e in qualunque luogo posti.
Dopo questa sentenza la Giustizia ad istanza de’ Comuni si rivolse contro il Canonico Zeni, e l’obbligò a renderle conto per l’opera contribuita nel fraudolento asporto di quelle tavole; così pure contro Gabriel Michieli per averle impegnate; contro Orazio Navarini per averle ricevute in pegno in isprezzo de’ Decreti del Senato, e de’ Capitoli del Monte, e contro Gio. Battista Salvioni, e Giovanni Lanzerini per avere sotto il loro Massariato rimesso il pegno di esse, trasgredendo così anch’essi gli ordini del Senato.
Tutti i detti Bassanesi presentatisi furono liberamente licenziati, e il Canonico Zeni appellatosi ottenne dalla Quarantia C.V. pieno spaccio di taglio, che lo dichiarava innocente.
Se il Volpato poi andasse all’esecuzione del bando, abbiamo luogo da sospettare, poiché da un quadro che sta in S. Francesco laterale all’altare dello Spirito Santo fatto l’anno 1690, tre anni dopo la sentenza, si potrebbe raccogliere o che fosse poco lontano o che non partisse mai dalla Patria. Abbiamo eziandio qualche indizio essersi egli ritirato presso un Cavaliere Veneto, che onoravalo di sua protezione, dal quale assicurato, passò il decennio parte nella Villeggiatura, e parte nel di lui Palagio a Venezia, lavorando per esso, e per altri ancora molte opere di considerazione.
Intanto le due Tavole restarono sul Monte di Bassano, donde il Consiglio di X. con Ducali 10 Sett.1687, Gennaro 1689, e 23 Decembre 1695, vietarono che senza l’intero rimborso non potessero essere di là levate, non essendo conveniente che cotesto pio luogo restasse pregiudicato. Ma la summa de’ procorsi divenendo ogni giorno più considerabile, e il Santo Monte avendo bisogno del suo Capitale per servirsi a beneficio de’ poveri, e quel ch’è più restando esse esposte ad esser dal tempo, e dagli accidenti pregiudicate, e i Villaggi essendo nella impossibilità di riscuoterle, ad istanza della Città fu fu commesso con Ducale 16. Luglio 1695 al Podestà di Bassano di venderle all’incanto per la summa intera dovuta al Monte, e se ciò non si potesse, di astringere il Massaro Salvioni a comperarle per prezzo di tutte le spesse del Monte sofferte; come infatti fu sentenziato alla fine a’ 12.Aprile con ispezial Decreto del Podestà, dopo il vano sperimento di tre incanti, resistendo peraltro il Salvioni quanto più potè.
Qui non finì tuttavia l’Istoria di queste due Tavole dal Ciel destinate a un esito infelice; poiché portate appena dal Salvioni in casa sua, dopo tre giorni, di notte tempo s’insinuarono i ladri, che forse da qualche tempo aspettavano l’opportunità, i quali rubando molte altre suppellettili di casa, trasportarono anche le Tavole, né più di esse seppesi novella alcuna.
Intanto in oggi ancora ne’ due Altari di Ton, e Rasai, vi sono le copie del Volpato.
Morì Giambatista l’anno 1706, nel giorno del Venerdì Santo in età di anni 73, e fu sepolto nella Chiesa di San Donato in capo al Ponte, avendo lasciato di se, e di Anna figlia di Antonio Veronese, con cui s’era unito in matrimonio al primo di Febbraio del 1663, tre femmine e un maschio di nome Gio. Bernardo, che fattosi di Chiesa vestendo l’abito di S. Pietro, lasciò che in lui si estinguesse la sua famiglia.
Fu egli veramente un uomo dotto e scientifico in ciò che riguarda alla teorica sì dell’Aritmetica, che della Geometria e Matematica, e profondo investigator de’ secreti dell’Arte, come ben lo dimostrano i dotti suoi scritti.
