TONI ZARPELLON – CENTO TESTE DI DONNA 2000 – 2007
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Appunti per cento teste di donna
di Toni Zarpellon
Nel gennaio del 1973 ho fatto conoscere il manifesto “La Vita” dal mio studio di via Rivarotta. In quell’anno ho iniziato a disegnare, dipingere e scolpire teste umane alternate ai vari aspetti della realtà quali i nudi femminili, gli oggetti della vita quotidiana, gli animali, gli spazi aperti della natura. Come primi tentativi ho messo gli occhi, il naso e la bocca alle precedenti “Teste che non vedono” le quali derivavano dalle “Larve umane” della seconda metà degli anni sessanta, per risalire alle “Crocifissioni dalla macchina” del 1965 dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti di Venezia. Un percorso questo di lenta rinascita per uscire dalla “fossa dei serpenti” in cui si è cacciato l’uomo della civiltà industriale e dei consumi.
In tutti questi anni uomini e donne si sono alternati nel mio studio e seduti su una vecchia poltrona di vimini, ho disegnato e dipinto le loro teste per avere una conferma della mia evoluzione interiore tesa a ricostruire una nuova centralità mentale e fisica, Si è stabilito in tal modo un legame profondo tra l’io e il tu dove le forme e i colori hanno visualizzato e reso possibile un processo di comunicazione attraverso il linguaggio dell’arte.
Quando si fa ricerca il cammino, per quanto lo si voglia, non è mai lineare. Possono succedere fatti imprevisti che mettono in discussione i risultati raggiunti. In questi casi anche l’errore diventa occasione di conoscenza. Si creano allora dei vuoti, delle assenze per poi dover incominciare tutto daccapo. Si ripete la storia del macigno di Sisifo che rotola di continuo dalla valle al monte e dal monte alla valle. Dopo gli interventi nelle “Cave di Rubbio”, un nuovo passaggio estetico-esistenziale è avvenuto con gli ultimi cento autoritratti eseguiti a cavallo del 1999 e il 2000 al termine del quale ho iniziato ancora una volta a guardarmi intorno e tra le altre cose ho ripreso a disegnare teste di donna. Come in periodi precedenti, esse sono state, negli ultimi otto anni, motivo costante delle mie ricerche visive. Rovistando tra le mie cartelle ne ho trovate un centinaio, tutte disegnate su fogli di carta di cm 70×50 ciascuno. Ho potuto fare tale lavoro grazie al tempo dedicatomi dalle persone che hanno posato.
Viviamo in un’epoca in cui il rapporto con la realtà è mediato da una sorta di pellicola artificiale, da un diaframma tecnologico e mass mediale nel quale si rifugiano fatti, persone e cose nella convinzione che solo mentendo nello sdoppiamento di sè si possa abitare il mondo. Un mostro dalle grandi fauci vomita in quantità inaudita immagini appiattite fuori dal tempo e dallo spazio. Una asfissia devozionale e celebrativa si traduce in elassa visiva che tutto avvolge impedendo di scrutare nuovi orizzonti di vita.
Un nuovo e fatuo Olimpo degli Dei è venuto alla ribalta. Si è caduti ancora nella trappola mortale di una visione metafisica del mondo.
Anche l’arte sta soffrendo di questa condizione. Negli ultimi cinquant’anni si è assistito ad un drammatico conto alla rovescia come se in ogni momento dovesse finire la storia. Si sono succeduti movimenti artistici la cui durata temporale è andata via via diminuendo per arrivare in un non luogo senza tempo dove tutto è diventato arte perché si è sospeso ogni giudizio di valore.
Ma se tutto è diventato arte niente è più arte. L’ansia di occupare un qualche posto nella storia si è tramutata in deliri di onnipotenza, in parossistiche mistificazioni dove il dire si è sostituito al fare. Oggi sembra imperi la cultura della morte e una visione catastrofica del mondo sta sempre più abitando la mente dell’uomo. E più si consolida l’idea di questa possibile deriva, più aumenta la tendenza a mettere in scena eventi per essere bruciati sul rogo mediatico. I tempi lunghi della riflessione sono stati banditi. Tutto deve essere fatto e consumato in fretta per sprofondare nel baratro del vuoto e del nulla dove anche la nostra vita rischia di venire sprecata senza essere vissuta.