Le sue opere di Pittura sono bene intese, e dottamente disegnate, ma non apportano però alcun diletto o piacere per la sua cattiva, e stentata maniera, colla quale sono colorite. Il Cielo gli donò un grande talento per aprir co’ dotti suoi insegnamenti la via certa alla Pittura; ma se gli mostrò all’opposto altrettanto avaro in tutto ciò che riguarda al colorito, ch’è una delle parti più essenziali. Né nudi s’attenne alle forme di Michelangiolo, cioè gigantesche. Nelle Storie non ebbe quel bell’ordine, e disposizione, che si richiede. Nell’ordinar le figure non ebbe bella e dotta elezione di gruppi, non ingrandimento di campi per ben disporre il lume, e l’ombre, essendo questa la chiave per far spiccare le figure fuori del quadro. Nel far i panni ei si serviva dell’endico e biacca, dava due tinte, e poi con una mezza tinta formava i rilievi negli oscuri. Non fu artificioso, ma semplice, e perciò le sue opere riescono deboli e fiacche. Il suo getto, e la scelta del panneggiamento è su lo stile d’Alberto, ma non rende ragione, perciò manca di spirito, di grazia e di nobiltà, parte in cui si ricerca tutto lo sforzo del Pittore, perché dalle belle e ragionevoli pieghe nasce la bellezza delle Storie, e nell’arte della Pittura è una delle parti più difficili. Non ebbe varietà né di teste, né di carnagione. Non ebbe degrado né di lume, né di tinte, parte al Pittore assai essenziale, la quale dipende dalla Prospettiva, ch’è l’arte di rappresentare sopra un piano gli oggetti a norma della differenza, che vi produce la lontananza. Ebbe un particolare genio alle stampe del Spanghers, Goltzio, Muller, Cornelio Corneli, per essere questi stati graziosi ed intendenti, ma alquanto caricati, nel seguir i quali viziò anch’esso caricando un po’ troppo i contorni delle sue figure. Non intese l’amistà, ed inimicizia di que’ colori, le cui mescolanze, e varj tuoni s’uniscono con armonia.
Non seppe far buon uso delle passioni dell’animo, né de’ costumi delle varie nazioni del mondo; ma però con tutti questi difetti egli fece delle opere stupende; e il Soffitto del nostro Duomo diviso in tre quadri, e la caduta de’ Giganti nel Palagio Rezzonico, e i due quadri che rappresentano il contagio nella Chiesa di S. Bernardino, fanno indubitata fede della sua scienza, e del suo valore, venendo dagli’intendenti riputati capi d’opera . Fu egli sopra tutto eccellente nel disegnare, e preziosi perciò sono i suoi Disegni, rilevandosi in essi il carattere d’un valente Artefice, che caratterizza le cose con pochi colpi, ma veri, forti, e massicci, di maniera che s’esso si fosse contentato di dipingere solo a Chiaroscuro, le cose sue sarebbero tanti brillanti da riporre ne’ pubblici Licei a comune profitto, e il nome suo anderebbe a paro con quello de’ migliori Maestri. In tutto ciò che appartiene alla composizione, e proporzione del corpo umano, e spezialmente alla costruzione de’ muscoli, fu in vero singolare, avendo esso in tal studio superato se stesso.
E a dir il vero, nel leggere tante belle dottrine sparse tra i suoi scritti di Pittura, dottrine vere, uniche, e sode, fanno altamente stupire, che poi in pratica sia riuscito inferiore a se stesso; e ciò vogliamo credere essere avvenuto, non già per scarsezza di talenti intorno alla facoltà del colorire, e dell’inventare, ma piuttosto per essere questi restati soffocati dalle speculazioni; perché il colorito ricerca uso, ed uso continuato, e l’invenzione richiede, che quando la fantasia ha ritrovati i concetti, essendo questi come tanti baleni, devono essere schizzati sopra la carta e in allora ricercarli, limarli, e polirli colle regole sì della proporzione, come dell’Anotomia; la qual cosa se ei volesse farsi nel tempo stesso, che la fantasia li consegna alla memoria, sarebbe un stroppiarli, e privarli di quell’influsso celeste, ch’è particolare de’ Poeti e de’ Pittori.
In sua gioventù per suo studio particolare copiò e ricopiò diversissime opere di Giacomo da Ponte, molte delle quali assai somiglianti e belle presso di moltissimi in Bassano, e presso di noi spezialmente, esistono. Quelle poi ch’egli fece di sua invenzione sono le seguenti:
Nel Duomo dipinse il Soffitto in tre grandi comparti, opera stupenda, e rara; in quello di mezzo, l’Assunta di Maria Vergine cogli Apostoli, e numero prodigioso di Angeli e Cherubini che prendono in mezzo la Santissima Triade. In quello verso l’Altare maggiore, S. Clemente con moltissimi altri Santi, e questo è ancora più pregevole, e nel terzo, S. Bassano in funzione Episcopale attorniato da numeroso popolo. Nel Coro poi, dirimpetto a quello di Sebastiano Ricci, dipinse il quadrone assai bello colle nozze di Cana Galilea, dove c’entra una quantità di figure al naturale,
In S. Caterina nella Cappella di S. Nicola da Tolentino, lavorò alcuni di que’ quadri che rappresentano la Vita e i miracoli di quel glorioso Santo, cioè vicino all’Altar maggiore, Cristo che in forma di uomo gli appare per consolarlo nelle sue afflizioni; indi quando S. Nicola libera un condannato a morte; poi il grazioso miracolo di convertir, alla presenza del Priore e di alcuni Frati, il pane che nel suo grembo portava a’ poverelli in rose e in fiori; e in un altro fatto l’anno 1678, si vede il Santo che sana ad un infermo la piaga ch’aveva in una gamba. Fece pur l’anno medesimo in un altro quadro gli angioli che lo confortano, mentre faceva orazione. E in un gran quadrone fuori della Cappella rappresentò l’anno 1663 il miracolo del sangue uscito dal glorioso suo corpo quarant’anni dopo che fu sepolto. Ivi si vede quel Frate converso che ebbe cotanto ardire di tagliar le braccia al Santo corpo, a’ piè del Superiore a confessare il delitto alla presenza di gran numero di astanti attoniti al grande miracolo. Dipinse in oltre nella medesima Chiesa la Tavola dell’Altare laterale al maggior, che rappresenta S. Tommaso di Villanova, che fa elemosina a’ poveri.