Da molti anni ormai, a questo drammatico panorama storico, ho contrapposto un mio progetto di ricerca tuttora in fieri teso a scrutare oltre e in me stesso. Desidero ora osservare da vicino le cento teste di donna che sono l’argomento di questa pubblicazione.
CIi strumenti di lavoro sono stati le matite e le matite colorate. Materiali secchi e rigidi che ben si prestano a solcare lo spazio del foglio bianco di carta. Ogni testa disegnata si pone nella sua assolutezza occupando un proprio spazio lasciando nello stesso tempo spazio dentro di sè a tutta la realtà. Un dentro e un fuori che interagiscono in un flusso di energia in espansione. Come in un crogiolo, una miriade di interrogativi intorno al senso dell’esserci si agitano, si scontrano, si fondono, si lacerano, si intersecano alla ricerca di equilibri dinamici in un gioco infinito. Interrogativi che vengono oggettualizzati dalle forme e dai color; dentro l’alveo della struttura plastica delle teste disegnate. Struttura la cui configurazione spaziale ed emotiva cambia in rapporto alla diversa persona che ha posato e dove l’eventuale somiglianza è solo la conseguenza di un processo costruttivo autonomo e non la priorità.
L’osservare e disegnare una testa altra da me ha richiamato alla luce un’immagine che prima di essere fuori era dentro di me. Posso dire che queste teste di donne sono lo svelamento di una mia realtà mentale ovvero rilessi grazie ai segni organizzati nello spazio. Sono tensioni spazio-temporali dove la materia si riscatta vestendosi d’anima. Quando ci si chiede il perché della vita sapendo di dover morire, una strana inquietudine ci assale fino a drammatizzare talvolta il nostro rapporto con la realtà. L’arte ha il compito di sublimare tutto ciò con l’atto creativo e placare l’angoscia che deriva dalla consapevolezza della propria solitudine nell’Universo.
Durante le ore di posa, ai colloqui su vari argomenti, si sono alternati profondi silenzi. Si sentiva allora solo il rumore provocato dall’attrito delle matit sul foglio bianco di carta malgrado io usi le più pastose per dare maggior scorrevolezza ai segni.
Segni la cu intensità cam bia con il mutare della pressione della mano nell’individuare luci e ombre in un continuo rapporto dialettico tra loro. Osservando il lavoro compiuto, le persone che hanno posato rimanevano incuriosite nel vedere la loro testa trasfigurata che non è più quella che percepiscono quando si guardano allo specchio. Il fatto che sapevano che io non facci ritratti nel senso descrittivo del termine, mi metteva al riparo dalle loro eventuali aspettative di vedersi rappresentate come fa la macchina fotografica. Si è molto discusso su come ormai siamo immersi in una quantità di immagini ottenute meccanicamente e si conveniva sul fatto che la presunta perfezione e sdolcinata piacevolezza ostentata, si traducono in messaggi privi di vita. Una necrosi visiva che blocca l’immaginazione creativa, che chiude la mente dentro un recinto di passività e di alienanti condizionamenti.
Ponendosi al centro della mia attenzione, le modelle si sono sentite anch’esse partecipi dell’azione creativa perché valorizzate nella propria unicità, scoprendo talvolta nel mio lavoro aspetti di sè prima sconosciuti o vissuti in modo confuso. Questi sono alcuni dei motivi per i quali molte di loro hanno espresso il desiderio di posare. Ho sempre pensato che l’arte ha il compito di rendere visibile l’invisibile. Essa non è una sorta di allucinazione privata ma una delle forme più alte per conoscere se stessi e la realtà del mondo di cui facciamo parte.
Toni Zarpellon
Bassano del Grappa. luglio 2007