Nella picciola Chiesa situata nel Prato della Fiera dedicata a S. Rocco, esiste la Tavola con Gesù Cristo e colla Beata Vergine addolorata.
In S. Francesco, nella Cappella di S. Antonio, ove sta la bella Tavola di Giulio Carponi, dipinse la maggior parte di que’ miracoli del Santo, che si veggono appesi alle pareti. L’anno 1590 rappresentò in un gran quadrone, che sta alla parte dell’Evangelio dell’Altare dello Spirito Santo, la Trasfigurazione di nostro Signore in figure al naturale, e nel 1699 in due quadri che si veggono sopra al medesimo Altare, l’Angelo che annunzia a Maria Vergine.
Per la Chiesa dell’Angelo Custode, eretta da fondamenti l’anno 1655 dipinse la Tavola dell’Altare colla Sacra Triade in alto, e l’Angelo Custode più in basso; indi i due quadroni laterali a questo Altare.
In Chiesa di S. Bernardino vi sono que’ due stupendi quadri, ne’ quali ha superato se stesso, meravigliosi per la bellezza de’ nudi, ne’ quali era il Volpato eccellente. Uno rappresenta il contagio successo in Bassano l’anno 1631, e nell’altro sembra ch’abbia voluto figurare l’Invidia scacciata dall’Innocenza, o da qualche altra virtù ne’ tartarei abissi. Pieno è il quadro di naturalissime figure ben disposte, e ben ideate.
In Santa Chiara, Chiesa di Monache, la Tavola dell’Altar maggiore con S. Chiara S. Francesco, S. Antonio, e in alto Maria Vergine della Concezione col bambino in braccio, e diversi puttini attorno e a basso.
Nella Chiesa di Maria Vergine della Misericordia, posta in Borgo del Leone, vi sono le seguenti Pitture, cioè la fuga in Egitto, la Natività di M. Vergine, la Visitazione di S. Elisabetta, e la Presentazione al Tempio, e nella Sacrestia i Misteri Gaudiosi.
In S. Vito c’è la Tavola laterale al maggiore con S. Ignazio e S. Gaetano. In alto si vede Maria Vergine col bambino, ed alcuni puttini.
Nella Chiesa della Santissima Trinità vi ha il quadro vicino alla porta maggiore, con S. Eusebio, che porta il Santissimo Sacramento.
Nella pubblica Sala del Consiglio stanno appesi tre Ritratti di Rappresentanti in tre distinti quadri, uno de’ quali, ch’è quello vicino alla porta, lo abbiamo riconosciuto per Bernardino Vizzamano, che fu Podestà l’anno 1667.
Nel Palagio Rezzonico fuori del Borgo de’ Leoni, nel palco figurò Giove che fulmina i Giganti, e questa è una delle sue opere più stupende, in cui s’ammira gran disegno, proporzione, forza e maestria.
Nel Palagio del Nob. Sig. Co. Guerin Roberti, cinque be’ quadri di Storia Sacra.
In quello de’ Nobb. Signori Golini, alcuni atri be’ pezzi, e fra questi un stupendo Milone Crotoniate colle mani serrate dentro al tronco dell’albero e lacerato da un Leone.
Presso il Sig. D. Daniel Bernardi in quattro grandi quadri , la Favola di Ateone convertito in un Cervo, con Diana, ed altre Ninfe, che fuggono alla di lui vista; il Giudizio di Paride colle tre Dee, e varj Amorini; Susanna co’ tre vecchioni; e il bagno di Betabea con varie Donzelle, e Davide che la mira da un’alta Loggia.
Ma troppo lungo sarebbe il voler riferire tutte quelle opere ch’esistono nelle case private, che sono in gran numero, e spezialmente presso la famiglia Parolina, come quella ch’ebbe tutta la di lui eredità, trasmessavi da Giulia sua figlia, che a 13 di febbraio del 1702 erasi unita in matrimonio con Gio. Maria figlio di Valentino Parolin, presso la quale fra le molte altre cose si vede un bello e finito quadrone con Adamo ed Eva, che mangiano il pomo; il suo Ritratto fatto di proprio pugno, e quello ancora di Gio. Bernardo suo figlio.
Queste sono le Pitture che si ammirano del Volpato nella Città: ora vediamo quelle che si trovano sparse in altri luoghi.
SANNAZZARO. La tavola dell’Altare di M. Vergine della Cintura colla Regina de’ Cieli e col bambino, con S. Agostino e S. Valentino; sul mezzo S. Giambatista, e a basso S. Sebastiano, e San Rocco.
CAMPESE. La Tavola dell’Altare colla Natività: copia tratta da quella di S. Giuseppe
CAMPOLONGO. La Tavola dell’Altar maggior.
CARTIGLIANO. I be’ quadroni che stanno intorno alle pareti della Chiesa, cioè S. Gaetano Tiene con M. Vergine; l’Incoronazione della Regina de’ Cieli; il portar della Croce, l’Adorazion de’ Re Magi, la Circoncisione, la Visita di M. Vergine a S. Elisabetta; una Natività; S. Lucia; l’Adorazione nell’orto; e l’Ascensione.
MUTINELLO. Nella picciola Chiesa del Sig. Vicenzo Ferrari, la Tavola colla B. Vergine, S. Rocco, S. Gio. Battista e S. Giacomo.
ROMANO. Nella picciola Chiesa de’ Signori Stecchini, la Tavola dell’Altare, che rappresenta la B. Vergine, S. Girolamo, e S. Matteo
ASOLO. Nella Chiesa delle Monache, due gran quadroni in Coro: in uno la Natività di Cristo nostro Signore, e nell’altro l’Adorazione de’ tre Re Magi, fatti l’anno1667 oltre le cose che operò, come abbiamo detto, per Cornelio Beltramini.
CITTADELLA. Nell’Archipresbiteriale, due mezze lune una dirimpetto all’altra, nella nave di mezzo.
FELTRE. Tra le molte cose che fece in questa Città di commissione del Vescovo, e di altri Signori, come abbiam veduto, ci viene fatto di specificar le seguenti: Un quadro grande delle Natività di Cristo nella Cappella maggiore della Cattedrale; un altro nella Cappella stessa coll’Adorazione de’ Re Magi. Un quadro grande nella sala del Consiglio, che rappresenta il Podestà Gio. Antonio Boldù co’ Deputati della Città in toga, inginocchiati sul banco del Duomo. Un quadro grande in casa del Co. Agostino Pasole, che figura la moglie Candaule scoperta al favorito Gige.
VICENZA. Nella Chiesa degli Ognissanti, Monache Camaldolesi, esistevano al tempo di Marco Boschini alla sinistra dell’Altar maggiore due suoi quadri, uno con S. Bonaventura e con degli Angeli che gli presentano un calice; e un altro con due Angioletti in aria, con S. Benedetto, e con S. Giovanni Confessore. Noi però non abbiamo in adesso ritrovato se non il primo, che ancor s’ammira di forma assai bella.
Dilettavasi eziandio il Volpato d’intagliare in rame, ed una delle sue opere fu tal proposito che rappresenta un S. Giambatista fatta l’anno 1689, l’abbiamo veduta preso il sovralodato Sig. G. Bernardo Zilotti; come pure varie teste di sua invenzione intagliate in legno, in cui lavorava ancora con buon gusto. Ma quello, in cui più di tutto occupossi oltre la Pittura, fu nell’Arte vanissima dell’Alchimia, dal capriccio degli uomini a bella posta inventata per dissipare miseramente, e disperdere le migliori loro sostanze, come infatti addivenne a Giambatista che si vide per essa ridotto in uno stato di fortuna assai ristretto: cagione d’ogni sua disgrazia, e spezialmente del bando suo, come abbiamo veduto.
Fra gli Scolari che sorsero dalla sua Scuola in Bassano, quelli che meritano maggior distinzione, furono Girolamo Bernardoni, e Francesco Trivellini. Vi fu anche Giovanni Bresola, che dipingeva qualcosa di buono, ma siccome non abbiamo vedute esposte al pubblico nessuna delle sue Pitture, così sopra di questo non si fermeremo punto a far parola.
Da “Notizie intorno alla vita e alle opere de’ Pittori, Scultori e Intagliatori della Città di Bassano” del 1775